Giappone, la difficile marcia verso la multiculturalità

In by Gabriele Battaglia

 Se non era successo già prima, nelle ultime settimane il mito del Giappone «paese omogeneo» è entrato definitivamente in crisi. Dallo sport ai concorsi di bellezza alla politica, i successi degli «half» — i figli di coppie miste — sono il segno più evidente del cambiamento demografico e culturale. Tra i quattro corridori giapponesi vincitori dell’argento nella staffetta 4×100 delle scorse Olimpiadi di Rio, ce n’è uno che stupisce per la sua «diversità». La sua pelle è più scura degli altri, i suoi capelli tagliati corti e non fissati in ciuffi antigravitazionali. Il suo cognome poi, risalta in confronto ai vari Yamagata, Iizuka e Kiryu: «Cambridge».

Pochi minuti prima, Aska Cambridge aveva consegnato al suo paese la medaglia d’argento nella staffetta 4×100 che alle Olimpiadi di Rio vale come oro. Davanti a lui solo Usain Bolt, anche lui, al termine della gara, impressionato dalla velocità dei giapponesi: «negli anni hanno dimostrato di poter dare del filo da torcere a tutti», ha detto all’Associated Press.

Oltre alla velocità, con Bolt Aska ha in comune il sangue giamaicano. Il padre è infatti originario dell’isola caraibica mentre la madre è giapponese. Aska è infatti ciò che in Giappone chiamano haafu, termine ricavato dall’inglese «half» usato ormai comunemente per i figli di coppie miste. Ma dopo la vittoria di un argento, che, usando un’espressione trita, «vale come oro» è diventato il simbolo della gloriosa spedizione olimpica di quest’anno — 41 medaglie, record assoluto.

Aska è un predestinato: il suo nome scritto in caratteri cinesi significa «uccello in volo», espressione usata spesso come metafora per la velocità. Ad appena 23 anni è il nono uomo più veloce del Giappone e punta a correre i 100m sotto i 9:80 alle prossime olimpiadi di Tokyo.

Gli stessi caratteri vengono usati per riferirsi a un periodo storico, il periodo Asuka (592-645 d.C.), un’epoca di grandi trasformazioni sociali e politiche: fu in questo periodo che il buddhismo fu introdotto dalla Cina. Di più, il periodo Asuka — visto che l’argomento è di attualità di questi tempi — vide anche l’avvicendarsi di alcune imperatrici sul trono del Giappone.

u insomma un periodo di «crisi», di «cambiamento», un po’ come quello attuale. Dopo molti anni, i giapponesi stanno scoprendo gli elementi «disomogenei» interni alla società, gli haafu su tutti. La percezione di questi non è più di individui «bizzarri», «esotici» o feticci di bellezza.

L’emergere di giovani haafu nati all’inizio degli anni ’90, nel mondo dello spettacolo e dello sport soprattutto, sta facendo da leva per un radicale cambiamento di prospettiva. L’anno scorso, ad esempio aveva fatto discutere la nomina di Ariana Miyamoto — padre afroamericano e madre giapponese — a miss universo Giappone. Quest’anno, proprio pochi giorni fa, Priyanka Yoshikawa — padre bengalese e madre giapponese — è stata incoronata miss mondo Giappone.

«È l’inizio di qualcosa», ha dichiarato subito dopo il concorso la ragazza al quotidiano malese The Star. Yoshikawa, 22 anni, ha anche risposto alle accuse arrivate dal web di non essere abbastanza giapponese. «Avrebbero avuto comunque da ridire anche fossi stata 100 per cento giapponese. La verità è che oggi in Giappone ci sono tantissime persone da ogni parte del mondo e sempre più giapponesi con origini straniere».

Come Cambridge anche Yoshikawa è nata all’inizio degli anni ’90, un periodo in cui si sono registrati tra i 20 e i 30mila matrimoni misti all’anno, all’incirca al pari di oggi. Secondo le statistiche del governo, il boom di matrimoni misti si è toccato nel 2006, quando oltre il 6 per cento dei matrimoni in Giappone era tra coppie miste. «Io ho fatto la differenza, da persona di origini miste, venendo coronata miss mondo Giappone», ha aggiunto Yoshikawa. «E mi sento in dovere di portare avanti un cambiamento». 

Un cambiamento che oggi riguarda molto da vicino anche la politica giapponese. Renho Murata ha qualche anno in più di Yoshikawa, 48, ma con lei condivide l’essere di origine straniera e gli esordi come modella — negli anni ’80 era stata testimonial della Clarion, azienda di stereo e impianti hi-fi, e aveva posato in costume da bagno per alcuni rotocalchi. 

Nata Hsien Lien-fang, è da poche ore il presidente del partito democratico (Dp), il primo partito di opposizione del Giappone ed è, al momento, tra le figure politiche più amate del paese. Alle scorse elezioni per la Camera alta del parlamento è risultata la candidata più votata nella capitale.

Oggi non solo è la prima donna, ma è la prima donna di origine straniera a ricoprire il ruolo di presidente del Dp. Subito dopo l’elezione, Renho ha annunciato che il suo sarà un partito «rivoluzionario». E tra quattro anni potrebbe essere proprio lei la candidata dell’opposizione alla guida del governo. Il suo predecessore, Katsuya Okada, ha espresso il suo favore per la scelta di Renho, sostenendo che è lei la scelta giusta per un partito che sappia farsi garante di diversità e uguaglianza.

Ha rischiato però: secondo le rivelazioni della stampa giapponese, Renho non ha mai rinunciato al suo passaporto straniero. Fatto piuttosto comune tra i giapponesi figli di coppie miste, ma che nel caso della neo leader del Dp, probabile candidata premier dell’opposizione nel 2018, si è trasformato in uno scandalo nazionale.

Tecnicamente, da cittadina taiwanese, Renho è infatti soggetta ancora soggetta alla legge cinese e non a quella giapponese. Nella questione è intervenuto anche il governo. Il portavoce del governo Yoshihide Suga le ha chiesto di «assumersi le proprie responsabilità» e rinunciare alla seconda cittadinanza.

Isomma, la rivoluzione è partita. Ma la burocrazia e il conservatorismo di gran parte della classe politica e di ampi settori della società civile sono ostacoli particolarmente ardui da superare.

[Scritto per Eastonline]