Sei giovani militari pronti a sottoporsi al voto popolare come in un reality show. È questa l’idea alla base della nuova iniziativa del Ministero della difesa giapponese per avvicinare il cittadino medio alle Forze di autodifesa nazionale. Intanto i vicini asiatici – Cina e Corea – stanno a guardare con attenzione. L’idea dietro l’iniziativa è quella di far conoscere meglio "che tipo di missioni" la marina delle forze di autodifesa nazionale porta avanti e non soltanto "l’equipaggiamento, ma le persone che vi stanno dietro”. E’ stato proprio un ufficiale della marina militare giapponese, la Japan Maritime Self-Defense Force (JMSDF), ad ammetterlo a inizio settembre.
E il successo, dichiarano dal Ministero della Difesa di Tokyo, è stato oltre ogni attesa.
Sei giovani candidati a Mister e Miss JMSDF, concorso che si concluderà il prossimo 31 ottobre, sono stati scelti tra i 46mila militari impiegati nelle forze di mare del Jieitai (così è chiamato in Giappone il corpo di autodifesa nazionale), a seconda delle mansioni o della missione in cui sono impiegati.
Dal sommozzatore all’elicotterista delle unità di emergenza, dalla responsabile in torre di controllo al marine impegnato nelle missioni di contrasto alla pirateria nel Golfo di Aden: i profili dei sei sono consultabili sul sito del Ministero, mentre su Youtube e Facebook i netizen possono avere un assaggio, attraverso video e foto, dei pericoli che i militari del JMSDF affrontano quotidianamente.
Il voto sarà veicolato tramite un’apposita applicazione per smartphone: l’imperativo è raggiungere anche il comune cittadino – tipicamente disinteressato a quanto accade nella sfera pubblica – e sviluppare in lui una più ampia consapevolezza dei rischi legati al lavoro quotidiano degli aspiranti soldati modello del Sol Levante.
L’iniziativa ha suscitato le reazioni più varie sul web. In particolare dalle pagine dell’edizione giapponese dello Huffington Post è sorto un dubbio: la marina sta forse diventando come le AKB48, nota girl band collettiva di Tokyo? Da anni infatti, la band, composta da oltre ottanta ragazze dai vent’anni in su, dà la possibilità a chi acquista un loro singolo di votare per la loro idol preferita, la quale, raggiunto un numero adeguato di voti, parteciperà alla registrazione del singolo successivo.
A Tokyo sembrano pensarla diversamente. Rendere “pop” le forze militari giapponesi, a partire dalla marina già impiegata nelle operazioni di salvataggio dei dispersi durante il doppio disastro di terremoto e tsunami a marzo 2011, è il primo passo verso una politica di riforma più massiccia dell’intero comparto difesa.
Anche se non mancano altri indizi: a fine agosto di quest’anno il ministero della difesa ha fatto sapere di aver richiesto al governo quasi 50 miliardi di dollari di finanziamento per il prossimo anno fiscale, in aumento del 3 per cento sul budget annuale allocato quest’anno alla difesa.
L’attuale primo ministro Abe Shinzo non ha mai nascosto infatti l’intenzione di voler mettere mano all’assetto delle forze militari di cui è capo. Questo a fronte di numerose minacce alla sicurezza nazionale provenienti in particolare da Cina, sulla questione Senkaku/Diaoyu, e Corea del Nord.
Negli ultimi giorni, ad esempio, si è discusso della rimozione del blocco alle esportazioni di armi, autoimposto nel 1967 e rinforzato 9 anni più tardi, per favorire la competitività internazionale delle aziende giapponesi del settore e tagliare i costi di approvvigionamento del governo.
In secondo luogo c’è la modifica all’articolo 9 della costituzione postbellica. Questo impone al Giappone di rinunciare al diritto di belligeranza e di mantenere un esercito a solo scopo difensivo entro i confini nazionali, tranne in casi di partecipazione a missioni di peacekeeping o, negli ultimi anni, lotta alla pirateria sotto l’egida delle Nazioni unite.
Anche in questo senso, il vice-premier Aso Taro ha da poco dichiarato pubblicamente la necessità di rafforzare la marina militare.
Tuttavia una modifica costituzionale come la vorrebbero i “falchi” del partito liberal-democratico oggi al governo rimane assai controversa e richiederebbe il più ampio consenso delle forze parlamentari. Non solo: bisognerebbe fare i conti con i vicini asiatici, Cina e Corea in particolare, che continuano a criticare il Giappone per la sua “insensibilità” nei confronti delle sofferenze procurate ai paesi asiatici tra gli anni Trenta e Quaranta.
Già nel 2004, c’era stato un primo strappo alla regola: il governo Koizumi decise di aggirare la norma della Carta per inviare truppe in Iraq a sostegno della missione Usa nel paese mediorientale. Era la prima volta dalla resa del ’45 che il Giappone decideva di inviare truppe all’estero.
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