Giappone – Il caso delle radiazioni truccate

In by Simone

Una ditta che ha operato nela centrale di Fukushima avrebbe truccato le rilevazioni di radiazioni per non perdere l’appalto. Lo scandalo nasce da uno scoop dell’Asahi Shimbun, che ha raccolto testimonianze dirette di operai che si sono rifiutati di fare "cose che non si devono fare".
A più di un anno dal terremoto che ha devastato il nord est del Giappone l’11 marzo 2011, sulla radioattività della centrale di Fukushima Dai-ichi, ancora non c’è chiarezza.

L’ultima rivelazione è dell’autorevole quotidiano Asahi Shimbun: i lavoratori di una ditta subappaltatrice dei lavori di recupero dell’impianto termo-nucleare, la Build-up, sarebbero stati convinti, già nel dicembre dello scorso anno, a "truccare" i numeri registrati dai loro rilevatori di particelle radioattive nell’aria.

Questi apparecchi, chiamati ADP, vengono indossati da tutti gli operatori all’interno della centrale sotto la tuta protettiva, per misurare l’ esposizione del corpo a raggi gamma e beta. Grandi come dei cellulari di nuova generazione, ogni giorno sono uomini della Tepco a distribuirli a tutti gli operatori all’interno dell’impianto Dai-ichi.

Secondo le testimonianze di alcuni lavoratori raccolte dallo Asahi Shimbun, il 30 novembre del 2011, alcuni membri di un team operativo della Build-up si sarebbero riuniti con un loro responsabile all’interno delle strutture della centrale.

Una lastra di piombo spessa qualche millimetro, usata solitamente per il trattamento delle acque contaminate: ciò viene mostrato in quell’occasione agli operatori dell’ azienda edile. Il responsabile taglia con un paio di forbici da metallo delle lamine della lunghezza degli ADP. Le lamine dovevano coprire il rilevatore sulla parte anteriore, sui due lati e sul fondo. "Si piegavano con le mani", ha confermato un lavoratore presente quel giorno.

Questo piccolo espediente significa un enorme vantaggio, soprattutto economico, per la Build-up: garantirebbe all’azienda di rispettare il contratto d’appalto con la Tepco senza interrompere i lavori per eccesso di esposizione dei dipendenti alle radiazioni.

Il limite di esposizione in un anno è stato fissato per legge a 50 millisievert. Se i lavoratori si fossero introdotti nella centrale, ancora altamente contaminata, a rilevatori ADP scoperti, la verità sui livelli di esposizione dei lavoratori all’interno della centrale di Fukushima Dai-ichi, finora mai rivelata, sarebbe emersa in poco tempo.

Ai lavoratori che si domandavano a che cosa servissero quelle lastre di piombo, il responsabile non ha dato risposta. Numerate da 1 a 12, erano ormai pronte per essere applicate sugli ADP. Il dirigente prende così le lastre, le mette in un sacco biancastro e le infila sotto il sedile di un’auto della Build-up, in uso all’interno della centrale.

"Trovandoci in una marea di radiazioni, un anno è troppo poco. Il limite lo raggiungiamo in 3-4 mesi", si sente nella registrazione audio della riunione del 30 novembre 2011 raccolta dallo Asahi Shimbun. A parlare è proprio il dirigente della Build-up: "Se ognuno di noi non bada alla propria esposizione alle radiazioni, sarà difficile vivere per un anno in centrale".

"Ieri ho preparato [le lastre di] piombo. Entrate dopo averle montate", avrebbe detto lo stesso responsabile ai suoi uomini la mattina seguente. Secondo la ricostruzione del quotidiano giapponese, basata sulle testimonianze dirette degli operai impiegati nei lavori di ripristino delle strutture della centrale devastata dal sisma e dallo tsunami del marzo 2011, tre lavoratori si sarebbero rifiutati di prestare servizio.

Dalle registrazioni in possesso del quotidiano nipponico, risulta che almeno due lavoratori si sono opposti al piano per cancellare la verità legata all’esposizione alle radiazioni dei dipendenti all’interno dell’impianto gestito dalla Tepco. Il primo ha affermato la propria contrarietà dicendo di non avere intenzione di fare cose che "non si devono fare". Al secondo, invece, il trucco delle lastre di piombo "sembra un crimine".

A quanti si opponevano il dirigente avrebbe risposto con un laconico: "Chi non vuole fare il lavoro, può anche alzarsi e andarsene".

In totale, secondo il presidente della Build-up, i lavoratori che il primo dicembre 2011 sono entrati nella centrale devastata per lavorare sono nove, per un totale di tre ore di lavoro ciascuno.

Tentando di salvare l’immagine della propria impresa, il presidente della Build-up, Wada Takashi, ha ammesso che il dirigente, rimasto anonimo, "ha finito per commettere un errore grave", anche se questi, raggiunto telefonicamente dai giornalisti dello Asahi Shimbun, ha negato ogni suo coinvolgimento nella vicenda.

Rimangono tuttavia prove inconfutabili del piano dell’azienda per conservare l’incarico di subappalto e dell’atteggiamento del responsabile aziendale. "Se non nascondiamo i dosimetri", avrebbe concluso quest’ultimo, "raggiungiamo il limite di esposizione consentito e perdiamo il lavoro".

La Tepco, da parte sua, ha confermato di essere a conoscenza del piano, ma di averlo saputo solo indirettamente da un’altra ditta appaltatrice. Il Ministero della Salute di Tokyo ha avviato il 21 luglio scorso un’inchiesta sul fatto, invitando la Tepco a esercitare controlli più severi sulle ditte collaboratrici.

Il caso Build-up, da una parte, ha messo in luce tutta la debolezza del sistema di appalti e subappalti (in giapponese shitauke) su cui si fonda la ricostruzione post-Fukushima. A farne le spese sono i lavoratori, esposti per primi non solo al rischio di perdere il lavoro, ma anche la propria salute.

Dall’altra, la difficoltà delle autorità giapponesi a produrre informazioni affidabili sulla crisi che ha riguardato e interessa tuttora la centrale di Fukushima. Sono milioni ancora le persone che con le radiazioni hanno a che fare tutti i giorni, impercettibilmente, e decine di migliaia quelle che ancora vivono nei centri di accoglienza provvisori. Dopo più di un anno dalla catastrofe, vorrebbero tutti finalmente vederci chiaro.

[Foto credit: hangthebankers.com]

*Marco Zappa nasce a Torino il 3 gennaio 1988. Ottenuta la laurea triennale nell’ ateneo torinese, attraversa la pianura padana approdando a Venezia, dove si laurea in Lingue e Istituzioni Economiche e Giuridiche dell’Asia Orientale. Dopo un’esperienza di quasi un anno in Giappone, si trova a Pechino per vedere cosa c’è al di là del Mare (Giallo).