Sette lavoratori uccisi e tre ancora dispersi. Questo il bilancio per il Giappone dell’attentato al polo energetico di Ain Amenas, in Algeria. Mentre il governo è impegnato nel risolvere la crisi, nella maggioranza c’è già chi pensa a modificare le regole d’ingaggio delle forze di autodifesa nazionale. La Cina osserva. La morte di sette lavoratori giapponesi della Jgc Corp (Nikki, in giapponese) ad Ain Amenas, in Algeria, è stata confermata dal governo giapponese ieri in tarda serata. I sette cittadini nipponici sono probabilmente rimasti uccisi venerdì 18 gennaio, durante il blitz delle forze speciali algerine al polo energetico.
La Jgc Corp è uno dei contractor per i progetti d’ingegneria, fornitura e assemblaggio di strutture ed equipaggiamento all’interno del polo energetico di Ain Amenas, dove erano impegnati quasi ottocento lavoratori tra algerini e stranieri. La Jgc impiegava 78 dipendenti, 61 dei quali sono riusciti a mettersi in salvo. Tra questi ci sono altri sette giapponesi.
"Stiamo affrontando una situazione molto dura", aveva affermato Endo Takeshi, portavoce della azienda di Yokohama domenica scorsa, dopo che il governo algerino aveva comunicato a Tokyo la sparizione di un numero imprecisato di cittadini giapponesi all’interno dell’impianto.
Domenica, il vice-ministro degli Esteri Kiuchi Minoru è poi volato in Algeria grazie a un accordo speciale con una linea aerea algerina per procedere al riconoscimento dei sette lavoratori nell’ospedale del polo energetico di Ain Amenas. Kiuchi è stato il primo diplomatico straniero a entrare ad Ain Amenas dopo la conclusione della quattro giorni di crisi.
A stretto giro, il primo ministro Abe Shinzo ha convocato una riunione d’emergenza dell’esecutivo. "Esprimo il mio più profondo rammarico", ha detto Abe, "per il sacrificio di persone innocenti che si sono ritrovate in azione sulla prima linea del mondo".
A stretto giro dalla riunione di governo, ieri in serata anche la Jgc ha preso atto della notizia della morte dei sette lavoratori. "Non ho parole per esprimere il mio cordoglio", ha dichiarato Endo. Sul sito internet della Jgc, però, rimane ancora il comunicato stampa del 16 gennaio, giorno dell’inizio della crisi.
Al momento, mancano all’appello altri tre lavoratori giapponesi. "Faremo tutti gli sforzi possibili per raccogliere ulteriori informazioni e procedere al riconoscimento", ha concluso ieri il primo ministro giapponese. "Non possiamo permettere e denunciamo ostinatamente questi vili atti di terrorismo, che hanno coivolto anche cittadini algerini. Il nostro Paese è risoluto nella lotta continua contro il terrorismo in collaborazione con la comunità internazionale."
"Bisogna valutare la possibilità di riformare le Forze di Autodifesa nazionale", ha dichiarato domenica scorsa il segretario generale del Partito liberal-democratico (Pld), Ishiba Shigeru, allo Yomiuri Shimbun. Un’idea che non suona nuova e anzi era stata più volte espressa in campagna elettorale dallo stesso Abe e dagli esponenti della destra nazionalista di Ishihara Shintaro.
In sede di campagna elettorale si era fatto riferimento esplicito alla modifica dell’articolo 9 della Costituzione giapponese post-bellica – che impedisce al Giappone di dotarsi di un esercito nazionale a pieno titolo. Oggi l’obiettivo della maggioranza di governo appare mitigato, anche per non fratturare la partnership di governo con il Komeito, principale alleato del Pld.
Un’eventuale riforma andrebbe quindi a toccare quelle leggi speciali, approvate dalla prima guerra del Golfo in avanti, che permettono alle Forze di autodifesa nipponiche di affiancare le forze internazionali in operazioni umanitarie o di peacekeeping, a patto che sussistano precise condizioni di sicurezza. "Con le attuali leggi," ha sottolineato Ishiba, "se non è garantita la sicurezza delle truppe stesse non possiamo inviare nessuno all’estero."
Le forze di autodifesa giapponesi, che non possono essere coinvolte in scontri a fuoco, sono impegnate principalmente in missioni umanitarie, di ricostruzione e assistenza alle popolazioni afflitte da guerre e catastrofi naturali, o di supporto logistico e di rifornimento in missioni Onu o in operazioni internazionali di lotta al terrorismo e alla pirateria. Le attuali leggi, lamentano dalla maggioranza, non garantiscono la sicurezza dei lavoratori giapponesi impiegati in zone critiche del mondo.
L’incidente di Ain Amenas può fornire al governo giapponese il pretesto per procedere alla modifica delle norme che regolano l’impiego delle proprie truppe all’estero. La proposta di modifica degli assetti militari giapponesi è stata paventata a poco più di una settimana dalla definizione di un pacchetto di stimoli economici che prevede circa 2 miliardi di euro per il comparto difesa. Di più, la crisi sulle isole Senkaku/Diaoyu è ancora ben lontana da una risoluzione.
I tempi, quindi, per quello che appare come un piccolo passo verso il riarmo, non sono sospetti. I vicini asiatici, e Pechino in particolare, sono già all’erta.
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