Due mostre celebrano un artista scomparso da poco che, con le sue opere, sembra attraversare la contemporaneità cinese così come la propria vicenda personale. Alessandro Rolandi omaggia la produzione di Chen Shaoxiong. Scrivere di un artista che muore è sempre difficile. Si è combattuti tra il desiderio spesso profondamente umano di cercare un tono epico, tragico, o comunque emotivamente sopra le righe, e la volontà più razionale di raccontare.
Se si riesce a mescolare le due cose (non esiste una ricetta) si può qualche volta «testimoniare» la persona e la sua arte. Come, in certi casi, le due cose siano intimamente legate e inscindibili.
Chen Shaoxiong è scomparso qualche giorno fa, a poco più di 40 anni. A lui sono consacrate ormai da tre settimane due mostre in due gallerie situate fianco a fianco nel distretto 798: Boers Li e Tang Contemporary. Le due mostre cercano di costruire un percorso storico dell’opera di Shaoxiong e ci riescono in maniera fresca e non accademica, scegliendo opere vive e accattivanti, che percorrono il filo rosso intimo, personale e originale dello sviluppo del lavoro dell’artista, senza forzarne la coerenza o imporre alcuna logica.
Credo che questo sia possibile proprio perché il lavoro di Shaoxiong, pur incorporando raffinati elementi concettuali e una consistente base intellettuale come supporto, è sempre rimasto direttamente legato all’osservazione della realtà ed a un senso del gioco e dell’intervento poetico e intuitivo. Nelle sue opera non si sente la volontà di manipolare la percezione o di creare un particolare senso di mistero o di confusione, ma piuttosto proprio il desiderio di testimoniare la vita e soprattutto il tempo, attraverso immagini, oggetti e costruzioni che cercano di deriderne l’ineffabilità, di imprigionarne qualche attimo, di misurarne lo scorrere e gli effetti, il tutto con una leggerezza ora buffa, ora melanconica e tragicomica.
Il rapporto al tempo per un uomo giovane e malato non può che trasformarsi in una relazione viscerale, in cui la mente e i sensi cercano di avere a che fare con la paura e il dolore, non mollano mai la morsa; in cui si è messi a nudo e ci si confronta con se stessi e con il mondo in maniera diretta.
Se si parte dalla galleria Boers Li, si incontrano alcuni dei primi lavori che fecero conoscere Shaoxiong: figure stilizzate composte da tubi al neon multicolore (che sembrano scheletri luminosi); sono connesse a sorgenti elettriche e contatori che ne misurano il consume energetico, annotato poi su grandi quadri rettangolari con un fondo di colori primari (giallo, rosso, etc); sovrapposta, c’è una legenda di strisce nere in cui sono annotati i consumi energetici delle figure al neon nell’arco di due o tre giorni. Questo strano ed eccentrico paesaggio di figure, luce e colore in low-fi impressiona per il modo in cui la sua relativa semplicità attiva lo sguardo. All’inizio in modo giocoso, per poi condurlo ai dettagli dei fili e dei circuiti elettrici e della loro interconnessione, fino alla misurazione della corrente consumata.
Quello che si scopre non è una rivelazione improvvisa o uno shock, ma piuttosto una consapevolezza della dimensione energetica e temporale – finita e necessaria – necessaria a mantenere in vita l’installazione. Quasi in maniera Brechtiana (ma meno severa), Shaoxiong costruisce il suo sistema affinché il meccanismo funzionale sia integrato esteticamente e concettualmente nella sua trasparenza totale. Il risultato è questa apparenza naïve e fresca che però suggerisce di pensare ciò che non si vede.
Forse il messaggio sta nella constatazione che l’arte è in realtà la corrente elettrica invisibile che anima queste figure, misurabile e che costa un tot.
Forse questa corrente è la vita dell’artista; o magari non è che energia, una forza attivatrice; ciò che conta è che l’artista non solo non la nasconde e non la dissimula, ma la misura e la definisce come se si stesso occupando del riscaldamento di casa, con un gesto che è toccante perché così poetico e normale al tempo stesso.
