Il Giappone è anche quest’anno uno degli outsider del Mondiale. Ma come per ogni edizione dell’appuntamento calcistico per eccellenza, anche nel Sol Levante la tensione è alle stelle. Come giocheranno i samurai blue quest’anno? Come si presentano i campioni asiatici alla kermesse brasiliana? Un punto. Come ogni quattro anni arriva puntuale l’appuntamento con i Mondiali. Archiviate le vuvuzela sudafricane, in molti già si chiedono chi vincerà (le quotazioni della squadra di casa sono ovviamente le più alte) e quale sarà il tormentone dell’edizione brasiliana.
Come da 16 anni a questa parte – tralasciando l’edizione 2002 giocata in Giappone e Corea del Sud – anche la nazionale giapponese si presenta puntuale al principale appuntamento del calcio globale dopo aver sbaragliato l’agguerrita concorrenza di Australia, Iraq, Oman e Giordania. L’entusiasmo è stato naturalmente contenuto.
Il calcio è oggi uno degli sport più popolari e seguiti nel paese del Sol Levante. E oggi più che mai la passione calcistica dei giapponesi è internazionale: dei 23 convocati per l’avventura mondiale, 12 giocano in Europa, tra Germania, Italia e Gran Bretagna.
Uomo simbolo dei “samurai blue”, il nickname della nazionale giapponese, è Keisuke Honda. Il ragazzone ossigenato di Osaka è testimonial di punta di diversi brand nipponici e internazionali, dall’abbigliamento ai fast food ai videogiochi. E in ogni caso appare sempre alto, muscoloso e con quella punta di gangster che non guasta mai. Sempre però con l’alito profumato.
[Foto credit: livedoor.blogimg.jp]In Giappone Honda si era guadagnato l’appellativo di “imperatore”. Qualche tifoso del Milan ha di sicuro un termine diverso sulla punta della lingua.
[Fonte: tuttosport.com]
La pubblicità giapponese è come un mostro piuttosto spassoso che fagocita chiunque diventi un minimo famoso nel paese arcipelago. Al punto che ha coinvolto pure l’italiano più di successo in Giappone.
No, non l’insostenibile Girolamo Panzetta.
Anche Alberto Zaccheroni ne è infatti rimasto vittima. Il ct della nazionale giapponese in 4 anni dall’insediamento sulla panchina delle furie blu ha vinto una Coppa d’Asia, portato a una storica vittoria sulla rappresentativa argentina e centrato la qualificazione mondiale.
Pur avendo dichiarato di non poter immaginare una vita senza piadina, è finito a fare pubblicità a polpette di riso e té freddo.
Quest’anno il pasto dei campioni sembra però essere di matrice diversa: liofilizzata come gli instant ramen.
Ma facciamo un passo indietro. Era la metà degli anni ’90 e il Giappone scopriva la passione per il pallone. Fino a quel momento, il calcio nel Sol Levante era stato poco più di uno sport amatoriale.
La J-League, la lega professionistica nipponica, nasce nel 1993, circa un decennio dopo che la Fifa aveva deciso – con un "piccolo" appoggio da Toyota – di far ospitare la finale di coppa intercontinentale a Tokyo.
Dal punto di vista dell’uomo del Giappone, il calcio appariva diverso dai due sport che fin dal dopoguerra avevano intrattenuto i protagonisti del boom economico: baseball e golf.
Il calcio, infatti, a differenza di questi, era azione non stop, divise colorate, nomi improbabili: Nippon Ham Fighters, Chiba Lotte Marines, fino agli odierni Hiroshima Sanfrecce, Gamba Osaka e Fagiano di Okayama.
[Fonte: j-league.or.jp]
Per i giovani degli anni ’90, il calcio era uno schiaffo morale al conservatorismo dei genitori. James Sterngold, corrispondente del New York Times da Tokyo e futuro Premio Pulitzer, aveva sottolineato come rispetto a golf e baseball che avevano ormai assunto aspetti da arte marziale, il calcio giapponese di quegli anni, con i suoi brasiliani capelloni che scorrazzavano per i campi da gioco, era il “caos”.
E anche in Italia, fu in quegli anni che si scoprì che i giapponesi potevano giocare a calcio al di là dei cartoni animati.
E che non avevano nomi tipo Holly, Benji o Mark. Ma Hidetoshi, Shunsuke, Shinji, Yuto eccetera. Nemmeno cognomi come Hutton, Price o Becker ma Kagawa, Kawaguchi, Hasebe.
Verità scomode che Fininvest decise di nascondere (forse per nostra fortuna) quando nel 1986 acquistò i diritti dell’anime Capitan Tsubasa e ne commissionò il doppiaggio dando il via alla fortunata epopea di Holly e Benji. Da qui la damnatio per Misaki Taro o Ken Wakashimazu e il successo di Tom Becker o Ed Warner.
Fu proprio un Kazuyoshi a fare da apripista per l’approdo dei calciatori giapponesi in Italia. Dopo essere stato nominato calciatore dell’anno in patria, Kazuyoshi Miura arrivò al Genoa dove giocò 23 partite segnando un solo gol. Dopo di lui, sarebbero arrivati i vari Nakata, ancora oggi considerato il calciatore asiatico più famoso di sempre, Nakamura, Morimoto, Nagatomo e Honda.
Nonostante la buona volontà, il Giappone continua a essere considerata la squadra cuscinetto del girone, con poche possibilità di passare alla seconda fase. Secondo alcuni scommettitori il Giappone infatti ha lo 0,5 per cento di possibilità di vincere il mondiale di quest’anno contro il 23 del Brasile. Convocazioni sbagliate? Giudicate un po’ voi.