Tratto dal libro Confessioni di un condanato a morte, The Devil’s Path del giovane regista Kazuya Shiraishi non è solo un thriller ben riuscito, ma anche un affresco del Giappone contemporaneo attraverso la cronaca nera. “Mi chiamo Junji Sudo. Scrivo dal braccio della morte”. La vita di Shuichi Fujii, giornalista di un piccolo settimanale scandalistico, viene sconvolta dall’arrivo dell’arrivo di una lettera firmata da un condannato a morte.
Sudo, un ex yakuza convertitosi al cristianesimo, deve scontare la pena per omicidio ed è in attesa dell’esecuzione. La sua decisione di scrivere a un giornale è frutto del suo desiderio di confessare una serie di omicidi rimasti nell’ombra e di inchiodare un certo “Sensei” (Professore) Kimura, il suo vecchio socio in affari, un agente immobiliare incensurato, la vera mente dietro i delitti. Delitti che, si scopre nel corso del film, hanno tutti uno stesso sfondo: gli affari.
Kimura infatti è un broker immobiliare che acquista terreni da chi se ne vuole liberare per rivenderli e ricavarci del profitto. Le vittime predilette sono anziani, o i loro parenti più stretti, che fanno fatica a pagare le spese mediche e non aspettano altro che di liberarsi di una proprietà terriera o immobiliare. Ma non sempre le cose seguono un iter legittimo, anzi. È in queste situazioni che entra in gioco Sudo, un tipo alto, massiccio, capello impomatato pettinato all’indietro, vestiti appariscenti e tatoo, un personaggio di gran lunga più sospettabile di Kimura: alla fine è lui a sporcarsi le mani più di tutti.
Come i due si siano conosciuti non è chiaro, ma dall’inizio si intuisce una conoscenza di lunga data, una certa intimità tra soci di lungo corso. Sudo e Kimura sono legati da un’amicizia che in realtà di facciata, che nasconde un rapporto fatto di debiti d’onore: se l’uno agisce come sicario dell’altro, l’altro dà denaro a sufficienza per mantenere compagna e figlia. Insomma, i due vivono in simbiosi, ma il loro rapporto è destinato infine a rivelarsi assai sbilanciato.
Incuriosito dalla lettera di Sudo, Fujii incontra il condannato a morte per diverse volte. Sudo chiede a Fujii di scrivere un articolo sulla vicenda in modo da portare a galla le colpe di Kimura e farlo processare. Di fronte al giornalista si parano diversi ostacoli: i suoi sforzi nel condurre un’inchiesta approfondita vengono frustrati dall’atteggiamento della caporedattrice che ignora i materiali raccolti e lo assegna a coprire un flirt tra famosi. E anche in famiglia le cose non vanno meglio: la moglie di Fujii, esasperata dal doversi prendere cura della madre di lui malata di Alzheimer, cerca di mettere più volte il coniuge di fronte alle proprie responsabilità di figlio, senza successo.
Per certi aspetti egli richiama alla mente lo stereotipo del salaryman giapponese, dedito anima e corpo al proprio lavoro, a costo di sfinirsi fisicamente e mettere a repentaglio l’equilibrio della propria famiglia. Fujii non cerca lo scoop, tantomeno la fama. Per il giornalista il lavoro sul caso Sudo è come una scarica di adrenalina che lo risveglia da anni di torpore a lavorare con il gossip. Il suo è un impegno di “salvezza”: egli cerca cioè di ristabilire la verità sulle loro sorti cercando così di “pacificare” le anime delle vittime degli omocidi. In questa chiave di lettura si può vedere anche l’assidua frequentazione tra il reporter e il condannato a morte Sudo, un rapporto dal quale sarà proprio quest’ultimo a guadagnarci di più.
Il Giappone del giovane regista Kazuya Shiraishi è un paese ancora fortemente rurale che invecchia a ritmi sostenuti; da qui derivano nuove possibilità di business che chi vede più lungo, come “Sensei” Kimura riesce a mettere presto in pratica. Riferendosi a una vicina casa di accoglienza per anziani, l’agente immobiliare rivolto al suo complice ammette: “il mondo è in una fase di recessione. Ma noi abbiamo per le mani dei veri ‘giacimenti di petrolio‘”.
Tratto dal libro Confessioni di un condanato a morte (Kyoaku – Aru shikei shu no kokuhatsu), The Devil’s Path non è solo un thriller ben riuscito, ma anche un affresco del Giappone contemporaneo attraverso la cronaca nera. Prima di arrivare a Udine, si è classificato terzo nella top ten dei film del 2013 di Kinema Jumpo, la più importante rivista giapponese di cinema ed è valso all’attore e musicista Pierre Taki, che interpreta Junji Sudo, il premio Mainichi Film Award come Best Supporting Actor.
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