Giappone – La questione della pena di morte

In by Simone

L’ultimo membro della setta Aum Shinrikyo è stato condannato alla pena capitale, evento che ha riaperto il confronto sull’applicazione o l’abolizione della pena di morte. Dal 1993 ad oggi 84 prigionieri sono stati giustiziati tramite impiccagione.
La giustizia ha fatto il suo corso, ma non completamente. C’è una macchina ancora da avviare e c’è chi giustamente si augura che ciò non accada. Possibilmente mai più.

Parliamo della setta Aum Shinrikyo. Il processo a carico di 13 membri del gruppo si è chiuso definitivamente, dopo lunghi 16 anni, nelle scorse settimane. Il controverso leader della setta, Shoko Asahara aveva fondato il culto nel 1984 ibridando cristianesimo, buddismo, induismo, ma anche la filosofia yoga e le predizioni di Nostradamus.

A fine novembre la Corte suprema giapponese ha confermato la condanna a morte anche per Seiichi Endo, l’ultimo affiliato a essere sottoposto a giudizio. Endo era il “ministro della salute e del welfare” all’interno della setta; secondo la Bbc, aveva studiato ingegneria genetica e virologia all’università e avrebbe dato il suo contributo alla realizzazione del gas sarin.

Fino a oggi Asahara non è stato sottoposto all’impiccagione – e con lui gli altri membri già condannati – perché in Giappone la pena può essere comminata solo alla conclusione di tutti i processi collegati.

La Aum Shinrikyo, oltre ad alcuni omicidi nel 1993 e a un attentato che uccise 8 persone nel 1994, colpì la metropolitana di Tokyo il 20 Marzo 1995 in una serie di attacchi simultanei con il gas nervino: 12 i morti e migliaia i feriti.
Le persone sotto processo sono state 189, di cui 13 destinate alla pena capitale. Molteplici i capi di imputazione: dall’assassinio al rapimento, alla creazione di armi e di gas nervino.

Contestuale al pronunciamento della Corte Suprema è iniziata una nuova ondata di pressioni affinché il ministro della Giustizia si risolva a dare seguito alla sentenza. Spetta infatti al governo prendere una decisione in merito alle esecuzioni nel rispetto del codice di procedura penale giapponese.

Il Mainichi Shimbun, in un articolo di novembre, si chiede se ci siano i presupposti per l’impiccagione – che è la forma di pena di morte ancora in vigore in Giappone. L’avvocato di Asahara ha infatti sostenuto che il guru soffre di infermità mentale.
Secondo fonti vicine all’ex capo carismatico, Asahara parla a malapena, si limita a qualche bisbiglio, trascorre le giornate nella più totale inedia e soffre di cronica incontinenza.

Ma l’opinione diffusa tra le forze dell’ordine è che Ashara non sia affetto da alcuna patologia mentale: “Ci sono diversi punti di vista, ma lui comprende il senso delle parole altrui”, ha detto un ufficiale.
Appellarsi all’infermità mentale è una delle ultime speranze per chi vuole evitare nuove esecuzioni in Giappone, visto che per casi del genere può essere prevista la sospensione.
L’attuale ministro Hideo Hiraoka, benché il suo partito abbia esplicitamente dichiarato di non aver intenzione di abolire la pena capitale, si è mostrato cauto sull’argomento.

L’ultima impiccagione ha avuto luogo nel luglio 2010 con il precedente governo democratico, guidato da Naoto Kan: due i detenuti uccisi. Secondo le organizzazioni umanitarie, le esecuzioni non si sono mai interrotte, se non per una moratoria di tre anni dal 1990 al 1993; da allora a oggi 84 prigionieri sono stati impiccati.

La sconcertante prassi giapponese è quella di non dare alcun preavviso rispetto all’esecuzione: il detenuto, una volta che la sentenza è definitiva, può essere portato via in qualunque momento e le famiglie vengono informate solo a cose fatte.

Il Japan Times, poche settimane fa, ha riportato che tredici personaggi pubblici – tra loro un regista, autore di un documentario sulla Aum Shinrikyo, il direttore di Japan Human Right Watch e un ex-giudice – hanno diffuso un documento per spronare la discussione pubblica sul tema e per chiedere al governo la sospensione delle esecuzioni finché il dibattito è in corso.

Nel comunicato si legge che “recenti proscioglimenti di persone in precedenza condannate hanno sollevato dubbi sulle sentenze comminate in passato” (uno degli ultimi eclatanti casi si è verificato nel maggio 2011 quando due uomini, grazie a un nuovo processo, sono stati prosciolti dall’accusa di omicidio dopo 29 anni in carcere).

La giustizia giapponese, del resto, è stata spesso criticata per le sue pratiche sbrigative. Come riportava il New York Times qualche tempo fa, il tasso di condanna dei processi si approssima al 100%: un dato che, sostengono in molti, crea il pregiudizio di colpevolezza per chiunque si trovi alla sbarra.

Anche l’associazione degli avvocati ha deciso di aprire la questione della pena di morte. La federazione, che in passato non ha adottato una posizione unanime anche per l’avversione di alcuni componenti, ha ora deciso di creare un comitato per perseguire l’abolizione della pena capitale.

Mentre anche Amnesty International, preoccupata per l’acuirsi del sentimento forcaiolo nell’opinione pubblica, facilmente infiammabile visti i tragici fatti della Aum Shinrikyo, ha rivolto un appello al ministro per bloccare le esecuzioni.

Intanto, il 2011 si è chiuso senza esecuzioni: il Mainichi Shimbun rileva che è la prima volta da 19 anni a oggi. Un buon auspicio anche per il nuovo anno appena iniziato.

[Foto credit: theutscmessenger.com]

* Benedetta Fallucchi, dopo una parentesi di attività nel mondo editoriale, si è dedicata al giornalismo. Collabora con alcune testate italiane e lavora stabilmente presso la sede di corrispondenza romana dello "Yomiuri Shimbun", il maggiore quotidiano giapponese (e del mondo: ben 14 milioni di copie giornaliere).