Si chiama Lee la bambina di origini cinesi a cui il sussidiario dei linguaggi per le scuole elementari Leggermente plus di Giunti (edizioni del Borgo) dedica una controversa pagina. Lee, in linea con il più noto degli stereotipi sugli asiatici (e sui cinesi in particolare), dice “glazie, plego e facciamo plesto”. Un luogo comune, quello dell’incapacità di pronunciare correttamente la “r”, che si accompagna ad un’altra frase: “Non si offende quando la prendiamo in giro”.
Le parole sono affidate alla penna di Duccio, il bambino (immaginario) che in una pagina di diario elenca gli aspetti che lo avrebbero fatto innamorare della sua compagna di classe di origine cinese. Una dichiarazione d’amore infantile, ma dietro cui c’è anche chi intravede una normalizzazione degli stereotipi e un messaggio potenzialmente sbagliato sul prendere in giro chi è diverso, ridere delle sue difficoltà e aspettarsi che non si offenda, in un atto di docilità di cui si rende protagonista un personaggio femminile.
La casa editrice è intervenuta sul caso definendo il racconto da cui è estratto il dialogo come un racconto “inclusivo” in cui “si parla di un bambino italiano che si innamora di una compagna cinese. Forse potevamo essere un pochino più attenti rispetto al “glazie, plego” pensando che una frase del genere potesse far risentire qualcuno ma contestualizzandola nel racconto questa critica perde del valore negativo dato”, viene dichiarato a Il Fatto Quotidiano.
Non è la prima volta che un libro di testo susciti qualche polemica. Lo scorso settembre era nato un caso, sollevato dalla consigliere Pd di Reggio Emilia Marwa Mahmoud, sulla vignetta di un volume per scuole elementari. La vicenda aveva portato alla presentazione di una proposta di legge – ad opera di diversi deputati, tra cui Lia Quartapelle e Laura Boldrini – per contrastare gli stereotipi e promuovere la diversità nei libri di testo, in accordo con le linee guida dell’UNESCO.
La storia di Lee affiora in un periodo particolarmente delicato per le comunità cinesi d’oltremare. Ad ormai più di un anno dal primo focolaio di Covid-19 rilevato a Wuhan, il sentimento sinofobo in Italia (ma non solo) è ancora molto diffuso, come dimostrato anche dall’attacco hacker neonazista all’Istituto Confucio di Torino lo scorso febbraio.
China Files ha raccolto l’opinione della professoressa Xiaomo Ma, docente di lingua cinese presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale che, tramite la sua pagina Facebook, il 25 marzo aveva lamentato la presenza di frasi offensive nella pagina di diario di Duccio.
Crede che la sinofobia sia un fenomeno diffuso in Italia?
Personalmente non sono mai stata vittima di atti di sinofobia veri e propri da quando vivo in Italia, ma sicuramente ho notato un cambiamento da marzo 2020, quando al virus si associava la parola “cinese”. Pur non essendo uscita di casa molto spesso – per il virus, appunto – quelle poche volte che mi è capitato, ho notato che la gente si teneva a distanza da me, che mi guardava con sospetto e che, con non troppa discrezione, diceva frasi come “è arrivata la cinese” o cose del genere.
Accade lo stesso verso i bambini?
Direi di sì. Mio figlio, pur non avendo la nazionalità cinese, a scuola a volte viene preso in giro in quanto “cinese”, cosa che mi porta spesso a dover intervenire e parlare con i docenti o le altre mamme. Lui inoltre è molto timido e questo genere di comportamenti non aiuta, soprattutto in un’età così particolare come quella infantile. Quello che per alcuni è un semplice scherzo, per altri può essere offensivo.
Rispetto al libro di cui ha postato la pagina su Facebook, qual è stata la reazione del personale scolastico?
Inizialmente la preoccupazione si è concentrata sulla corretta pronuncia del nome “Lee” che, infatti, è una trascrizione antiquata o comunque basata sull’inglese. In Cina noi scriviamo “Li”, secondo il metodo di trascrizione chiamato pinyin. La maestra di mio figlio, però, ha pensato che questa potesse essere un’occasione per presentare ai bambini la cultura cinese, superando stereotipi banali come quelli riportati nel libro. Mi ha infatti proposto di aiutare mio figlio a preparare una lezione – naturalmente pensata per bambini – sulla lingua cinese, sui caratteri, sulla loro storia, andando oltre il semplice “scherzo” riguardo la “r”. Credo sia una bella iniziativa.
Laureata in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa, con specializzazione sulla Cina, presso l’Università L’Orientale di Napoli. Appassionata di relazioni internazionali e diplomazia scientifica, Fabrizia lavora a progetti di internazionalizzazione per startup e PMI di ambito scientifico-tecnologico. Ama viaggiare, scrivere e sperimentare le chinoiseries più stravaganti.