Accanto alle figure di neon troviamo poi una delle prime e più belle opere, in cui il disegno associato all’immagine diventa gesto poetico-provocatorio: l’opera è un video in cui diversi fogli trasparenti di plastica, su cui sono state disegnate le silhouettes di un carro armato, uno strano animale, una persona o altro ancora, sono sovrapposte alla lente di una telecamera che riprende ora un quartiere, ora una strada, ora una piazza e altre situazioni reali.
Ecco che il disegno fumettoso di un carro armato si sovrappone al traffico del quartiere di Wangfujing, che quella di un cinghiale sembra volare sopra una zona commerciale e così via. Anche qui il dispositivo è svelato dall’inizio, e proprio in questa sua natura improvvisata ed esposta sentiamo l’elemento del gioco e la bellezza di questa fragilità amatoriale che sostituisce la tecnica e la professionalità con un’idea e un’immagine vivida e piena di humour, che tutti avremmo potuto pensare e fare.
In quest’opera (forse la mia preferita), rivivono sicuramente i riferimenti alla video art sperimentale dei primi grandi artisti post-concettuali americani (penso ad esempio a certi video di Gary Hill). Ma anche la capacità sottile, umile e geniale al tempo stesso, di rivolgersi alla vita di tutti i giorni in Cina, con un apparente «stupido gesto d’artista» che strappando qualche sorriso e qualche critica a causa del suo essere troppo facile, riesce però ad attivare la percezione della storia e della realtà con grande freschezza.
C’è poi un’altra opera (che ricorda un po’ i lavori di Nam Jun Paik) costruita attorno ad un televisore, vari oggetti e un abito da sposa. C’è un gioco riguardante la connessione tra il cambiare canale e le scelte delle sposa, mentre sui muri sono appesi grandi quadri in bianco e nero in cui alcuni paesaggi industriali sono ricostituiti attrverso patterns composti da impronte digitali di persone diverse chiamate a costruire l’immagine finale. Ci sono anche delle fotografie in cui alle silouhettes disegnate su fogli trasparenti messi di fronte alla video camera, si sono sostituite delle maquettes di situazioni ritagliate con figure e azioni che sono state poi fotografate su uno sfondo reale con cui interagiscono sempre svelando l’aspetto ludico e tecnicamente improvvisato dell’azione. Queste fotografie sembrano un clin d’oeil critico rispetto al proliferare di immagini fotografiche complesse e composizioni pop-surrealiste realizzate con Photoshop, un trend di lunga durata tra gli artisti cinesi.
Anche in questo caso, la disarmante volontà con cui Shaoxiong svela il suo dispositivo, ridirige questo flirtare col pop verso un dadaismo vernacolare e irrispettoso che sbeffeggia l’artificialità a volte inutile con cui le citate elaboratissime immagini pop sono costruite. Passando al secondo piano di Boers Li invece, incontriamo le opere appartenenti alla ricerca che da qualche anno a questa parte ha accompagnato l’artista fino ai suoi ultimi giorni. Si tratta di animazioni stop-motion in cui decine e decine di disegni a inchiostro realizzati a partire da momenti e situazioni della vita dell’artista sono associati a testi, commenti e descrizioni, sono proiettate sui muri, inscatolate in cubi-sculture, nascosti in nicchie nello spazio o da scoprire attraverso strani binocoli e strumenti ottici.
Con questi disegni commentati dalle didascalie e vitalizzati dal medium dell’animazione vediamo e sentiamo il presente scorrere davanti a noi, attorno a noi, in innumerevoli flash, in immagini grandi, piccole, svelate, nascoste o appena suggerite, sfuggenti e nitide, commoventi e banali, distratte e lontane o vicine e forti.
Tutto scandito dal suono dei proiettori, dai clic meccanici, dalle luci che pur mantenendo il non colore tonale del bianco e nero si sviluppano in scale molteplici corrispondenti a stati d’animo, ricordi, flash, citazioni e momenti.
Il tempo delle immagini, il tempo della vita, il tempo della morte, tutto disegnato e dipinto, anziché semplicemente filmato e fotografato con interventi sporadici (come l’artista aveva fatto in precedenza); come se ad un certo momento si fosse reso conto che con l’animazione avrebbe potuto continuare la ricerca sulla durata e sull’effimero; ma anche come se attraverso questi «acquerelli ad inchiostro» avesse cercato di rubare e fissare tantissimi di questi istanti usando una tecnica tradizionale cinese, quella dell’inchiostro, reinterpretata alla sua maniera libera, semplice e onesta.
