Foxconn investe nel solare

In by Simone

La multinazionale Foxconn annuncia l’apertura di un centro di ricerca, cinque fabbriche di componentistica e venti impianti per la produzione di energia. Dopo il fallimento di Suntech, una risposta alle misure antidumping dell’Unione europea. Lo stato dell’arte.
Un centro di ricerca, cinque fabbriche per la realizzazione di componentistica e 20 impianti per la produzione di energia. Senza fornire dettagli sull’ammontare dei finanziamenti né sulla tempistica di realizzazione, il ministero del Commercio di Pechino ha annunciato che la multinazionale taiwanese Foxconn investirà nel settore del solare cinese attraverso la creazione di un network ad elevata specializzazione nella provincia di Guangxi. Secondo quanto riferito ai media, il progetto sarà sviluppato in collaborazione con le autorità locali e dovrebbe creare migliaia di nuovi posti di lavoro nel territorio.

L’interesse del gruppo dell’ex Formosa per l’industria del fotovoltaico del Dragone è in realtà recente ma non completamente nuovo, visto che durante l’anno passato il colosso dei componenti elettronici di consumo ha avviato una serie di progetti in alcune cinesi, per un valore complessivo di 100 miliardi di yuan (circa 12,4 miliardi di euro).

Diversamente dai programmi già avviati, però, quello appena reso noto attira l’attenzione per due ragioni: la prima riguarda le dimensioni, che, a giudicare dal numero di centrali e stabilimenti previsti, surclasseranno nettamente quelle dei predecessori; la seconda concerne le tempistiche con cui le autorità cinesi e i portavoce della Foxconn hanno dato la notizia. Che certo non casualmente è arrivata a pochi giorni dal fallimento della Suntech e dall’ennesimo ultimatum lanciato da Pechino all’Unione europea in merito alle misure protezionistiche con cui il Vecchio continente vorrebbe bloccare la concorrenza del gigante asiatico nel settore del solare.

La società cinese che si era affermata come il maggior produttore di pannelli fotovoltaici al mondo non è riuscita a rimborsare, entro la scadenza prevista del 15 marzo, 541 milioni di dollari che aveva rastrellato sotto forma di azioni ed è stata dunque obbligata a portare i libri in tribunale. Un colpo non indifferente per la dirigenza comunista, che attraverso la China development bank ha foraggiato per anni l’azienda, consentendole di inondare i mercati statunitense ed europeo con pannelli venduti a prezzi più bassi rispetto ai costi di produzione, in buona compagnia di “colleghe” come Green Energy, Hanwha SolarOne, Jinko Solar e Ldk.

Proprio per tutelarsi da questo dumping, all’inizio di marzo la Commissione europea ha imposto la registrazione delle importazioni di pannelli solari dalla Cina, ulteriore passo verso l’adozione di quei dazi che gli Stati Uniti hanno già stabilito per proteggersi da una concorrenza giudicata sleale.

Un problema su cui è intervenuto nei giorni scorsi Chong Quan, alto funzionario del ministero del Commercio, che dalle pagine del China Daily ha avvertito: “Se l’Ue si ostina a voler bloccare i prodotti cinesi, il nostro governo non resterà a guardare”.

Il messaggio è cristallino: sappiano le potenze Occidentali che l’affaire Suntech è stata solo una defiance momentanea e che il solare resta per la Cina un settore strategico, per lo sviluppo del quale i partner (come la Foxconn) non ci mancano.

* Paolo Tosatti è laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra.

[Scritto per Rassegna; foto credits: solarfeeds.com]