Se il G20 nell’isola degli dei, consesso delle venti maggiori potenze mondiali, entra oggi nel vivo nella zona residenziale di Nusa2 nell’isola di Bali, il presidente indonesiano Jokowi, che molto ha investito in questo summit, potrà almeno ben dire che il vertice ha portato a casa una relazione tra Cina e Stati Uniti assai più distesa di quanto non fosse nell’era Trump, nel dopo invasione dell’Ucraina o nel recente dopo-Pelosi a Taiwan, la visita della speaker del Congresso americano che, qualche mese fa, ha prodotto più che scintille.
RIVOLGENDOSI ALLA STAMPA dopo il suo incontro di oltre tre ore con il leader cinese Xi Jinping – primo faccia a faccia da quando entrambi sono a capo dei due colossi mondiali – il presidente americano ha detto una frase che tutto fa tranne che gettare benzina sul fuoco. Anzi lo “raffredda”: con la Cina – ha detto – «non è necessaria una nuova guerra fredda». Pur ammettendo che tra i due Paesi c’è competizione, a cominciare dal commercio per finire con le alleanze, il conflitto – dice Biden – può essere evitato. Biden ha ribadito la politica di “una sola Cina” a Xi che, dal canto suo, non ha forzato la mano accusando l’America di ingerenza e ha finto di dimenticare l’incidente Pelosi. I due si sono anzi ritrovati sulla condanna di un possibile “first strike” nucleare anche se Biden ha ricordato a Pechino che resta da disinnescare il dossier nordcoreano.
Certo forse su molti temi hanno glissato a cominciare dalla guerra ucraina, dossier certo affrontato ma su cui non ci son stati grandi accenni pubblici se non la «preoccupazione» della Cina che Xi ha voluto ribadire «essere sempre schierata dalla parte della pace». Devono aver glissato anche su altri dossier scomodi, da Hong Kong agli Uiguri dello Xinjiang, dal Tibet alla guerra dei microchip, dalle portaerei Usa che incrociano nel Pacifico ai conflitti sugli atolli in quegli stessi mari. Ma specificare che l’America non pensa che ci sia «alcun tentativo imminente da parte della Cina di invadere Taiwan», fa dire al presidente americano che Pechino è forse da tenere d’occhio e che ci sono paletti e «linee rosse», ma non è un pericolo. Un comunicato ufficiale cinese ha sottolineato i punti di frizione ma non con toni ultimativi. È molto per una bilaterale che poteva finire anche in un altro modo. E con altri toni.
È MOLTO ANCHE PER JOKO “Jokowi” Widodo, il presidente indonesiano che ambisce a fare dell’Indonesia una protagonista della scena mondiale. Ma non è abbastanza perché il vertice G2 di ieri non era ancora il summit G20 di oggi. Un summit dove Jokowi – con alle spalle un viaggio a Kiev e a Mosca – avrebbe voluto vedere al tavolo del vertice sia Putin sia Zelensky. Quest’ultimo parlerà in video conferenza. Il primo ha dato forfait una settimana fa anche se potrebbe apparire da remoto. Il fatto è che già si dà per scontato che sulla guerra non uscirà alcun comunicato congiunto, perlomeno su una condanna aperta della Russia, come confida al Financial Times un anonimo funzionario tedesco. Chissà però che non ne esca almeno una volontà condivisa di «incoraggiare colloqui di pace«, una frase attribuita a Xi e su cui un accordo potrebbe essere possibile. Segnerebbe un punto comunque importante. È nota la posizione di Cina e India, i due colossi del G20, e sono note le posizioni di Ankara o Riad. Se non ci sarà quindi una condanna totale della Russia, proprio per l’opposizione di Pechino e altri, incoraggiare il dialogo, magari accompagnando il messaggio da una risoluta condanna dell’arma nucleare, sarebbe comunque un risultato.
È QUELLO CHE SPERANO gli indonesiani che stanno pressando le delegazioni perché ci sia almeno una foto di famiglia con tutti dentro. Scatto facilitato dall’assenza fisica dei due avversari della guerra ucraina. Quanto a Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri russo, che ieri si è fatto riprendere in maglietta per smentire che avesse avuto un attacco di cuore, sarà importante vedere che toni assumerà. Sempre che Putin non decida di intervenire.
Di Emanuele Giordana
[Pubblicato su il manifesto]