Un sisma di magnitudo 7.6 ha colpito la costa occidentale della principale isola dell’arcipelago. Il parallelo con l’11 marzo 2011 è inevitabile, ma stavolta il bilancio dei danni sembra essere stato contenuto
Un forte terremoto e una massima allerta tsunami. Poco dopo le 16, il Giappone interrompe i festeggiamenti di Capodanno. Improvvisamente, torna in mente l’11 marzo 2011 col terremoto e maremoto del Tohoku. Tra le altre cose, il disastro di Fukushima fu tra le principali cause della fine del governo di Naoto Kan, in una breve parentesi di potere del Partito democratico. Il timore per le tante centrali nucleari del paese è inevitabile. Fin qui non si segnalano danni o conseguenze, tanto che il premier Fumio Kishida potrebbe persino sperare di rinsaldare la sua posizione, resa traballante da uno scandalo di finanziamenti illeciti al suo Partito liberaldemocratico.
Le scosse sono state più di una ventina, la più forte di magnitudo 7.6 con epicentro nella penisola di Nota, prefettura di Ishikawa. Si tratta della costa occidentale dell’isola di Honshu, la principale dell’arcipelago su cui si trova anche Tokyo, distante circa 500 chilometri. I tremori si sono sentiti anche nella capitale, ma le conseguenze più gravi sono nella città di Wajima. Qui si è diffuso un vasto incendio e almeno due persone sono morte schiacciate dalle macerie. In tutta la regione circa 32 mila case sono rimaste senza corrente, molte sono crollate. Il bilancio di vittime e feriti è ancora molto provvisorio, anche perché l’arrivo dell’oscurità non ha favorito le operazioni di soccorso. Alcuni sarebbero ancora intrappolati, molti sono stati trasportati in ospedale. Il servizio ferroviario è stato interrotto in larga parte della costa occidentale e sono stati chiusi diversi tratti autostradali.
Subito dopo la scossa più forte (con l’intensità maggiore mai registrata nella penisola di Noto dal 1885) le autorità hanno emanato una massima allerta tsunami: è la prima volta che accade dal disastro di Fukushima, quando il sisma fu di magnitudo 9. La decisione è stata presa non solo per la forza del terremoto, ma anche per ragioni geografiche: il mare del Giappone ha una conformazione molto “chiusa” e questo rischia di alimentare le onde in caso di tsunami. Non a caso l’allerta è stata emanata anche dalla Russia per l’isola Sakhalin, Vladivostok e altre località dell’Estremo oriente russo. Allarme anche in Corea del sud e Corea del nord, le cui coste si affacciano direttamente di fronte all’isola di Honshu.
In serata il livello di allarme delle autorità giapponesi è stato ridotto: ciò significa che il rischio di onde alte 5 metri si è abbassato a un massimo di 3 metri. In realtà, quelle più alte sono arrivate a misurare 1,2 metri. Circa 97 mila persone in nove diverse prefetture hanno ricevuto l’ordine di evacuazione. Diverse migliaia hanno trascorso la notte in dei rifugi messi a disposizione dall’autorità, tra cui alcune basi dell’aeronautica militare. Il consiglio è quello di non rientrare nelle proprie abitazioni, quantomeno quelle rimaste in piedi, sino a quando non sarà ritirata. Anche perché poco prima di mezzanotte ci sono state altre due scosse, la più forte di magnitudo 4.2. L’agenzia meteorologica ha peraltro avvertito della possibilità di altri sismi di assestamento di forte intensità nei prossimi giorni.
Intanto, il governo ha inviato circa mille soldati nella prefettura di Ishikawa per aiutare le operazioni di soccorso, altri 8500 uomini sono pronti a essere mobilitati. La paura più grande, dopo i 20 mila morti del 2011, è quella riguardante le centrali nucleari. L’autorità giapponese per la regolamentazione nucleare ha dichiarato che non sono state registrate irregolarità o anomalie negli impianti situati lungo la costa del mar del Giappone. I due reattori della centrale di Shika, la più vicina all’epicentro, erano spenti nel momento della scossa per delle ispezioni programmate.
Kishida è apparso più volte in televisione per ripetere ai residenti di mettersi al riparo e mostrare “cautela” anche nei prossimi giorni. La speranza del premier è quella di aver schivato un nuovo disastro che avrebbe con ogni probabilità inferto il colpo di grazia alla sua leadership.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.