Di recente la nota app cinese di shopping, il cui bacino di utenti negli Stati Uniti e in Europa registra crescita costante, è stata accusata di fare uso di interfaccia ingannevoli per convincere i consumatori a comprare di più. Questo e altro in una puntata di Gig-ology che esula un po’ dalle questioni meramente contrattuali.
Dal suo debutto negli Stati Uniti a fine 2022 e durante la rapida ascesa in Europa, la piattaforma di shopping online cinese Temu è stata sottoposta all’occhio vigile di autorità nazionali ed enti di controllo. Le critiche e le preoccupazioni non sono servite a contrastarne l’ascesa. Secondo le stime aggiornate, la piattaforma conta 167 milioni di utenti attivi in tutto il mondo, oltre il 600% in più rispetto allo scorso anno e non molto distante dai 197 milioni di Amazon. A riservarne un’accoglienza tutt’altro che cordiale è stato anche il colosso di fast fashion Shein, con cui condivide la nascita nella Repubblica popolare e un modello logistico che fa a meno di passaggi intermedi in magazzini di stoccaggio e porta la merce direttamente al consumatore: a fine 2022 Shein ha depositato una causa negli Stati Uniti contro presunti commenti denigratori sul suo conto a opera di infleuncer assoldati da Temu, inaugurando un anno di reciproche cause legali.
Ma quali sono gli ultimi episodi della avvincente “Temu saga”? Uno sguardo alle recenti vicissitudini che hanno coinvolto l’app che promette ai suoi clienti di fare “shopping da miliardari”, inclusi sforzi di regolamentazione per limitarne i dark patterns e strategie adottate dagli altri colossi dell’e-commerce per far fronte alla crescente competizione.
Europa
Dopo le critiche alle condizioni di sfruttamento del lavoro che interessano le sue aziende fornitrici e all’impatto ambientale del suo sistema produttivo, Temu sarebbe colpevole anche di manipolare i propri utenti. È quanto sostiene l’Ufficio europeo delle Unioni dei consumatori (il BEUC, acronimo di Bureau Européen des Unions de Consommateurs), che lo scorso maggio ha annunciato di aver presentato alla Commissione europea una denuncia contro le pratiche manipolatorie a danno dei 45 milioni di utenti attivi mensili che conta in Ue. La piattaforma, come sostiene Monique Goyensu, direttrice del BEUC, farebbe uso di interfacce ingannevoli (i cosiddetti dark pattern) per incoraggiare i consumatori a spendere di più. Le informazioni sui prodotti sono insufficienti e, inoltre, l’app di e-commerce pone gli utenti che intendono chiudere il loro account “di fronte a un percorso a ostacoli”.
Le pratiche violerebbero le norme più stringenti a cui l’app è sottoposta dal 31 maggio, quando è stata riconosciuta dalla Commissione europea come una “piattaforma online di dimensioni molto grandi” (VLOP) ai sensi del Digital Services Act, il regolamento europeo sui servizi digitali approvato a luglio del 2022. Entro la fine di settembre, come si legge nella nota ufficiale, la società dovrà sottoporsi all’obbligo di “valutare e mitigare [..] qualsiasi rischio sistemico derivante dai propri servizi, tra cui l’inserimento e la vendita di merci contraffatte, prodotti non sicuri o illegali e articoli che violano i diritti di proprietà intellettuale”. A Temu verrà richiesto un rapporto annuale di valutazione del rischio, inclusi sforzi per garantire maggiore trasparenza sugli algoritmi di raccomandazione utilizzati e i termini di servizio. Reclami non dissimili da quello del BEUC sono stati presentati anche dalle autorità nazionali competenti di 17 paesi membri, tra cui Francia, Svizzera e Paesi Bassi.
Stati Uniti
Lo scorso aprile l’agenzia statunitense Customs & Border Protection (CBP), il maggiore organo di controllo doganale e di sicurezza delle frontiere, ha rinviato il mandato del Dipartimento di sicurezza nazionale che prevedeva maggiori controlli per le spedizioni “de minimis”, per intendere gli ordini giornalieri ad personam di valore inferiore agli 800 dollari, esenti dai dazi e di rado sottoposti a ispezioni. Le stime relative allo scorso anno indicano che un terzo delle spedizioni “de minimis” proveniva proprio dal duo Temu&Shein. Ma la tregua non durerà molto: CBP starebbe infatti mettendo a punto un processo più rapido di elaborazione automatica di questo genere di pacchi, capace di rifiutare automaticamente le spedizioni i cui dati non sono stati compilati in maniera idonea. In sostanza, si prevede di modificare i programmi obsoleti per aggiornarli di fronte alla crescente mole di prodotti al dettaglio acquistati online e finora passati semi-inosservati.