Questa transizione dall’approccio concettuale low-fi precedente al disegno dal vero e/o da foto transformato in stop-motion coincide a mio avviso con una maturità artistica e personale di grande qualità e sincerità, che purtroppo diventa anche il percorso finale di Shaoxiong.
Il suo registrare i paesaggi della vita mescolando il medium e l’approccio concettuale della pittura orientale (l’inchiostro e il metodo basato su memoria o imitazione) a quello occidentale dello sketch e dell’impressione dal vivo, rappresenta mio avviso uno dei migliori esempi di come un artista contemporaneo cinese sia riuscito a mescolare le esigenze del contemporaneo con quelle del dialogo con la tradizione, in modo organico, istintivo e intellettuale al medesimo tempo, con grande naturalezza, e talento ma senza mai diventare prezioso né compiacente.
Quasi suggerendo gli stati d’animo con cui probabilmente ha dovuto convivere dall’inizio della malattia fino allo stadio finale, le animazioni hanno velocità diverse, durate multiple, suoni e silenzi prolungati, ma non ci lasciano mai dimenticare questo tempo che sfugge, che non basta, che è così ricco e così fugace e alla fine implacabile.
Se a Boers-Li il ritmo degli istanti è sostenuto ed incalzante, entrando nello spazio adiacente di Tang Contemporary Shaoxiong rallenta invece tutto per accompagnarci e accompagnarsi alla fine del viaggio.
Qui, l’allestimento ha previsto quattro enormi schermi-sculture curvi, disposti circolarmente nello spazio a delimitare un’area interna e una esterna, su cui 4 proiettori sospesi proiettano altrettante stop motion.
L’installazione suggerisce vagamente la percezione di tempio arcaico (una specie di Stonehenge). Nello spazio interiore si osservano le immagini sui 4 schermi e ci si sente al centro, a una distanza di un paio di metri da ogni schermo; nello spazio esterno, retroilluminato dai proiettori, gli spettatori diventano invece ombre.
Le 4 grandi immagini sono fisse stavolta, senza cambiamenti repentini e senza didascalie o testi che scorrono. Sembrano solo proiezioni di disegni, senza animazione. Bisogna attendere un po’ prima di notare che in tutti e quattro gli schermi succedono alcune piccole cose. Un cane attraversa il grande paesaggio campestre sulla strada parallela all’orizzonte basso, lontano, oltre I fiori di loto e i cespugli del parco; un signore in bicicletta attraversa le rotaie del grande paesaggio a prospettiva che si sviluppa lungo i binari di una stazione ferroviaria; la luce in alcune delle finestre dei grattacieli del grande paesaggio urbano si spegne o si accende; un uccello viene a posarsi sui rami del grande albero in primo piano, sull’altro grande schermo. I disegni sono stati immaginati nella galleria con proporzioni monumentali e come elementi sculturali e architettonici. I visitatori possono diventare ombre esterne o spettatori interni al meccanismo.
I disegni sono diversi da quelli a Boers-Li. Sono diventati più complessi, oscuri e di grande impatto. Non hanno perduto la freschezza di quelli precedenti, ma hanno sostituito quella leggerezza con un’intensità e un potere evocativo che non appariva nei precedenti. Sono ancora paesaggi, ma sono fissi e sono reali: una skyline di una città, una stazione ferroviaria, una veduta d’orizzonte da un parco, un albero così come lo si vede da una finestra. Invece di essere resi con una tecnica che ricorda l’aquerello e una pittura realista/impressionista come i precedenti, l’uso del pennello, dello spazio e della composizione si avvicinano di più a quelli della pittura cinese tradizionale, alternando tocchi rapidi e nervosi a pennellate liquide e diffuse.
Li si percepisce complessi e vuoti, esattamente come si percepisce la pittura orientale, anziché tranches de vie, come quelli in mostra a Boers Li.
