Una nuova puntata di Gig-ology, una rubrica sul mondo del lavoro asiatico. Questa volta si parla di Corea del Sud (paese a cui abbiamo dedicato l’ultimo ebook, il numero 11 – qui per consultare indice e leggere l’editoriale e qui per sapere come ottenerlo). La crisi pandemica ha permesso alle società delle consegne di registrare profitti da record. Ma condizioni di lavoro stressanti e una forte competizione tra conglomerati e start up hanno evidenziato la necessità di una maggiore regolamentazione.
A inizio marzo si è concluso uno sciopero durato oltre due mesi: davanti al quartiere generale della società di consegne CJ Logistics, a Seul, 1.650 lavoratori sindacalizzati hanno protestato per chiedere un aumento della paga che riflettesse la generale crescita delle tariffe per i clienti. Per settimane la dirigenza si è limitata a insistere che una parte equa dell’aumento dei prezzi fosse di fatto stata calcolata nella compensazione dei suoi partner di consegna. “La situazione è disperata”, ha detto a fine febbraio ad Al Jazeera Nam Hee-jeong, un sindacalista: “sentiamo di non avere altra scelta che lottare in questo modo”. Il 2 marzo la Korean Confederation of Trade Unions (KCTU) ha comunicato di essere riuscita a raggiungere un accordo e che i lavoratori sarebbero presto tornati a consegnare ordini, anche nell’ottica di non recare ulteriori danni alle piccole attività.
In quelle settimane a peggiorare il morale sono sopraggiunte le dichiarazioni del nuovo presidente Yoon Suk-yeol, che ancora nel pieno della campagna elettorale, quando gli è stato chiesto un commento sullo sciopero in corso, ha risposto che dipendenti e direzione avrebbero dovuto risolvere il loro conflitto senza coinvolgere del governo. Non è stato l’unico commento infelice in ambito lavorativo: a luglio dello scorso anno, mentre definiva come “politica fallimentare” la decisione dell’amministrazione di Moon Jae-in di limitare la settimana lavorativa a “sole” 52, sosteneva che nell’ambito delle start-up sarebbe servito permettere turni settimanali di 120 ore, quando necessario.
Le ultime elezioni hanno visto l’attuale presidente e gli altri candidati limitare lo spazio del proprio programma elettorale dedicato ai punti deboli nelle leggi sul lavoro. Una differenza netta rispetto alle elezioni del 2017, dove temi quali l’aumento del salario minimo, la riduzione dell’orario di lavoro e la risoluzione delle problematiche relative al mercato occupazione erano in cima all’agenda degli impegni politici dei principali candidati, Moon in primis. E in contrasto con gli effetti problematici che la crisi pandemica ha inflitto al mercato del lavoro: nel 2020 le persone occupate sono state 218 mila in meno rispetto al 2019, riducendosi a 26,9 milioni – ai minimi storici dalla crisi del 1997-1998.
Profitti e competizione
In compenso, la logistica e il food delivery hanno registrato numeri da record. Come nel resto del mondo, le società del settore hanno approfittato di un rinnovato bisogno di prodotti consegnati a domicilio. La più nota app di consegna di cibo del paese, Baedal Minjok (in coreano “la nazione del delivery”), conosciuta come Baemin, ha superato per la prima volta il miliardo di won di profitti – 1,09 miliardi, per la precisione. In tutto il 2020 i suoi 10 milioni di utenti mensili attivi hanno ordinato pasti per un valore di 15,7 miliardi di won, un aumento del 78,4% rispetto al 2019.
Negli ultimi due anni la competizione tra le società intenzionate a ritagliarsi uno spazio nel fiorente mercato si è fatta talmente smodata che alcune società sono capitolate. A fine 2021 il gruppo berlinese Delivery Hero ha deciso di sopprimere il servizio di consegna di generi alimentari su richiesta, Yo Mart, affiliato alla seconda app di food delivery dopo Baemin, Yogiyo. Pare che già a settembre dello scorso anno la società avesse iniziato a recedere i contratti di affitto di centri di smistamento nei distretti più centrali di Seul.
Yo Mart era rimasta di proprietà di Delivery Hero malgrado la vendita, confermata lo scorso agosto, di Yogiyo: lo aveva imposto l’organo antitrust Korea Fair Trade Commission (KFCT) alla multinazionale come condizione perché potesse acquistare Woowa Brothers, società madre di Baemin – per evitare, quindi, un quadro di completo monopolio. Nel 2020, con l’intenzione di ampliare il mercato asiatico, la società berlinese ha deciso di riporre le sue speranze nell’app regina del food delivery sudcoreano, l’ultima tra le “conquiste” della società berlinese – fun fact: Delivery Hero è anche proprietaria della spagnola Glovo e vanta tra i maggiori azionisti il gruppo sudafricano Naspers, una delle maggiori società tech al mondo, tra i primi azionisti di Facebook e ora anche della big tech cinese Tencent e dell’indiana Swiggy (di consegna espressa di cibo in India ne avevamo parlato qui).
