Giappone – Il risparmio energetico impossibile

In by Gabriele Battaglia

 Dal disastro nucleare di Fukushima, il governo giapponese ha lanciato campagne nazionali di risparmio energetico. Ma non molto sembra essere cambiato in questi quattro anni: il Giappone rimane uno dei paesi con il maggiore fabbisogno energetico e tra i principali consumatori di energia al mondo. E, come rivelato da Wikileaks lo scorso agosto, ci sarebbe anche la mano americana. Setsuden, risparmio energetico. Da qualche anno è una delle parole più usate in Giappone. Strutture pubbliche e private sono coinvolte nello sforzo nazionale per risparmiare energia. Anche nella capitale Tokyo, una delle metropoli più popolose del mondo.

Nel 2013 fa la vicenda del giornalista giapponese Ken’ichi Saito aveva destato l’interesse dei media. Le ferite lasciate dall’incidente nucleare di Fukushima — che ha messo definitivamente in discussione la sicurezza dell’energia nucleare, di cui il Giappone, con i suoi 54 reattori, era uno dei primi produttori al mondo — erano ancora fresche.

Dopo l’incidente nucleare più grave della storia recente da Chernobyl, il governo aveva deciso di spegnere tutti i reattori e di sottoporli a controlli di sicurezza per evitare che in caso di grande terremoto si ripeta l’esperienza del marzo 2011. Da quel momento “setsuden” è diventato un mantra.

In quel contesto, Saito aveva lanciato una sfida: vivere con soli cinque ampere di corrente al giorno. Aveva cambiato quartiere, casa, stile di vita e aveva raccontato la sua esperienza sul giornale per cui lavorava, l’Asahi Shimbun.

Il fatto è che nonostante gli sforzi dei singoli e delle istituzioni per limitare gli sprechi energetici, a due anni di distanza dalla pubblicazione della storia di Saito, il Giappone rimane il paese con il più alto fabbisogno energetico al mondo, dietro a Stati Uniti, Cina e India, e, dopo Cina e Stati Uniti, è il terzo consumatore di energia al mondo. 

Se c’è stato, il cambiamento è stato minimo. Di sera le aree centrali delle principali città giapponesi continuano a essere un’esplosione di luci artificiali. Insegne luminose, luci dei ristoranti e di supermercati aperti 24 ore al giorno. Anche le aree periferiche e residenziali di metropoli come Tokyo sono illuminate da migliaia di distributori automatici di bibite fredde e calde.  

Soprattutto d’estate, poi, quando il clima si fa rovente e umido, quasi nessuno rinuncia all’aria condizionata in casa.Anche sui mezzi pubblici che spesso si trasformano in vere e proprie celle frigorifere (Non a caso, su alcuni vagoni dei treni metropolitani di Tokyo viene indicata la forza del getto di aria fredda consiglio: a meno che non siate amanti del freddo in piena estate, preferite, se ci sono, i jakureibosha, in caratteri cinesi: 弱冷房車, i vagoni dove l’aria condizionata è più debole). 

Fukushima ha contribuito alla diffusione della filosofia del setsuden, una tendenza visibile già prima dell’incidente nucleare, ma non ha inciso sensibilmente nella riduzione dei consumi. Come mostrano i dati della Banca mondiale, in media all’anno un giapponese consuma oggi 3600 chili di petroliorispetto agli oltre 4000 del 2005.

Un articolo apparso su Greentechmedia nel 2014 lodava gli sforzi del Giappone nell’aumentare l’efficienza del consumo e a promuovere iniziative di conservazione di energia, ovvero differenziare le proprie fonti di approvvigionamento di energia. Questa strategia ha però portato il Giappone a diventare uno dei massimi importatori al mondo di petrolio e gas naturale, ampliando il deficit della bilancia commerciale del paese arcipelago.

A ciò si lega anche l’aumento delle emissioni di anidride carbonica del paese arcipelago — quinto paese al mondo per quantità di CO2 emessa ogni anno. Secondo dati diffusi dal governo di Tokyo, nel 2014 le emissioni hanno superato la quota di 1,4 miliardi di tonnellate, con un più 0,8 per cento rispetto al 2005 e un più 10,8 per cento rispetto al 1990.

Entro il 2030 Tokyo punta a tagliare del 20 per cento le proprie emissioni. Ma la strada potrebbe non essere tutta in discesa.

Le ultime rivelazioni del sito Wikileaks sulle intercettazioni dell’Agenzia nazionale di sicurezza Usa (Nsa) hanno messo in luce poi il fatto che piani ambiziosi di riduzione delle emissioni di Co2 esistevano già ai tempi del primo governo Abe (2006-7). Una politica inizialmente nazionale che sarebbe dovuta essere discussa con gli altri paesi della comunità internazionale: un nuovo protocollo di Kyoto, che avrebbe previsto un taglio del 50 per cento delle emissioni entro il 2050. 

Piani che non avrebbero, spiega Wikileaks, incontrato il favore americano. E che il Giappone ha realizzato solo in minima parte. Ci è voluto un incidente come quello di Fukushima per invertire la tendenza. Ma solo di poco.

[Scritto per East online; foto credit: japantoday.com]