Giappone – La precarizzazione del lavoro di Abenomics

In by Simone

Efficienza, stabilità, professionalizzazione. Sono questi i concetti portanti della riforma del lavoro temporaneo voluta dal governo di Shinzo Abe nel tentativo di rivitalizzare l’economia giapponese e approvata dal parlamento giapponese l’11 settembre 2015. Ma la Abenomics, la politica economica-monetaria del premier giapponese, continua a non convincere gli economisti. Dopo essere stata archiviata per ben due volte a causa di errori nella stesura e ritardi nelle procedure nel 2014, la proposta sui lavoratori temporanei – i cosiddetti haken, che in Giappone comprendono anche tirocinanti e apprendisti – è diventata legge. Shinzo Abe ha messo così in cassaforte una delle più importanti riforme del mercato del lavoro giapponese da 30 anni a questa parte.

Le novità principali del provvedimento riguardano i limiti temporali d’impiego per chi viene assunto da un’azienda con contratto a termine.
Massimo 3 anni nello stesso posto con contratti a tempo determinato

La nuova legge istituisce un limite massimo di impiego di tre anni nello stesso posto di lavoro e abolisce le categorie di lavoratori specializzati – 26 in totale, tra cui interpreti e sviluppatori di software – che potevano essere assunti per un altro periodo con un nuovo contratto a tempo determinato. Superato il termine dei tre anni, dunque, il lavoratore deve trovare una nuova azienda. Sarà responsabilità delle agenzie per il lavoro – dice la nuova legge – aiutarlo nella ricerca.

Per la maggioranza e per il governo, il provvedimento «apre la strada verso l’impiego a tempo indeterminato ed è un sostanziale miglioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori temporanei».
Per i suoi sostenitori, la nuova legge non solo favorisce una maggiore stabilità ma, al contempo, dà la possibilità di fare nuove esperienze lavorative e acquisire nuove capacità che non potrebbero ottenere rimanendo nello stesso posto di lavoro per un lungo tempo.

Apprezzamento è arrivato – riporta la Nhk, la tivù nazionale giapponese – dalle grandi aziende. Durante una recente udienza pubblica del Comitato parlamentare sul Lavoro, alcuni dirigenti del settore automotive hanno espresso soddisfazione per una legge che «permette di competere su scala globale» e «contribuisce alla crescita delle aziende».

Chi si oppone al provvedimento sono soprattutto i lavoratori e i partiti di minoranza. Le conseguenze più gravi pesano sui lavoratori delle 26 categorie speciali abolite dalla riforma, spesso impiegati da anni presso la stessa azienda come consulenti o tecnici specializzati.
Ma anche per le altre categorie di lavoratori le cose non vanno meglio. La nuova riforma abolisce infatti l’obbligo per le aziende di “regolarizzare” dopo tre anni una mansione svolta da un lavoratore a tempo determinato o da un apprendista.
La stessa mansione potrà essere ora svolta senza limite di tempo da haken diversi.

Per le opposizioni quella che il governo intende creare con la riforma è «la società del posto fisso zero». Al momento la percentuale di lavoratori a tempo determinato è minoritaria – si calcola siano in totale circa 1,2 milioni di persone -, ma il dato è destinato a crescere negli anni.
Basta considerare che oltre il 20 per cento dei lavoratori giapponesi sono ultra 60enni e prossimi alla pensione.

La nuova legge sugli haken rientra nel piano di riforme strutturali del mondo del lavoro avviate dall’attuale governo di Tokyo a fine 2012 per rilanciare la terza economia mondiale dopo due decenni di stagnazione economica.
Con l’obiettivo di attrarre nuovi investimenti e rendere più competitivo il mercato del lavoro, l’amministrazione Abe aveva approvato misure per favorire un maggiore ingresso delle donne in posizioni manageriali nelle aziende nazionali e rivisto i requisiti sull’immigrazione per attrarre lavoratori altamente qualificati come tecnici e ricercatori.

La riforma arriva però in un momento in cui la cosiddetta Abenomics – politica di stimoli fiscali, investimenti pubblici e riforme strutturali del governo Abe – convince sempre di meno gli specialisti.
Nel trimestre aprile-giugno il Pil giapponese si è contratto dell’1,6 per cento a causa di un rallentamento dell’export e del consumo interno, mentre l’inflazione è tornata a livello zero. L’ultimo a esprimere dubbi sulla direzione intrapresa da Tokyo è stato Paul Krugman.
Durante una conferenza stampa a Tokyo il 10 settembre, l’economista premio Nobel si è detto «estremamente preoccupato» per l’uscita dell’economia giapponese dalla deflazione.

[Scritto per Lettera43; foto credit: businesstimes.com]