Se è vero che Woowa Brothers è riuscita a garantisce il 50% dei profitti globali di Delivery Hero, pare che nei mesi scorsi abbia perso uno o due punti percentuali della quota di mercato a causa delle vantaggiose promozioni di Coupang Eats, servizio di food delivery lanciato nel 2019 dal gigante dell’e-commerce Coupang. Come riportano alcune fonti del Korea Times, la società madre di Baemin si sentirebbe sottoposta a una “enorme pressione” per aumentare i suoi profitti, pena la scure della chiusura, come si è già visto in Germania e in Giappone con altre attività di Delivery Hero che si sono mostrate non redditizie, e come dimostrato dal caso Yo-Mart. In un ecosistema altamente competitivo, a giugno del 2021 Woowa Brothers ha lanciato Baemin 1, un servizio di consegna più rapido, simile alla “Rocket Delivery” di Coupang – che garantisce, in poche parole, la consegna di qualsiasi prodotto di qualsiasi misura nelle prime ore del mattino successivo.
Di recente anche una banca commerciale, la Shinhan Bank, ha lanciato una app di food delivery: i servizi sono stati avviati a dicembre in cinque distretti della capitale, e vantano la commissione più bassa sul mercato, il 2%, rispetto alla media del circa l’11,4% degli altri operatori. Non è l’unico esempio di istituti bancari che hanno allungato le mani sui servizi di consegna, una risposta, dicono alcuni, all’infiltrazione delle grandi compagnie tech nel business della finanza – come i colossi Naver e Kakao.
Le perdite di Baemin, dicono alcuni osservatori, sarebbero motivate anche dall’aumento dei costi di consegna, a sua volta legato alla crescita del costo del lavoro. E le responsabilità sarebbero da imputare alle recenti prese di posizione del governo per garantire i diritti di base ai lavoratori gig.
Sono lavoratori essenziali, ma gig restano
A dicembre il Ceo di Delivery Hero, Niklas Oestberg, lamentava in un tweet le difficoltà che affliggono il settore in Germania e che invece sono assenti in Corea del Sud, facendo sottintendere che le regole del lavoro coreane sono più permissive rispetto a quelle nell’Unione Europea, dove si discute di una proposta di legge per rendere i partner di consegna veri e propri dipendenti.
Come riporta un articolo di Korea Exposé, secondo i dati ufficiali dello scorso novembre “2,2 milioni – l’8,5% dei coreani occupati tra i 15 e i 69 anni – si guadagnano da vivere sulle piattaforme online. Di questi, circa il 30% (660 mila persone) lavora nelle consegne e nei trasporti”. Ma mentre il mercato è cresciuto e i consumatori si sono abituati alla disponibilità di servizi di consegna sempre più puntali e veloce, le autorità sono intervenute per provarea riportare ordine nell’economica digitale.
Tra il 2020 e il 2021, l’amministrazione di Moon ha riconosciuto il ruolo dei lavoratori gig definendoli “essenziali” e gli organi regolamentatori hanno indirizzato multe e indagini alle società sul podio del mercato del food delivery: Woowa Brothers è stata posta sotto esame per aver violato alcune clausole stabilite dalla KFCT. Yogiyo e Coupang sono stati multati per aver esercitato pressioni sui ristoranti per abbassare i prezzi, pena l’esclusione dalla piattaforma, e per aver tentato di indurre i ristoratori ad alzare i prezzi sulle piattaforme rivali.
In ultimo, il 2021 l’Assemblea Nazionale ha approvato un disegno di leggere per garantire ai platform workers maggiori diritti, come l’indennità di disoccupazione, l’assicurazione per gli infortuni e il congedo di maternità. Un intervento legislativo importante ma che, come hanno evidenziato in molti, non affronta il vero problema: non scalfisce, infatti, la possibilità di formulare “rapporti di collaborazione” con gli addetti alle consegne, che restano lavoratori gig privi delle basilari garanzie contrattuali.
E i lavoratori?
Il caso riportato all’inizio dimostra come i rider e gli autisti abbiano iniziato a sindacalizzarsi per pretendere condizioni di lavoro migliori. Rider Union, nato nel 2020, ha agito anche per sensibilizzare l’opinione pubblica sui casi di gwarosa, “morte per superlavoro”: in quello stesso anno se ne sono registrate 16 tra gli addetti alla consegna di cibo a domicilio, e 14 tra gli autisti della logistica. Un caso ha riguardato un lavoratore della Hanjin Express, che è stato trovato morto a ottobre dopo aver scritto a un amico di stare vivendo un “momento difficile” e di essere arrivato a consegnare, in quella giornata, 420 pacchi.
In quei mesi l’indignazione pubblica nei confronti delle conseguenze di turni lunghi e stressanti per la salute psicologica e cardiovascolare ha spinto alcune famiglie a lasciare bevande o snack fuori dalla porta di casa assieme a note di incoraggiamento e di gratitudine per i lavoratori delle consegne. Ma, cosa più importante, ha fatto sì che giuristi ed esponenti politici iniziassero a discutere della proposta di legge menzionata nel paragrafo precedente.
Una maggiore attenzione pubblica al problema è già buona cosa. Ma per un effettivo miglioramento delle condizioni lavorative dei lavoratori gig serve un intervento mirato e continuato che veda la collaborazione dei gruppi della società civile e i funzionari governativi. Lo ha detto ad Al Jazeera Park Ji-soon, professore di diritto della sicurezza sociale alle Korea University, che ha aggiunto che c’è bisogno di “un sistema di contrattazione collettiva che sia adatto alle esigenze speciali di questi lavoratori”.
Marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con una tesi di storia contemporanea sul caso Jasic. Ha collaborato con Il Manifesto, Valigia Blu e altre testate occupandosi di gig economy, mobilitazione dal basso e attivismo politico. Per China Files cura la rubrica “Gig-ology”, che racconta della precarizzazione del lavoro nel contesto asiatico.