Nella mattinata di venerdì scorso, la Corea del Nord ha effettuato il suo quinto e più potente test nucleare. La notizia, come negli altri casi, ha avuto una grossa eco in Giappone. Il governo punta a inasprire le sanzioni contro Pyongyang. Ma la vicenda potrebbe avere anche ripercussioni sociali interne. Venerdì in mattinata, la Corea del Nord ha lanciato la sua ultima, in ordine di tempo, provocazione alla comunità internazionale. Alle 9 del mattino locale, una scossa di magnitudo 5,3 ha fatto tremare la terra intorno a Punggye-ri, località nel nordest del paese nota per essere un sito per test nucleari.
Subito dopo le agenzie di stampa ufficiali hanno confermato che il sisma era conseguenza dell’esplosione, andata a buon fine, di una testata nucleare in fase di studio e produzione.
Un modo per salutare il 68esimo anniversario della Repubblica Democratica del Popolo nel modo più spettacolare e di lanciare un avvertimento alle «forze ostili» al regime, guidate dagli Stati Uniti.
Il potere di deterrenza delle sanzioni delle Nazioni Unite sembra ormai ridotto al lumicino: il quinto test nucleare nordcoreano — il terzo da quando alla guida del paese c’è il giovane Kim Jong-un — è arrivato in barba alla risoluzione approvata a marzo di quest’anno a seguito di un altro test atomico e del lancio di un satellite in orbita.
Il nuovo test nucleare arriva invece dopo 21 lanci di razzi a medio-lunga gittata, alcuni dei quali sono caduti in acque territoriali giapponesi.
Non a caso il primo ministro giapponese Shinzo Abe, immediatamente dopo la notizia della riuscita del test, ha diffuso un comunicato in cui ha definito l’atto «assolutamente inaccettabile» dichiarando l’impegno del suo paese a fianco di Cina, Corea del Sud, Russia e Stati Uniti per l’approvazione di nuove misure restrittive nei confronti di Pyongyang.
La condanna più forte da parte giapponese, questa volta, non è arrivata tanto dai palazzi di Nagata-cho, il distretto di Tokyo dove si trovano i ministeri e il parlamento, bensì da alcune associazioni della società civile.
Primi fra tutti, i sopravvissuti dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, conosciuti in Giappone come hibakusha. Il quotidiano Mainichi Shimbun li definisce letteralmente «furiosi». «Più la comunità internazionale impone sanzioni sulla Corea del Nord, più i suoi leader tendono ad agire in modo stravagante nei confronti del resto del mondo. Ciò che quel paese fa va contro ogni tendenza al disarmo nucleare», ha spiegato al giornale Toshiyuki Mimaki, 74enne vice-presidente della Hidankyo, la Confederazione delle organizzazione delle vittime della bomba atomica, di Hiroshima.
«I leader politici nordcoreani continuano a ripetere questi atti oltraggiosi perché non hanno idea dei danni che le armi nucleari possono causare in realtà sulle persone», ha dichiarato Shizuko Abe, un’altra hibakusha di Hiroshima.
Qualcuno ha anche invitato il governo a prendere una posizione dura nei confronti di Pyongyang. «Sono preoccupato che questa catena di eventi negativi possa condurre a un incidente che provochi danni veri», ha spiegato al Mainichi Koichi Kawano, rappresentante della Gensuikin, il Congresso giapponese contro le bombe atomiche e all’idrogeno.
Parallelamente ai superstiti di Hiroshima e Nagasaki, hanno preso la parola le famiglie dei cittadini giapponesi rapiti e deportati in Corea del Nord tra gli anni 70 e 80. «La Corea del Nord è un paese terribile il cui modo di pensare è completamente diverso dal nostro. La situazione è peggiore di quando Kim Jong-il era al potere. È sempre più difficile risolvere il problema delle abduzioni», ha dichiarato Sakie Yokota madre di Megumi, ragazza simbolo della diatriba tra Tokyo e Pyongyang, un argomento molto sentito in Giappone tanto che il governo Abe dal 2013 ne ha fatto una delle sue priorità in politica estera. «Vorrei che il Giappone collaborasse con la comunità internazionale per rispondere in maniera decisa all’ultimo test nucleare».
Intanto, oltre alle preannunciate misure internazionali, l’ultimo test nucleare nordcoreano potrebbe ripercuotersi a livello domestico in Giappone. Oltre al sempre presente dibattito sulle abduzioni, c’è la questione dei finanziamenti pubblici alle scuole legate all’associazione Chongryon, di cui sono membri espatriati coreani, discendenti dei lavoratori deportati in Giappone durante la seconda guerra mondiale e «simpatizzanti» del regime del Nord.
Su queste, una decina frequentate da alcune centinaia di alunni in tutto l’arcipelago, dal 2013 si è stretta la morsa del governo conservatore che ha deciso di escludere gli studenti di scuole «impropriamente controllate» da gruppi politici dalle possibilità di borse di studio e forme di assistenza finanziaria.
La decisione del governo Abe ha aumentato la pressione sociale sui cittadini di etnia coreana, già oggetto del sospetto di molti giapponesi e in alcuni casi vittime di attacchi razzisti da parte di gruppi dell’estrema destra xenofoba giapponese.
«Ogni volta che c’è un problema tra il Giappone e la Corea del Nord — spiegava il direttore di una scuola nordcoreana al Guardian nel 2014 — riceviamo telefonate minatorie. Ci dicono di morire, o ci minacciano di rapire i nostri allievi».
[Scritto per Eastonline]