Giappone – Ritorno sul mercato delle armi

In by Gabriele Battaglia

Da un anno alcune grandi aziende giapponesi sono tornate nel mercato delle forniture belliche. Il percorso sembra essere però tutto in salita: bisogna trovare commissioni e costruire una rete globale che al momento manca. Al contrario della concorrenza. Una delle poche foto disponibili di lui online lo ritrae come un comune salary man, in completo e borsa di pelle, come se ne vedono tanti in giro per il Giappone. Toru Hotchi, però, non è un comune impiegato. Per prima cosa perché i suoi interlocutori sono alti ufficiali di eserciti e marine straniere. In secondo luogo perché da circa un anno è uno degli uomini di punta del ministero della Difesa giapponese.

Ufficialmente, il suo incarico è direttore della divisione per gli armamenti. Nella pratica, il suo ruolo è fornire una sorta di “servizio clienti” per le armi, facendo ispezioni e offrendo consulenza ai possibili acquirenti asiatici – con un occhio di riguardo al Sudest – di prodotti di settore made in Japan.

Ad aprile del 2014, il governo giapponese ha rivisto i «tre principi fondamentali sull’esportazione di armi» trasformandoli nei «tre principi sul trasferimento di equipaggiamento militare». Stando a quanto pubblicato dal ministero della Difesa, Tokyo esporterà solo ai Paesi che risulteranno avere una «gestione appropriata» dell’equipaggiamento richiesto.

Le forniture saranno infatti legate a obiettivi specifici e concesse solo dopo attente indagini e controlli da parte dei funzionari giapponesi. Ogni violazione degli accordi presi comporterà la fine della fornitura.

La fine del bando autoimposto dal governo Sato nel 1967 e rivisto poi a distanza di nove anni era stata paventata nel 2013 dall’allora ministro della Difesa Itsunori Onodera.

L’ex titolare del Boei-sho si era espresso molto chiaramente dichiarando, a settembre di quell’anno, che il Giappone era escluso dalla competizione mondiale per gli equipaggiamenti militari. Di lì a poco sono arrivate la decisione del governo e il ritorno delle grandi aziende giapponesi – Mitsubishi e Kawasaki Heavy Industries in primis – sul mercato delle forniture belliche.

La mossa ha subito attirato l’attenzione di alleati e possibili clienti. A maggio del 2014, i rappresentanti delle aziende nipponiche sono al padiglione giapponese a Eurosatory, fiera europea degli armamenti. È solo l’inizio.

A luglio Tokyo, attraverso il Consiglio di sicurezza nazionale – un organo fortemente voluto dal Primo ministro Shinzo Abe per assicurarsi una gestione centrale delle politiche di difesa – dà il via libera all’esportazione di componentistica per i sistemi missilistici terra-aria Patriot in dotazione alla difesa Usa e a ricerche congiunte con il governo britannico per le tecnologie di seeking per missili aria-aria. La speranza è che il progetto, che vede coinvolta anche l’Unione europea, porti allo sviluppo di una tecnologia da utilizzare sugli F-35.

Un paio di mesi più tardi ecco un secondo annuncio: l’Australia dichiara interesse per i sottomarini Soryu, mezzi da oltre 4 mila tonnellate a motore ibrido diesel-elettrico con un’autonomia fino a due settimane di navigazione. Un accordo dal valore compreso tra i 15 e i 40 miliardi di dollari, che di recente è stato difeso dal governo di Canberra, interessato a rinnovare la propria flotta e a tenere il passo con i vicini.

L’Australia sembra infatti intenzionata a proporsi come “potenza di contenimento” nella regione dell’Asia-Pacifico dove, entro il 2030 – stimava qualche tempo fa il Wall Street Journal – ci sarà più della metà dei sottomarini del mondo.

Al di là dei piani di ammodernamento degli apparati di difesa di Malaysia, Indonesia e Singapore, citati ancora dal quotidiano economico Usa, va ricordato lo sforzo dell’India. A febbraio, Delhi ha approvato un aumento dell’11 per cento nel suo budget per la difesa, che è salito a 40 miliardi di dollari, un primo assaggio dei 150 che ha in piano di spendere da qui al 2027.

Ed è proprio ai paesi emergenti come l’India e i paesi dell’area Asean – Filippine e Indonesia su tutti – che il Giappone punta per assicurarsi commissioni pesanti.

Lo svantaggio da colmare rispetto ad altri attori regionali è però pesante.

La Corea del Sud, in particolare, attraverso le sue grandi corporation (come Hyundai, Daewoo e Samsung) è riuscita a mettere in pericolo il quasi monopolio Usa nel settore, offrendo forniture a prezzi molto più concorrenziali. Il ritorno del Giappone nel mercato globale di armamenti può anche essere letto in questa chiave. E almeno nelle intenzioni sembra andare nella direzione del rafforzamento della cooperazione con gli alleati storici, come Usa e Regno Unito.

Con Londra l’intesa è stata sottolineata, lo scorso gennaio, da un summit 2+2 tra i ministri degli Esteri e della Difesa delle due parti. Durante i colloqui, si è parlato di una probabile fornitura di aerei da pattuglia costiera prodotti dalla Kawasaki e attualmente in dotazione alle Forze di autodifesa nazionale (Sdf) giapponesi.

Per i fornitori giapponesi c’è però un ostacolo. Essendo stati fuori dal mercato per lungo tempo, non hanno al momento la rete globale in grado di garantire i servizi cosiddetti after sale ai propri clienti. È proprio a questo fine che uomini come Hotchi, lavorando nell’ombra, possono diventare cruciali.

Ma il lavoro è di quelli lunghi e logoranti. E la corsa ad accaparrarsi clienti potrebbe rivelarsi troppo affrettata. Prima di correre, infatti – scriveva il Nikkei shimbun, principale quotidiano economico giapponese, «bisogna imparare a camminare»

[Scritto per Linkiesta; foto credit: ap-perspective.blogspot.jp]