Un doppio attentato terroristico ha colpito ieri la cittadina di Jolo, provincia di Sulu nelle Filippine meridionali. Il bilancio è di 14 morti e quasi 80 feriti, la maggior parte appartenenti alle forze dell’ordine: 7 soldati e 6 poliziotti.
Secondo le ricostruzioni divulgate dai media locali, un primo ordigno artigianale nascosto in una motocicletta è esploso intorno a mezzogiorno in una delle principali piazze della città. Poco dopo, quando la polizia ha cordonato l’area e aumentato la presenza di agenti in zona, una donna ha cercato di entrare nel perimetro di sicurezza; fermata, ha fatto detonare l’esplosivo che nascondeva sotto i vestiti.
Le forze di sicurezza filippine hanno trovato una terza bomba, inesplosa, in un mercato vicino al luogo del doppio attentato. Nella stessa piazza, nel 2019, un attentato suicida nei pressi della Cattedrale di Nostra Signora del Carmine aveva ucciso più di 20 fedeli cattolici mentre si recavano alla messa domenicale.
Nonostante non ci sia ancora stata alcuna rivendicazione, le autorità filippine attribuiscono l’attentato a una cellula del gruppo terrorista musulmano Abu Sayyaf, che proprio nell’isola di Sulu – punta sudoccidentale dell’arcipelago filippino – vanta una presenza storica e tuttora considerevole.
Da anni l’esercito filippino è impegnato in una violenta campagna militare contro il terrorismo islamico nelle Filippine meridionali. I gruppi etnici autoctoni dell’arcipelago del Mindanao, nel sud del Paese, si convertirono pacificamente all’Islam nel quindicesimo secolo.
La maggioranza musulmana nei secoli andò diminuendo, a causa delle migrazioni interne incoraggiate sin dalla dominazione cattolica spagnola del sedicesimo secolo. Oggi, nel Mindanao e nelle isole circostanti, compresa Sulu, solo un quarto della popolazione è di fede musulmana. Si tratta di un territorio ricco di risorse naturali, considerato «il granaio delle Filippine», ma i cui abitanti sono tra i più poveri del Paese, a causa delle politiche «estrattive» incoraggiate dai governi di Manila.
Una condizione che ha incoraggiato la formazione di una galassia di gruppi estremisti islamici che operano nell’area cavalcando istanze indipendentiste. In quest’ottica, nel 2017, diverse cellule terroristiche dichiararono fedeltà all’Isis e presero il controllo di Marawi, città a maggioranza musulmana che l’esercito filippino riuscì a riconquistare dopo mesi di assedio.
Dal 2017, il presidente Duterte – primo capo di Stato proveniente dal Mindanao – ha dichiarato guerra all’estremismo islamico nel Paese con una serie di «leggi d’emergenza» che attribuiscono poteri speciali alle forze dell’ordine. L’esercito starebbestringendo il cerchio intorno ad Hatib Hajan Sawadjaan, capo di una delle fazioni più violente di Abu Sayyaf e leader dell’«Isis locale». Secondo le autorità filippine, Sawadjaan si nasconderebbe proprio nell’isola di Sulu col figlio, Mundu, scampato all’arresto proprio il mese scorso.
[Pubblicato su il manifesto]