In Australia manifestazione contro la base per sottomarini a propulsione nucleare Aukus. Nelle Filippine si contesta la reintroduzione dell’addestramento militare obbligatorio per gli studenti universitari. In Giappone e Corea del Sud malumori sul disgelo suggellato dal vertice tra Kishida e Yoon a Seul
Pattugliamenti congiunti, esercitazioni a fuoco vivo e basi nucleari. Ma anche dubbi e proteste. Continuano le grandi manovre in Asia-Pacifico, ma non tutti accolgono con favore il processo di militarizzazione accelerato dalla guerra in Ucraina. Migliaia di persone hanno manifestato nei giorni scorsi a Wollongong, poco meno di 100 chilometri a sud di Sydney. Secondo i media australiani, il dipartimento di difesa ha individuato il sobborgo di Port Kembla come sito per una base militare. Non una base qualunque, ma la “casa” dei sottomarini a propulsione nucleare nell’ambito del patto di difesa Aukus con Stati uniti e Regno unito. “Wollongong è contro la guerra e le testate nucleari”, recitavano decine di striscioni. Anthony Albanese ha garantito che le vaste spese previste dall’accordo (245 miliardi di dollari entro il 2055) contribuiranno a creare almeno 20 mila posti di lavoro. Ma le promesse del premier non bastano a convincere la popolazione locale a ospitare i sottomarini, destinati a contrastare l’ascesa cinese nel Pacifico.
Anche nelle Filippine c’è chi guarda con sospetto alle mosse del governo in materia di difesa. Il presidente Ferdinand Marcos Junior ha preannunciato il ripristino dell’addestramento militare obbligatorio per gli studenti universitari. Un disegno di legge, all’esame del Senato, prevede un periodo di formazione di due anni. La misura si applicherebbe agli studenti di entrambi i sessi, compresi quelli stranieri che frequentano università filippine. “Il nostro paese può essere facilmente conquistato se non siamo pronti. Non aspettiamo la guerra prima di fare qualcosa”, ha dichiarato Ronald Dela Rosa, ex capo della polizia durante la guerra alla droga dell’ex presidente Rodrigo Duterte e tra i principali sostenitori della legge. Le associazioni studentesche si oppongono, temendo una “militarizzazione dei campus”. E parlano di “riforma arcaica” che segna un ritorno ai tempi “della dittatura del padre di Marcos”.
Il presidente filippino, ricevuto nei giorni scorsi alla Casa bianca da Joe Biden, ha operato un deciso riallineamento con Washington. Ieri è stato annunciato che entro la fine dell’anno cominceranno i pattugliamenti congiunti nel mar Cinese meridionale, dopo che gli Usa hanno ampliato l’ombrello difensivo a tutela di Manila. Parziale “ricompensa” dopo l’apertura all’accesso di 4 nuove basi militari filippine alle truppe statunitensi.
Si muovono nella stessa direzione anche i leader di Giappone e Corea del sud, protagonisti domenica del secondo vertice in meno di due mesi. Stavolta è stato Fumio Kishida a visitare Yoon Suk-yeol, anch’egli reduce da una visita alla Casa bianca. Suggellato il riavvio dei rapporti bilaterali, con focus sulle catene di approvvigionamento dei semiconduttori e sulla cooperazione militare. Kishida ha invitato Yoon a Hiroshima, dove a margine del G7 è in programma un trilaterale con Biden. Entrambi i paesi sono sempre più vicini alla Nato, che dovrebbe a breve aprire un ufficio in Giappone. La Corea del sud avvierà nei prossimi giorni con gli Usa le più vaste esercitazioni congiunte a fuoco vivo di sempre.
Anche in questo caso, però, non tutti sono d’accordo. Secondo un sondaggio di Kyodo, l’80% degli intervistati è contrario ad aumenti delle tasse per finanziare il potenziamento della difesa giapponese. A Okinawa, snodo chiave per la sua vicinanza a Taiwan, sono frequenti le proteste contro i piani di espansione della presenza militare americana. In Corea del sud, invece, si critica il costo pagato per riavviare i rapporti col Giappone. Yoon ha infatti ritirato la richiesta di risarcimenti a Tokyo per le vittime degli abusi della dominazione coloniale. L’opposizione progressista parla di “umiliante sottomissione” e sottolinea le mancate scuse di Kishida, che in conferenza stampa dopo il vertice ha comunque dichiarato che il suo “cuore sanguina” per le “sofferenze” dei sudcoreani. Non abbastanza per il Partito democratico a Seul, troppo per l’ala più conservatrice in Giappone.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.