Giappone – L’arte di non scusarsi

In by Gabriele Battaglia

Le uscite del sindaco di Osaka, Hashimoto Toru hanno riportato l’attenzione sull’atteggiamento della classe dirigente giapponese nei confronti della storia. Alcune dichiarazioni del sindaco di Osaka sulle comfort women e di Abe sull’invasione giapponese dell’Asia ne hanno messo in luce tutta l’immaturità politica. Dopo le polemiche delle scorse settimane ha voluto affrontare anche la stampa estera. Hashimoto Toru, sindaco di Osaka e co-fondatore del Partito per la Restaurazione, ha voluto giustificare le sue uscite sulla "necessità" delle jugun ianfu, le donne che durante la seconda guerra mondiale vennero rapite e costrette a prostituirsi per il piacere dei soldati dell’esercito imperiale giapponese, impegnati sul continente asiatico. Frasi che all’estero non sono piaciute hanno trascinato l’astro nascente della politica nipponica sotto la lente delle cronache di mezzo mondo.

"È un peccato che sia stata diffusa un’immagine di me come uomo e politico opposta a ciò che penso veramente", ha esordito il politico in conferenza stampa al Club della stampa estera di Tokyo, ieri più che mai gremito. Colpa di resoconti parziali fondati su frasi "separate dal loro contesto" ha aggiunto il 43enne sindaco della terza città del Giappone.

Durante il suo intervento durato circa due ore, Hashimoto si è sforzato di chiarire alcuni punti: in primo luogo il proprio pensiero sulle cosiddette comfort women. Poi, ha negato che non ci sia mai stato una responsabilità diretta del governo di allora nella tragedia delle ianfu, che ha coinvolto oltre 200 mila donne coreane, cinesi e di tutto il sudest asiatico. "Non c’è bisogno di ricordare ancora una volta che il fatto che le donne siano state sfruttate dall’esercito giapponese è imperdonabile (…). Mai una sola volta ho affermato di approvarlo". Ma, spiega Hashimoto, non ci fu volontà di Stato in tutto ciò: "furono coinvolti l’esercito e alcuni imprenditori del settore privato"

"Se si pensa ai soldati che rischiavano la vita e a un modo per dargli un po’ di tregua, chiunque comprenderebbe che il sistema delle ianfu era necessario" aveva detto testualmente il sindaco di Osaka appena il 13 maggio scorso. Di fronte alla stampa estera, Hashimoto è stato costretto a ritrattare parzialmente. Ha riconosciuto che l’esercito giapponese tra gli anni 30 e gli anni 40 si è reso colpevole di gravi violazioni dei diritti umani. Ha quindi affermato la necessità di chiedere scusa alle donne coinvolte, "attribuendo estrema importanza alla dignità delle donne e ai diritti umani come valori universali del mondo contemporaneo".

Le cosiddette "donne di conforto" sono state oggetto nel 1993 di una dichiarazione ufficiale del governo giapponese. Una traduzione, quella del termine ianfu – a sua volta eufemismo per shofu, prostituta – quanto mai controversa perché messa a punto per evitare l’uso dell’espressione "schiave del sesso" e salvaguardare l’interesse di Stato giapponese.

L’allora Capo segretario di gabinetto, il capo portavoce del governo giapponese, Kono Yohei annunciava la conclusione di uno studio ad hoc sulla questione delle ianfu. "È evidente che ci siano state un gran numero di "donne di conforto (…) e che l’esercito giapponese sia stato direttamente e indirettamente coinvolto nello stabilimento e nella gestione delle case di piacere (…). Lo studio del governo ha poi dimostrato che in molti casi le donne erano reclutate contro la loro volontà (…). Vivevano in condizioni di povertà e in un clima di coercizione".

Le scuse di Hashimoto appaiono oggi in tutta la loro inefficacia. Anche perché il leader in condominio del terzo partito nazionale non ha risparmiato è il contrattacco, confermando molto di quanto aveva già affermato nelle scorse settimane. "È dimostrato che oltre al Giappone non sono pochi i paesi che hanno compiuto delle violazioni dei diritti umani. Quello che volevo dire è che la questione dev’essere affrontata sinceramente da tutti, non solo dal Giappone".

A stretto giro, il leader del Partito democratico del Giappone, Kaieda Banri ha risposto al sindaco di Osaka. "C’è un detto cinese secondo cui non si può avvolgere un fuoco nella carta. Mi pare che lui stia cercando di farlo con della carta oleata".

Sui crimini dell’esercito giapponese durante la seconda guerra mondiale, il dibattito è ancora aperto e non mancano posizioni apertamente revisioniste. Lo stesso primo ministro Abe, a fine aprile di quest’anno, aveva messo in discussione il termine "invasione" per le campagne militariste giapponesi sul continente prima e durante la seconda guerra mondiale. Anche Abe è poi tornato sui suoi passi riconoscendo che il governo giapponese si è reso responsabile di grandi sofferenze ai danni dei vicini asiatici.

Intanto però le gaffe del governo, le visite al santuario Yasukuni dove sono onorate le anime di alcuni criminali di guerra giapponesi hanno fatto molto rumore soprattutto in Cina e Corea. E di scuse, ufficiali o informali che siano, nemmeno l’ombra.

"Ritengo che i politici che rappresentano un paese abbiano la responsabilità di esprimere la propria visione della storia con parole che non lascino spazi a malintesi o dubbi", ha scritto sul sito della Nhk l’analista politico Ideishi Tadashi. "Vorrei che i politici pensassero non solo alle parole, ma soprattutto al loro effetto".

[Foto credits: news.yahoo.com]

*Marco Zappa nasce a Torino nel 1988. Fa il liceo sopra un mercato rionale, si laurea, attraversa la Pianura padana e approda a Venezia, con la scusa della specialistica. Qui scopre le polpette di Renato e che la risposta ad ogni quesito sta "de là". Va e viene dal Giappone, ritorna in Italia e si ri-laurea. Fa infine rotta verso Pechino dove viene accolto da China Files. In futuro, vorrebbe lanciarsi nel giornalismo grafico