Giappone – Deregulation energetica, assalto alla Tepco

In by Simone

La costruzione di un immenso impianto a gas per fornire energia a Tokyo sembra possa essere la prova generale per una deregulation energetica da applicare in tutto il Paese. Un attacco non troppo velato al monopolio targato Tepco e allo strapotere del nucleare nel Sol Levante
Uscire dal nucleare, per il Giappone, non è solo possibile, ma vantaggioso e necessario. Se vuole risollevarsi dal baratro in cui è sprofondato, è essenziale che il Sol Levante cominci a investire in modo massiccio su altre forme di produzione di energia, lasciandosi alle spalle la strada dell’atomo finora seguita, economicamente sconveniente e, come la storia ha più volte dimostrato, estremamente problematica dal punto di vista della sicurezza.

Le soluzioni alternative alle centrali atomiche sono numerose e a portata di mano: è sufficiente scegliere quale adottare e concentrare gli sforzi per metterla in pratica.

Nel dibattito divampato nell’arcipelago nipponico all’indomani del disastro di Fukushima, le argomentazioni avanzate dal movimento no-nuke sono diventate la pietra angolare di un vasto fronte di opposizione all’atomo che ha raccolto nelle proprie fila un numero crescente di singoli cittadini, comitati, associazioni e ong, espandendosi fino a coinvolgere villaggi, città, amministrazioni locali e intere prefetture.

Le sporadiche manifestazioni anti-nucleariste che prima dell’incidente dell’11 marzo contavano poche centinaia di presenze sono giunte a toccare il milione di partecipanti e anche la loro frequenza è notevolmente aumentata.

I più critici hanno additato il fenomeno come la naturale conseguenza di un disastro che ha sconvolto in modo irreparabile l’immaginario e la vita di un intero popolo, bollandolo come una reazione emotiva destinata a soccombere innanzi alla dura realtà dei conti economici, in un Paese che ha investito per anni nel nucleare, fino a trasformarlo in una componente irrinunciabile del suo mix energetico.

Altri, viceversa, hanno visto in questa Primavera no-nuke l’alba di un cambiamento, il primo passo di una svolta storica che presto segnerà non solo il definitivo abbandono del nucleare da parte del Giappone ma anche la completa trasformazione della sua politica sull’uso e il consumo dell’energia.

A rendere sempre più concreta questa seconda possibilità arriva una notizia riportata dal New York Times, secondo cui l’amministrazione comunale di Tokyo avrebbe annunciato la volontà di autorizzare la costruzione di un immenso impianto a gas per la produzione dell’elettricità necessaria ad alimentare la città.

In base a quanto riferito dal quotidiano statunitense, la centrale dovrebbe essere in grado di generare la stessa quantità di energia di una nucleare, soddisfacendo una parte significativa del fabbisogno della cittadinanza, dal trasporto pubblico all’illuminazione, e nel caso in cui l’esperimento si rivelasse un successo il Comune sarebbe pronto a replicarlo per esportare questo modello su scala nazionale.

Calato nell’attuale contesto politico ed economico del Giappone, il progetto dell’amministrazione della capitale ha tutte le carte in regola per sortire effetti dirompenti. L’idea di utilizzare il gas invece dell’atomo per provvedere ai bisogni di un centro urbano che conta oltre 13 milioni di abitanti, oltre a essere innovativa da un punto di vista tecnico, è una sfida diretta alla Tokyo electric power company (Tepco) e al dominio della potentissima lobby nucleare nipponica.

Ma c’è di più: come sottolineato da Inose Naoki, noto giornalista e storico, e oggi vice governatore di Tokyo, questa proposta mira ad avviare in tutto il Paese un processo di radicale riforma che possa spezzare i troppo intensi legami tra le grandi imprese e il governo.

Legami che, se nel dopoguerra hanno favorito una rapida ascesa del Sol Levante a livello internazionale, oggi lo tengono impantanato in una stagnazione ormai pluridecennale che non consente l’uscita dall’ushinawareta nijunen, il periodo delle “decadi perdute”, come vengono chiamati nell’arcipelago gli anni Novanta e Duemila.

"Il nostro momento è ora", ha dichiarato Inose ai giornalisti del New York Times. "L’11 marzo la Tepco è scivolata in acqua e la nostra occasione per contrastarla è arrivata", ha aggiunto il vice governatore, alludendo a un antico proverbio che consiglia di attaccare un cane feroce solo dopo che è caduto in un fiume.

In questa operazione di rinnovamento il tempo è un alleato fondamentale per il fronte dei riformatori. Già ad agosto le loro fila hanno perso un ariete come l’ex primo ministro Kan Naoto, che di fronte all’intera comunità internazionale si era impegnato a porre fine all’avventura nucleare del Giappone, e più i mesi passano più l’impeto della loro carica rischia di affievolirsi.

Di contro, man mano che l’11 marzo si allontana, il Keidanren, il potentato economico di cui la Tokyo electric power company fa parte (noto anche con il nome di Japan Business Federation, considerata la più conservatrice delle lobby economiche nipponiche) ritrova spazi di manovra, vigore e alleati.

Come evidenziato da numerose inchieste apparse in questi mesi sulla stampa nipponica, grazie al monopolio di fatto che si trova ad esercitare e complice un sistema di gestione dei prezzi dell’energia elettrica scarsamente trasparente, oggi la Tepco è diventata una delle maggiori fonti di guadagno per molti politici, burocrati e imprenditori, uniti da vincoli spesso poco limpidi.

