Al netto del contenimento della pandemia e degli effetti di questa sull’economia interna, Il 2020 è stato un annus horribilis per Pechino. Le molteplici tensioni territoriali e marittime nell’immediato vicinato (soprattutto con Taiwan, India, e Giappone), la retorica belligerante della diplomazia da “wolf warrior”, la morsa sempre più stretta sull’autonomia di Hong Kong e la cosiddetta diplomazia “degli aiuti medici” hanno cristallizzato il malcontento nei confronti di Pechino, soprattutto in paesi Occidentali. Ma più di tutto, la pandemia ha esacerbato le tensioni tra Stati Uniti e Cina, quasi come si trattasse di una nuova Guerra Fredda.
Alla baldanza in politica estera e la crescente repressione interna della Cina guidata dal Segretario Generale del Partito Comunista Cinese (PCC), Xi Jinping, l’amministrazione Trump ha risposto con una strategia di contenimento che trapela chiaramente dal framework sull’Indo-Pacifico libero e aperto, documento strategico desecretato a fine 2020 dall’amministrazione uscente. Con la pandemia, Washington ha lanciato «contromisure asimmetriche» che si avvicinavano alla guerra politica: dalla guerra di parole sulle responsabilità intorno all’origine e al contenimento del virus, a discorsi pubblici con toni manichei che auspicavano addirittura un cambio di regime a Pechino. Come testimoniato dallo stesso, decisori politici quali il vice consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Matt Pottinger erano pienamente consapevoli di operare e approfittare di un tallone d’Achille: la legittimità del PCC dinnanzi ai cittadini cinesi.
E seppure l’amministrazione Biden abbia promesso un ritorno al multilateralismo e un maggiore coordinamento con alleati e partners per le sfide globali, l’approccio nei confronti della Cina non è cambiato nella sostanza. A parte i toni più cortesi e l’abbandono di politiche massimaliste tipiche dei falchi di Trump, la politica di potenza continuerà a definire il rapporto tra USA e Cina, come delineato da Lorenzo Mariani in un suo recente saggio. La settimana appena conclusasi ha confermato le parole di Blinken durante la sua conferma come Segretario di Stato: “Washington ingaggerà Pechino da una posizione di forza”.
Prima del summit diplomatico di Anchorage tra Stati Uniti e Cina, la nuova amministrazione si è mobilitata per compattare alleati in funzione anti-Cina. E se Germania, Francia e Unione Europea prendono un approccio più cauto all’idea, sempre per citare Blinken, di riunire “le tecnodemocrazie contro le tecnoautocrazie”, l’amministrazione Biden ha puntato soprattutto sulle potenze regionali. L’idea è che Pechino ammorbidisca il proprio approccio poiché particolarmente sensibile ai rapporti di forza. Così, al quadrilateral security dialogue summit — il primo incontro al vertice a quattro nella storia di USA, Giappone, Australia e India (e primo summit di Biden) – è succeduta la visita dei segretari di stato e della difesa in Giappone, Corea del Sud e –limitatamente al segretario della difesa Austin—India. Il comunicato congiunto del comitato consultivo per la sicurezza USA-Giappone è particolarmente indicativo delle tensioni regionali poiché punta il dito a Pechino, e lascia intendere che gli alleati si coordineranno per potenziare la deterrenza, non solo nel settore militare, ma anche in campo tecno-economico e politico. Se è vero che la Cina approfitta spesso delle asimmetrie di potere, la politica del bastone da sola rischia di ulteriormente indurire le posizioni di Pechino. Inoltre, rischiamo che le posizioni di USA e Cina si arrocchino
L’Italia, l’Europa e altre medie potenze che dipendono dal buon funzionamento della governance globale, paesi che includono il Giappone, rimarrebbero schiacciati da uno scontro tra titani. Il recente summit diplomatico USA-Cina, appena conclusosi in Alaska, ha dato riprova del divario crescente tra i due paesi. E l’Italia, l’Europa e gli altri alleati americani si troveranno sempre più tra Scilla e Cariddi, poiché dovranno effettuare una scelta di campo nei tanti dossier tecnologici, commerciali e di sicurezza in senso lato che riguardano la Cina. Ma il rischio è che si arrivi ad una scelta di campo che ridurrebbe le relazioni diplomatiche tra le grandi potenze del 21° secolo non alla legge internazionale, ma alla legge delle giungla. Anche i rapporti commerciali e finanziari, e l’apertura delle nostre economie, rischiano di deperire qualora considerazioni esclusivamente (geo)politiche prendessero il sopravvento. Il governo giapponese stesso preferirebbe che si risolvano le tensioni attraverso lo stretto tra Cina e Taiwan, come ha rimarcato nello comunicato congiunto con gli USA, ma non vorrà rimanere invischiato in un conflitto armato tra Stati Uniti e Cina.
È proprio per questo che l’Istituto Universitario Europeo, l’università dell’Unione Europea di base a Fiesole e Firenze, ha indetto una grande conferenza sul ruolo che Italia, Europa e Giappone possano svolgere a difesa del multilateralismo e dell’ordine liberale internazionale. Questa conferenza si preoccuperà di delineare i contorni delle sfide nel campo della disinformazione, dell’abuso di leve economiche a fini politici, e dell’inasprimento delle tensioni USA-Cina per poi tracciare il percorso che Italia, Europa e Giappone possono intraprendere, uniti, per rilanciare la governance globale che deve necessariamente accompagnarsi, e possibilmente sfumare, un approccio da politica di potenza.
La conferenza si terrà online il 22 e 23 marzo, con interventi del neo-eletto segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, già attento osservatore di politica internazionale e di Asia orientale, il ministro degli Esteri giapponese Motegi Toshimitsu, il presidente della Japan Foundation ed ex ambasciatore giapponese in Italia, Umemoto Kazuyoshi, e la direttrice dello Robert Schuman Centre for Advanced Studies, Brigid Laffan. L’evento inaugura formalmente l’EU-Asia Project presso il centro per la Global Governance dell’Istituto Universitario Europeo, poiché soltanto con un’attenta conoscenza dell’Asia-Pacifico possiamo prepararci al meglio ad anni pieni di sfide: Italia, Europa e Giappone uniti possono salvaguardare la governance globale.
Evento: https://www.eui.eu/events/detail?eventid=535371
Di Giulio Pugliese*
*Responsabile di ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI) di Roma, Lecturer presso il Dipartimento di Studi Areali e Globali dell’Università di Oxford e Professore Part-Time presso l’Istituto Universitario Europeo. Si occupa di politica di potenza nell’Asia-Pacifico, con particolare riguardo per le relazioni tra Giappone, Cina e Stati Uniti. Giulio ha ricevuto un dottorato (PhD) presso l’Università di Cambridge Ha vissuto per circa cinque anni in Giappone e ha scritto un libro a quattro mani, Sino-Japanese Power Politics. Might, Money and Minds (Palgrave Macmillan, 2017), disponibile anche in coreano.