Nove giovani, cinque uomini e quattro donne, in un monolocale del centro di Tokyo. Una serata come un’altra, rumorosa quanto basta per creare l’atmosfera giusta per favorire la formazione di una coppia. Cosi si apre Be My Baby, una sorta di "documentario naturalistico" sui giovani giapponesi di oggi.
È ciò che i giovani giapponesi chiamano go-kon, o meglio heya-kon (heya in giapponese significa “stanza”), un’uscita di gruppo per “accoppiare” i single.
Da questo primo incontro di gruppo sorgono simpatie, equivoci e inimicizie che vanno a costituire la struttura portante del film.
Nati nella seconda metà degli anni ’80, abitano da soli o in coppie in piccoli appartamenti, spesso lontani dalla propria famiglia, si mantengono con lavori part-time di dubbia fama, fanno sesso. E raccontano un sacco di balle per non perdere la faccia.
Tra gli apaato (piccoli appartamenti, spesso a una stanza) dove vivono i nove protagonisti, il regista Hitoshi One ci regala un ritratto bizzarro, divertente e non stereotipato dei giovani tra i 25 e 30 anni – quelli cioè nati ai tempi della bolla economica, cresciuti al suo scoppio in un’economia di consumi di massa, educati nell’era digitale.
Il dualismo dentro-fuori è centrale. Particolarità del lavoro di One è infatti l’ambientazione: tutto il film è girato in interni, in omaggio all’opera teatrale del 2006 di Daisuke Miura da cui Be My Baby è tratto. Di quanto succede fuori lo spettatore ha solo la narrazione dei protagonisti, che costruiscono storie – alcune inattendibili – da cui nascono incomprensioni.
Oltre agli interni delle loro abitazioni, un ruolo fondamentale è giocato da cellulari (i gala-kei, i cellulari “galapagos” ancora molto diffusi in Giappone) e smartphone. Questi sono i veri confessori dei ragazzi, il primo motore delle loro relazioni sociali, i testimoni delle loro infedeltà nonché lo strumento per mascherarle.
Sullo sfondo della commedia romantica, vengono poi affrontati alcuni temi di grande attualità in Giappone; due in particolare: il lavoro atipico e la condizione femminile.
Sul fronte lavorativo, da almeno due decenni, i giovani giapponesi sono sempre più di frequente inseriti nel mondo del lavoro con contratti a tempo determinato. Sono i cosiddetti freeter, una vasta categoria che raccoglie dai giovani disoccupati ai lavoratori a chiamata fino ai freelance. Quella di non entrare in un’azienda da kaishain o salaryman (con un contratto a tempo indeterminato e tutti i benefit che ne derivano) può essere una precisa scelta individuale, ma sempre di più diventa una necessità, in particolare per coloro che dopo le scuole superiori non proseguono con l’università.
L’aumento di lavoratori atipici – secondo i dati ufficiali del ministero del welfare giapponese riferiti al 2010 sono quasi 2 milioni – incide sulla struttura sociale e sul welfare: niente assicurazioni sanitarie, niente pensione, niente casa di proprietà. Questo comporta per un giovane di 27 anni – l’età di uno dei protagonisti del film, Koji, impiegato in un’agenzia di appuntamenti per rispondere alle email fingendo di essere una donna – non poter sottoscrivere il contratto di affitto di un appartamento e il rischio di essere troppo vecchio per l’assunzione in un’altra azienda.
Sul fronte del rapporto tra sessi, invece, il film mette in mostra come anche tra le generazioni più giovani siano in atto costanti dinamiche di prevaricazione dell’uomo sulla donna: spesso nel corso del film, le protagoniste subiscono pressioni psicologiche dai loro compagni di fronte ai quali rimangono inermi. Ma quando prendono coraggio e finalmente reagiscono, anche per lo spettatore l’effetto è liberatorio.
Le ragazze di One, in principio in apparenza querule e passive, sono infine più coraggiose e mature delle loro controparti maschili. E riescono così ad aprirsi uno spiraglio di emancipazione in una generazione ancora fortemente machista.
[Foto credit: minimovie.com]