Dichiarare guerra a questo sistema richiede non solo coraggio ma anche ingenti risorse. A guidare la crociata contro la compagnia elettrica sono in questo momento i politici e gli imprenditori più progressisti, come il vice governatore Inose, che hanno assistito in passato al naufragio del primo tentativo di deregulation del settore dell’energia e che adesso stanno tentando di mandare in pezzi un meccanismo che considerano ormai inceppato.

Tra loro c’è anche Mikitani Hiroshi, capo della Rakuten, la società che ha dato vita al più grande shopping mall online del Paese, che dopo aver abbandonato per dissidi il Keidanren ha accusato apertamente le lobby aziendali di aver contrastato in ogni modo la deregulation utilizzando le loro aderenze nel mondo della politica, della burocrazia e dei media. Accuse che le grandi compagnie giudicano del tutto infondate.

Eppure le politiche energetiche del governo hanno sempre rappresentato uno dei grandi perni su cui si è retto il potere della Tepco. A sostenerlo è un rapporto di 230 pagine redatto da un panel di esperti incaricato dall’attuale esecutivo di indagare sulla gestione della società.

Quasi un unicum tra i Paesi più sviluppati, il Giappone non ha mai liberalizzato la propria rete energetica, con il risultato che attualmente le grandi società del settore controllano sia la generazione che la distribuzione di elettricità. In più la normativa in vigore consente alle aziende di fissare tariffe che crescono all’aumentare delle spese sostenute, scaricando così ogni costo sui consumatori senza preoccuparsi di favorire l’efficienza.

Il dossier ha messo in luce che, oltre a controllare 192 impianti che forniscono energia a un terzo dell’arcipelago, la Tepco è anche a capo di una vasta rete di piccole imprese che stipulano contratti con altre società elettriche, creando di fatto un cartello che ha il totale controllo del mercato.

Nel suo libro L’impero Tepco, Shimura Kaichiro descrive minuziosamente il funzionamento di questo sistema, rivelando come, oltre a pagare prezzi gonfiati ad altri membri della Keidanren per la fornitura di apparecchiature o servizi, l’azienda ha fatto abbondanti donazioni ai politici finanziatori e al mondo accademico, acquistando spazi pubblicitari sui mezzi d’informazione e offrendo munifiche consulenze post pensionamento ai burocrati dei ministeri.

"La Tepco è al centro di un sistema di collusione", ha dichiarato senza mezzi termini Sasaki Takeshi, l’ex presidente dell’Università di Tokyo, al New York Times. "Non si può riformare il settore energetico senza prima riformare la Tepco". Un’accusa cui Nishizawa Toshio, amministratore delegato della compagnia, ha ribattuto laconicamente: "Noi non abbiamo quel tipo di potere".

Secondo i riformatori, tappa fondamentale del percorso per arrivare a una deregulation del settore energetico è la separazione tra la generazione e la distribuzione, che automaticamente genererebbe più imprese e quindi più concorrenza. Ma se in teoria la soluzione è chiara, nella pratica le cose sono molto più complicate.

Una prova in questo senso venne fatta già a metà degli anni Novanta e si risolse in un clamoroso buco nell’acqua. Allora a portare avanti il tentativo fu un piccolo gruppo di funzionari all’interno del ministero dell’Economia, che venne presto bloccato dal Keidanren.

Inoltre si deve considerare che, almeno sulla carta, nel 2005 il 60% del mercato elettrico giapponese è stato aperto ai cosiddetti piccoli produttori e fornitori di energia, aziende che agiscono come intermediari, acquistando elettricità sul mercato e vendendola a clienti commerciali attraverso il Jepx, il Japan electric power exchange.

Nonostante offrano prezzi che sono spesso un terzo più bassi di quelli di mercato, queste piccole aziende dipendono comunque dalle linee di trasmissione delle grandi compagnie, che hanno gioco facile nel mettere loro i bastoni tra le ruote, tanto che attualmente per esse passa solo il 2% degli scambi del settore.

E anche quando, dopo l’incidente dell’11 marzo, la Tepco non è stata più in grado di fornire alla zona di Tokyo energia elettrica sufficiente per far fronte a tutti i consumi, la storia non è cambiata. Quella che sembrava un’opportunità per le nuove aziende desiderose di entrare nel mercato è stata rapidamente trasformata in una strada in salita dal governo, che ha imposto a tutti i clienti commerciali di ridurre i consumi del 15%, riducendo drasticamente la domanda e quindi le opportunità.

Senza contare che tutte le grandi aziende del settore hanno fatto quadrato intorno alla Tokyo electric power company per paura di un suo crollo, che avrebbe finito per nuocere ai loro affari.

In questa situazione, la battaglia che una parte del mondo imprenditoriale e politico nipponico sta portando avanti contro la Tepco è qualcosa di più di un semplice scontro per guadagnare quote di mercato.

Dal suo esito dipende il mantenimento o il definitivo abbandono di un modello che, nel e bene e nel male, ha caratterizzato gli ultimi sessanta anni di vita del Paese. In gioco, insomma, come ha ricordato Inose Naoke dalla sua poltrona di vicegovernatore di Tokyo, c’è il futuro di tutto il Giappone.

[Foto credit: riddimchangofm.blogspot.com]

* Paolo Tosatti è laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra e per il settimanale Left-Avvenimenti