Gli elementi d’animazione: il cane, il signore in bicicletta, la luce delle finestre e l’uccello sui rami, appaiono solo dopo lunghe attese.
Ogni tanto, gli spettatori che camminao attorno diventano ombre. Lo schermo con l’albero in primo piano sembra a tratti un’immagine di una stampa giapponese e a tratti un’illustrazione vittoriana di un racconto di Allan Poe.
Sembra che questi paesaggi fossero gli ultimi che Shaoxiong era in grado di vedere dalla sua stanza d’ospedale, e in questo senso sarebbero le ultime immagini che ha deciso di registrare e su cui ha voluto animare queste piccole azioni sporadiche in cui il paesaggio è occupato solo per essere attraversato, per un momento, prima di passare oltre.
Anche senza essere al corrente del fatto che l’artista è venuto a mancare proprio durante queste due mostre, ormai retrospettive, è difficile non sentire un silenzio particolare nell’installazione a Tang. Il tempo frenetico delle animazioni multiple di dimensioni diverse di Boers Li si è quasi congelato, rarefatto nella presenza monumentale di quelle a Tang Ren. Il tempo della morte che si avvicina con la sua gravità è un tempo silenzioso, severo, cupo ma non rassegnato.
Chen Shaoxiong, come il cane che attraversa l’orizzonte, come il signore in bici che attraversa le rotaie, ha compiuto la sua traversata e ci ha lasciato i suoi bellissimi paesaggi. Paesaggi che ritraggono la vita e la Cina di oggi con techiche antiche e moderne, mescolate da una grande sensibilità, con una grande onestà e uno sguardo umile e forte sul mondo e sulla vita, per parlarne com’è, senza finzione e senza distanze artificiali.
Questi paesaggi sono più vicini allo spirito della pittura classica cinese di tutti quelli degli artisti che si arrovellano da anni per ritrovarlo con imitazioni, reiterpretazioni e grandi dibattiti attorno alla cultura cinese classica.
Lo spirito è negli uomini; e il paesaggio è allo stesso tempo negli uomini e là fuori, nella contraddizione frenetica della Cina di oggi e non nelle foto dei dipinti delle dinastie passate. Chen Shaoxiong l’ha capito e l’ha sentito e l’ha testimoniato. Grazie.
FreeVantablack è la rubrica sull’arte di China Files, a cura di Alessandro Rolandi. Ogni due settimane, una mostra, un’installazione, una performance o anche solo uno spunto dall’ampio e variegato mondo dell’arte cinese saranno vivisezionati dall’occhio critico e iconoclasta del nostro artista/critico preferito. «Vantablack è un colore nero realizzato con strutture di nanotecnologia, che assorbe la luce in percentuale altissima, rendendo ogni cosa che ne sia ricoperta quasi completamente bidimensionale all’occhio dell’osservatore. Qualche mese fa, il famoso artista inglese di origine indiana Anish Kapoor ha acquistato i diritti d’autore per l’uso artistico del vantablack, rendendolo inaccessibile a chiunque, pena multe e processi, senza il suo consenso o senza che lui ne ricavi un profitto. Essendo questa una delle azioni più inutili e assurde che siano mai accadute, mi è sembrato giusto chiamare una rubrica d’arte con questo nome, per ricordare che la creatività e le idee non dovrebbero mai e in nessun modo essere censurate, o limitate, né dalla violenza degli organismi autoritari, né da quella più dissimulata, ma non per questo meno oppressiva, della celebrità e degli strumenti legali ed economici.» [A.R.]
*Alessandro Rolandi ha studiato chimica, teatro sperimentale, cinematografia e storia dell’arte. Vive a Pechino dal 2003 dove lavora come artista multimediale e performativo, regista, curatore, ricercatore, scrittore e docente. Il suo lavoro si concentra sull’intervento sociale e le dinamiche relazionali, con lo scopo di ampliare la nozione di arte oltre le strutture, gli spazi e le gerarchie esistenti, attraverso l’impegno diretto con la realtà, in diversi modi. Ha fondato il Social Sensibility Research & Development Department di Bernard Controls Asia e collabora regolarmente con diverse riviste e siti: Hyperallergic, Randian, Asialyst.