Giappone – Green economy contro il nucleare

In by Simone

A tre anni da Fukushima, il Giappone cerca di uscire da una crisi energetica che sta costando caro ai bilanci commerciali di Tokyo. Tenta di farlo puntando sulle fonti rinnovabili e, soprattutto, proponendosi come leader in un settore cruciale per l’economia del futuro.
Da due anni a questa parte sono sempre di più i "parchi energetici" riconosciuti ufficialmente dal governo che nascono da Nord a Sud per favorire il turismo verde e la sensibilizzazione della cittadinanza alle fonti alternative di energia. O ancora ai progetti per le Green cities, come Kitakyushu e Yokohama, per citare le più grandi, in cui lo sviluppo passa soprattutto dell’economia verde.
Segno che dopo Fukushima trovare alternative al nucleare è inevitabile. Ma anche conveniente dal punto di vista politico.

L’impatto del più importante incidente nucleare dopo Chernobyl si è fatto sentire nella vita quotidiana di milioni di giapponesi: lo spegnimento degli oltre 50 reattori nucleari del paese ha portato conseguenze poco gradite come blackout programmati e rincari in bolletta.

Con quasi l’80 pe rcento – come dicono alcuni sondaggi – dei giapponesi contrari alla dipendenza dall’energia nucleare, i governi che si sono avvicendati a Tokyo da marzo 2011 sono stati chiamati a dare precise risposte sul futuro energetico del Giappone. Prima dello switch off, e del cosiddetto gempatsu zero (nucleare zero), le centrali nucleari fornivano al Paese arcipelago oltre un terzo della sua energia (dati del 2009).

Oggi le cose sono radicalmente cambiate: i combustibili fossili sono tornati a farla da padrone. Il Giappone dipende oggi più che mai dall’energia che importa da Sudest asiatico, Australia e Medio oriente.

E il peso di questa scelta si legge chiaro nei dati riferiti alla bilancia commerciale del Sol Levante il cui passivo si aggira intorno ai 112 miliardi di dollari per il 2013, in crescita rispetto ai quasi 70 dell’anno precedente.

Dai dati riferiti al 2013 del Ministero delle Finanze di Tokyo, il Sol Levante è il più grande importatore mondiale di gas naturale: solo l’anno scorso ha approvvigionato 87,49 milioni di tonnellate di combustibile fossile. E mentre le importazioni di petrolio segnano un leggero calo, aumentano quelle di carbone.

Il capitolo energia è cruciale nella strategia economica del primo ministro Shinzo Abe. Proseguendo su questo trend, il piano incentrato sulla svalutazione dello yen per favorire l’export nazionale potrebbe non bastare a colmare il gap e a rilanciare l’economia giapponese.
Il conservatore Abe non ha mai nascosto di voler tornare rapidamente al nucleare, ma è comunque alla ricerca di alternative più sostenibili – soprattutto economicamente – sul breve termine ai combustibili fossili. E l’alternativa più quotata ad oggi sembra essere il solare.

Lo confermano i dati pubblicati a gennaio dal Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria (METI) e riferiti a ottobre 2013. Da luglio 2012, sono stati installati impianti fotovoltaici per un totale di quasi 6 milioni di kw: in poco più di un anno, dicono i dati, la capacità totale degli impianti già esistenti è aumentata di oltre un quarto.

Merito dei prezzi competitivi delle celle fotovoltaiche cinesi, ma anche delle agevolazioni previste dalla legge giapponese.

A luglio 2012 infatti entra in vigore il Conto Energia – o feed-in-tariff – che stabilisce la possibilità per privati o aziende che hanno un surplus di rinnovabili (solare, eolico, geotermico e biomasse) di siglare contratti di vendita di energia a una tariffa fissa (42 yen per kw/h) con le utility del settore fino a un massimo di vent’anni.

Una legge, questa, fortemente voluta da Naoto Kan, primo ministro del Giappone durante la crisi di Fukushima, screditato a causa di errori attribuitigli nella sua gestione. Kan è oggi molto attivo nel sostegno al movimento anti-nuclearista e nell’informazione sulle energie alternative. "Finché continueremo a mantenere attive le centrali nucleari dovremmo essere pronti ad altre catastrofi", ha ribadito Kan in una recente intervista a Russia Today.

A settembre 2013 si sono conclusi i lavori di costruzione dell’impianto solare di Ryozen nella città di Date, a pochi chilometri da Fukushima. La sua particolarità? Essere stato costruito e interamente gestito dalla comunità locale. Molti allevatori e agricoltori dell’area intorno a Fukushima, riporta il sito Japan for Sustainability, hanno subìto notevoli disagi in seguito all’incidente alla centrale Numero 1 e hanno così avvertito l’esigenza di costruire un impianto per la produzione di elettricità unicamente con le risorse a loro disposizione. Un piccolo segnale che la green economy può giocare un ruolo di rilievo nella ripresa economica delle zone terremotate.

Così con l’aiuto di un’organizzazione no profit di Osaka, la federazione locale degli agricoltori e allevatori ha fatto partire una campagna di raccolta fondi per la costruzione di un impianto fotovoltaico. In poco più di un anno sono riusciti a raccogliere 20 milioni di yen (circa 71 mila euro) e a costruire un impianto da 50 kw. Secondo quanto stabilito dalla legge sulla feed-in-tariff, l’energia prodotta dall’impianto verrà venduta all’azienda elettrica regionale del Tohoku, e il due per cento delle rendite annuali (poco più di 5500 euro in 20 anni) verrà devoluto alla ricostruzione di Fukushima.

La spinta a un maggior uso delle risorse rinnovabili era partita però ben prima di Fukushima. Ed erano stati soprattutto alcuni grandi gruppi industriali e governi locali a incentivare il cambiamento, insofferenti agli aumenti del costo dell’energia e al ruolo di strapotere di Tepco – l’azienda elettrica di Tokyo, prima nel paese per dimensioni – che dà energia a quasi 30 milioni di clienti, comprese le principali grandi aziende della regione del Kanto.

Non a caso nel 2012 il colosso automobilistico Toyota annunciava la sperimentazione di un sistema di fornitura elettrica da un’auto ibrida a un’unità abitativa che avrà un impatto ambientale bassissimo e permetterà agli utenti di risparmiare in carburante e bollette.

A giugno 2010 infatti il governo giapponese, allora guidato dal democratico Yukio Hatoyama, pubblicava una "strategia per una nuova crescita". In questo documento programmatico Tokyo si impegnava a investire molto in "innovazione verde" creando un giro d’affari da 50 mila miliardi di yen e 1,4 milioni di posti di lavoro nei settori legati all’ambiente e favorendo la riduzione delle emissioni di gas mondiali grazie alle tecnologie sviluppate dal settore privato.

Ed ecco allora che l’esempio di Kitakyushu, nel Sudovest del paese, ritorna d’attualità. Da simbolo del boom industriale degli anni 60, la città, che ospita un milione di abitanti, ha saputo reinventarsi centro di eccellenza per ricerca e sviluppo delle tecnologie verdi riconosciuto a livello internazionale, meritandosi nel luglio 2011 la nomina a modello di eco-city per l’Ocse, la prima in Asia.

Da tempo quindi per i leader politici e l’establishment industriale è chiaro che è nel settore delle nuove tecnologie applicate alla sostenibilità ambientale che il Giappone si gioca le sue chance di ritornare "leader". Starà a Tokyo sfruttare al meglio l’occasione.

[Foto credit: linkingsustainability.com]