L’esenzione fiscale per gli ordini a basso costo è attiva anche in Ue e riguarda pacchi di valore inferiore ai 150 euro. Ma a fine maggio la Germania ha reso noto di essere favorevole a porre un freno alle agevolazioni.
Brasile
Se da una parte si temono controlli sempre più ferrei, dall’altra le porte del business vengono spalancate. A fine maggio il Brasile ha annunciato un programma di agevolazioni fiscali che esenta i beni fino a 50 dollari dalle tasse di importazione, secondo la strategia nazionale di esenzione fiscale “Remessa Conforme”. Il tanto atteso debutto di Temu nel paese ha finalmente avuto luogo il 6 giugno, salutato da un boom di contenuti online che tentano di testare l’affidabilità del suo servizio.
Corea del Sud
L’ingresso nel paese asiatico, invece, risale a luglio dello scorso anno. E in questi mesi Temu ha già dato filo da torcere al gigante sudcoreano Coupang, per anni leader indiscusso del settore. È un “mercato molto competitivo”, ha ammesso di recente il fondatore Kim Bom-suk, che lo scorso anno si è aggiudicato il titolo di miliardario più giovane del paese. Nel giro di un anno AliExpress ha raggiunto quota 8,58 milioni di utenti sudcoreani, mentre Temu ad oggi ne conta 8,28 milioni. Con all’attivo 20 milioni di clienti, Coupang sta già correndo ai ripari giocando la carta della diversificazione. Di fronte all’infinita offerta di prodotti a basso costo disponibile sui competitor cinesi, una soluzione sembra quella di puntare ad altri target. O, secondo le parole di Kim, fornire “un’experience di nuova generazione per l’e-commerce”. Lo scorso gennaio ha acquistato la piattaforma britannica Farfetch Holdings, specializzata in oggetti di design e beni di lusso. “Non ci occupiamo di beni di consumo, non siamo un corriere e nemmeno una retail company”, ha chiarito il fondatore, mosso dalla volontà di sottolineare di non essere un mero rivenditore di cianfrusaglie. Ma gli investimenti massicci per contrastare la concorrenza (inclusi quelli per mettere a punto robot AI per la consegna) hanno contribuito a una perdita di utili di 24 milioni di dollari, la prima registrata in due anni. Il trimestre gennaio-marzo 2024 chiude in ogni caso con un aumento di fatturato del 23% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Nel mentre, a metà maggio, la Korea Fair Trade Commission (KFTC) ha firmato un accordo con Ali Express e Temu per promuovere la sicurezza dei prodotti. Le misure sono state necessarie vista la “grande quantità di sostanze nocive per il corpo umano” che le ispezioni di sicurezza dell’ente di controllo governativo hanno rilevato nei prodotti venduta dalle due piattaforme. Si tratta del primo accordo di questo genere firmato da Temu.
Cina
In patria Temu porta per ora solo gioie. Ha contribuito al record dei ricavi della casa madre PDD Holdings, che nel primo trimestre del 2024 ha registrato un aumento del fatturato del 131%, arrivando a quota 86,81 miliardi di yuan. Pinduoduo, di cui Temu è la versione cinese, dal 2015 ha iniziato a investire nel mercato inesplorato dei prodotti agricoli, per poi mettere al punto il modello di “social shopping” e tutto ciò che ne consegue: gamification dell’esperienza di acquisto, codici sconti da inviare agli amici e coupon rintracciabili un po’ ovunque nel web. I suoi prezzi stracciati attirano sempre più cittadini della Repubblica popolare, il cui potere di acquisto è intaccato dalla crisi del settore immobiliare e dell’aumento del debito locale.
Ma di recente PDD è finita al centro di uno scandalo legato a un’inchiesta condotta dal Financial Times, che ha raccolto le testimonianze di alcuni ex dipendenti della società. I dieci intervistati hanno raccontato di essere stati intercettati e aver subito pressioni legali una volta aver lasciato l’azienda, con il pretesto della clausola di non competizione tra aziende rivali. A inizio aprile la notizia ha fatto il giro delle testate internazionali, alimentando il timore già diffuso che le app cinesi usino in maniera illecita i dati di utenti e collaboratori.
Marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con una tesi di storia contemporanea sul caso Jasic. Ha collaborato con Il Manifesto, Valigia Blu e altre testate occupandosi di gig economy, mobilitazione dal basso e attivismo politico. Per China Files cura la rubrica “Gig-ology”, che racconta della precarizzazione del lavoro nel contesto asiatico.