Qualcuno già lo chiama “macarthismo alla giapponese”. Manifestanti e attivisti bollati “di sinistra” attenzionati e arrestati, giornali e tv sempre più sotto controllo, libertà accademica messa sotto minaccia dalla crescita, anche su Internet, della destra. Che sotto Abe sembra essersi rafforzata. Il secondo governo Abe – che da mesi chiama a un nuovo sforzo nazionale in vista delle Olimpiadi 2020 – prosegue nella sua svolta a destra, a quasi settant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale.
L’ultimo episodio richiama alla memoria il periodo della contestazione degli anni ’60 e ’70. Una squadra di polizia in assetto antisommossa ha fatto irruzione in un dormitorio dell’Università di Kyoto, nel Giappone centrale, in quella che le agenzie hanno descritto come una risposta dura ai movimenti di sinistra in cui sarebbero coinvolti studenti del prestigioso ateneo.
Oltre cento agenti di polizia, con tanto di elmetti e scudi, supportati da altri agenti in borghese, hanno perquisito la struttura, il “Kumano-ryo”. I media locali riportano che l’irruzione aveva l’obiettivo di “prevenire disordini” all’interno del dormitorio in seguito all’arresto di tre studenti – due dei quali residenti nel dormitorio – durante una manifestazione per il lavoro a Tokyo a inizio novembre. I tre, tutti appartenenti al sindacato nazionale studentesco, la Zengaku-ren, sono stati arrestati per “interferenze a un funzionario dello Stato nell’esercizio dei suoi doveri”.
Secondo alcuni media giapponesi, la residenza sarebbe la base di un comitato autonomo di studenti di ispirazione marxista. Nei giorni scorsi alcuni di loro avevano partecipato al sequestro di alcuni agenti di polizia in borghese scoperti all’interno dell’ateneo di Kyoto appena due giorni dopo l’arresto dei tre studenti, il 2 novembre. Gli agenti erano stati poco dopo riconsegnati alle autorità cittadine.
L’irruzione nel dormitorio di Kumano è l’ultimo di una serie di eventi che ha riportato l’attenzione pubblica sul tema del rapporto tra Stato e università. La costituzione giapponese post-bellica infatti tutela all’articolo 23 la “libertà” e l’”indipendenza” all’interno delle mura accademiche.
Tuttavia, nei mesi scorsi, le università sono diventate oggetto di attacchi da parte di gruppi radicali molto attivi anche in rete – e per questo identificati generalmente come netto uyoku (destra della rete): il caso che più ha suscitato scalpore è stato quello di Takashi Uemura della Hokusei Gakuen University di Sapporo.
La nomina a docente part-time di Uemura, autore negli anni ’90 di alcuni articoli sulla questione delle comfort women, le donne costrette a prostituirsi per l’esercito giapponese durante gli anni dell’occupazione militare in Asia, avrebbe provocato una sequela di email, telefonate e fax minatori nei confronti del personale e degli studenti dell’università.
Gli attacchi ai danni di ex cronisti dell’Asahi hanno fatto il paio con quello che è stato soprannominato “Asahi bashing“. Quest’estate infatti il quotidiano giapponese, considerato da molti bastione dell’informazione libera in Giappone, ha ritirato oltre dieci articoli dedicati al tema delle comfort women scritti sulla base di testimonianze rivelatesi false. A questo ha fatto seguito una campagna di demolizione mediatica dell’Asahi da parte di altri quotidiani e magazine giapponesi.
Un’operazione che ad alcuni osservatori è parsa coerente con la stretta sull’informazione avviata dal governo di Shinzo Abe con la nomina di Katsuto Momii, un uomo a lui vicino e di chiare posizioni revisioniste, al vertice dell’emittente pubblica nazionale Nhk.
I singoli episodi sono però da inquadrare in un contesto più ampio. Secondo Koichi Nakano, docente di scienze politiche alla Sophia University di Tokyo, il ritorno di Abe al governo (era già stato premier nel 2006) ha favorito il rafforzamento delle destre extraparlamentari, in particolare di gruppi come la Zaitokukai, che si oppone ai residenti di origine coreana in terra giapponese.
Nelle ultime settimane l’esecutivo Abe è finito sotto attacco dopo rivelazioni circa i legami tra Eriko Yamatani, presidente della Commissione nazionale per la Pubblica sicurezza, e Sanae Takaichi, neo-ministra dell’Interno, con gruppi della destra radicale.
“È una situazione paragonabile alla Germania di Weimar”, spiega sul Japan Times Sven Saaler, storico del Giappone presso la Sophia University di Tokyo. Mentre la repressione a sinistra è forte, “a destra si chiude un occhio”.