Ormai non c’è giorno che non emerga un nuovo scoop, un dettaglio scottante sugli affari di Huawei, l’azienda cinese delle telecomunicazioni accusata dagli Stati Uniti di spiare cittadini e governi stranieri per conto di Pechino. L’ultima indiscrezioni – diffusa dal Washington Post – vedrebbe il colosso di Shenzhen intrattenere rapporti molto stretti con il governo nordcoreano, tanto da aver aiutato il Regno Eremita a sviluppare e gestire la rete wireless nazionale.
Secondo ex dipendenti e documenti interni ottenuti dal quotidiano americano, le attività di Huawei al Nord sarebbero state parzialmente schermate grazie alla collaborazione con Panda International Information Technology Co. Ltd., azienda statale spesso manovrata da Pechino per operazioni di politica estera. Una sinergia, durata otto anni, funzionale alla fornitura del materiale software e hardware necessario alla costruzione e manutenzione delle infrastrutture wi-fi nordcoreane. Ma non solo. Stando all’inchiesta, il supporto cinese sarebbe stato persino propedeutico alla nascita, nel 2008, di Koryolink, il primo provider nazionale. D’altronde, si sa, i rapporti tra i due vecchi alleati comunisti sono stati per lungo tempo “come lingua e denti”.
Tutto è cominciato nel 2006 con una visita del “caro leader” Kim Jong-il – padre di Kim Jong-un – presso la sede di Huawei a Shenzhen. Una spedizione che, come racconta Alexandre Mansourov, autore del report North Korea on the Cusp of Digital Transformation, ha posto le basi per l’ingresso del colosso cinese a Nord del 38° parallelo. Attraverso la mediazione di Panda, per anni Huawei ha rifornito Pyongyang di tutta la tecnologia necessaria al lancio di Koryolink, operando da un modesto hotel in piazza Kim Il-sung, il cuore della capitale nordcoreana. Fino a quando, nel 2013, il governo nordcoreano non ha dato vita a Kang Song, operatore subentrato nel corso degli anni a Koryolink nella gestione della rete wireless nazionale grazie alla collaborazione con l’altro gigante della telefonia cinese: ZTE. Tre anni più tardi, in concomitanza con l’inasprimento delle risoluzioni internazionali contro il programma nucleare nordcoreano, Huawei e Panda hanno abbandonato i loro uffici locali.
I contatti tra ZTE e Pyongyang sono cosa nota dal 2016, quando Washington ha pubblicamente accusato l’azienda cinese di aver violato le sanzioni imposte contro l’Iran e la Corea del Nord. Nell’aprile dello scorso anno, ritenute insufficienti le misure correttive intraprese, le autorità americane avevano tagliato la fornitura di componentistica “made in Usa” essenziale per la stessa sopravvivenza di ZTE. La querelle si è conclusa un paio di mesi più tardi con una multa da un miliardo di dollari e altre pesanti sanzioni grazie all’intervento diretto di Donald Trump, all’epoca ancora in piene trattative per reprimere sul nascere la guerra tariffaria lanciata contro Pechino nel mese di marzo. Considerati i precedenti, Huawei potrebbe facilmente incorrere in una sorte simile.
Nel 2014, il Dipartimento del Commercio ha sottoposto Panda a misure restrittive che ne impediscono l’acquisizione di tecnologia contente almeno un 10% di componentistica americana. Qualunque azienda pizzicata a rifornire senza licenza la società di apparecchiature destinate alla Corea del Nord rischia di incorrere in sanzioni civili e azioni penali. Secondo il Washington Post, è dal 2016 che Washington indaga sulle attività di Huawei nel Regno Eremita, sebbene, ad oggi, le accuse spiccate dal Dipartimento di Giustizia riguardano soltanto le attività condotte illegalmente dall’azienda cinese in Iran. Come nel caso di ZTE, segnali piuttosto chiari suggeriscono un’imminente sospensione delle misure restrittive contro il colosso di Shenzhen – già virtualmente escluso dal mercato americano per ragioni di sicurezza nazionale – così da oliare i negoziati commerciali con Pechino. Ma i precedenti nordcoreani rischiano di complicare i piani strategici di Trump, apertamente osteggiati dal Congresso. In ballo ci sono tanto le trattative con la Cina quanto il dialogo con Pyongyang per la rinuncia all’atomica.
Invitato dalla stampa a rilasciare un commento sul dossier Huawei, l’inquilino della Casa Bianca si è limitato a ventilare ulteriori accertamenti, aggiungendo tuttavia che “le nostre relazioni con la Corea del Nord sono molto buone”.
[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.