Cala il sipario sul Far East Film Festival, la rassegna di cinema asiatico ospitata ogni anno a Udine. Il racconto di China Files e la classifica dei cinque film migliori del festival
Si è conclusa sabato 30 aprile la ventiquattresima edizione del Far East Film Festival di Udine, la rassegna del cinema asiatico più importante d’Europa che ha portato nel far East italiano 72 titoli provenienti da 15 paesi e regioni dell’Asia orientale. Un “ritorno a casa” per il festival, che dopo un’edizione completamente digitale (2020) e un’edizione ibrida con base al cinema Visionario (2021) è tornata in presenza al quartier generale del Teatro Nuovo “Giovanni da Udine”.
Durante i nove giorni di festival sono stati 40mila gli spettatori che hanno ripopolato il FEFF24 tra appassionati di cinema asiatico, professionisti del settore ospiti per le sessioni industry della sezione Focus Asia e telespettatori che hanno visionato i 28 film disponibili online sulla piattaforma gestita da MYmovies.
Connessioni. Il tema del FEFF di quest’anno ha portato alla luce le connessioni del mondo del cinema. Quelle tra schermo e audience. Quelle tra spettatori online e spettatori in sala. Quelle tra celebrità e i loro fan. Sono tornati infatti dopo due anni di singhiozzi pandemici anche gli ospiti internazionali, tra cui le due superstar hongkonghesi Stephy Tang e Josie Ho, ma anche diversi registi presenti con i loro film (moltissime le opere prime di quest’anno), produttori e attori. Ferita aperta per i fan di Takeshi Kitano, ospite d’onore del FEFF24, la cui disdetta all’ultimo minuto è stata solo parzialmente stemperata dal collegamento video in diretta al Teatro Nuovo. Ma la connessione tra il pubblico e il mito Beat Takeshi rimane e l’attore/regista ha ritirato virtualmente da Tokyo il Gelso d’Oro alla Carriera.
(Takeshi Kitano at FEFF24)
Far East Film Festival 2022: i vincitori
La ventiquattresima edizione del FEFF chiude con il successo di Corea del Sud e Cina. Il Gelso d’Oro per il miglior film scelto dal pubblico è andato a Miracle: Letters to the President, di Lee Jang-hoon, pellicola a metà tra il racconto di formazione e la commedia ambientata nella campagna bucolica.
Al secondo posto il film cinese Return to Dust di Li Ruijun, straziante storia d’amore di una coppia di poveri contadini ai limiti sabbiosi del Gansu, acclamatissimo anche alla Berlinale 2022. Un film “da festival” come se ne sono visti tanti, il cui pregio principale è mostrare con un’ottima fotografia una zona della Cina sconosciuta ai più. Sullo sfondo, le politiche di alleviamento della povertà della Repubblica Popolare Cinese, tema ricorrente nel filone cinematografico alla “mai una gioia” che tanto piace ai cinefili appassionati di Asia.
Al terzo posto sempre la Cina, con l’esilarante To Cool to Kill di Xing Wenziong. Un omaggio divertente al cinema che racconta il cinema, accompagnato da una comicità prettamente fisica che ha travolto gli spettatori. To Cool to Kill ha vinto anche il premio Gelso Bianco dedicato alle opere prime, mentre gli accreditati Black Dragon hanno riconfermato il successo di Return to Dust. Il premio dei lettori di MYmovies è invece andato al sudcoreano Kingmaker di Byun Sung-hyun. Infine, il premio Gelso per la Miglior Sceneggiatura (una novità del 2022) è andato alla commedia romantica giapponese Love Nonetheless di Jojo Hideo.
(Miracle: Letters to the President)
FEFF 24, che fine ha fatto il cinema di Hong Kong?
Pubblico e giuria hanno votato, ma sono molti i titoli del FEFF24 che hanno fatto di questa ventiquattresima edizione un ritorno a pieno ritmo. I film migliori arrivano dalla Corea del Sud, che offre un ampio raggio di generi dal thriller alla commedia sbagliando pochissimi colpi. Da Taiwan invece, ottimi spunti per il genere horror con Incantation e Terrorizers. Segnali di vita anche dal Sud-Est asiatico con l’indonesiano Yuni, una storia di emancipazione femminile raccontata con un punto di vista adolescenziale, ma anche dal film malesiano The Assistant. Menzione d’onore anche per il film thailandese One for The Road, prodotto dall’inimitabile Wong Kar-wai. Il Giappone convince sulle commedie come Popran, ma meno sugli strappalacrime quali One Day, You Will Reach the Sea.
Performance inaspettatamente sottotono per il cinema di Hong Kong, una volta punto di riferimento per il cinema asiatico a livello internazionale, che nella ventiquattresima edizione presenzia con commedie romantiche tra cui Twelve Days e Table for Six o blockbusters sparatutto eseguiti senza infamia e senza lode come Caught in Time e Schemes in Antiques.
Una pellicola degna di nota arrivata dall’ex colonia britannica al FEFF24 è invece The First Girl I Loved, opera prima dei registi Candy Ng e Yeung Chiu-Hoi, il ricordo di una storia d’amore tra due ragazze hongkonghesi nel periodo della loro adolescenza tra i banchi di un riformatorio cattolico. “Per questo film mi sono messo in una posizione di ascolto”, racconta a China Files il regista Yeung Chiu-Hoi “lasciando parlare le donne di Hong Kong e realizzando che questo tipo di esperienza è in realtà molto più comune di quanto si pensi”. Nel racconto della nostalgia saffica dell’adolescenza delle protagoniste, a risaltare è anche l’atteggiamento dei genitori, che contrariamente allo stereotipo asiatico di pressione sociale strettamente legata all’eterosessualità monogama, si mostrano affettuosi e attenti ai bisogni delle ragazze. “La reazione dei genitori è marginale, non volevo concentrarmi sulla loro approvazione ma sulla storia delle due ragazze. Sicuramente ci sono casi di tensioni familiari ma i genitori a Hong Kong vogliono solo il meglio per le proprie figlie. Me incluso”, racconta Yeung.
(The First Girl I Loved)
Il cinema di Hong Kong sta cambiando. E così anche lo spazio di movimento nel quale i registi hongkonghesi possono muoversi. Lo scorso ottobre il consiglio legislativo di Hong Kong ha approvato la nuova legge sulla sicurezza cinematografica, normativa che si fonda sui principi della ormai pervasiva legge sulla sicurezza nazionale e che prevede che ogni film distribuito nelle sale del porto profumato debba passare al vaglio delle autorità censorie, incaricate di stanare i contenuti dannosi per la sicurezza nazionale. Di questo, Yeung non sembra preoccupato, ma riconosce che la cinematografia hongkonghese sia adesso delimitata da una linea rossa che non va oltrepassata. “Bisogna essere furbi e indicare la linea, senza toccarla”, racconta il regista, “il pubblico è intelligente, coglierà quello che c’è da cogliere. Per continuare a esprimersi liberamente, bisognerà inserire elementi che a un pubblico attento comunicano qualcosa di ben preciso, senza oltrepassare la linea rossa che potrebbe creare problemi”. Forse, i Days of Being Wild del cinema di Hong Kong, non sono ancora terminati.
Far East Film Festival 24, la top 5 di China Files
All’abbuffata di film asiatici ha partecipato anche China Files, presente in qualità di web media partner del Far East Film Festival e con i magazine mensili di approfondimento di China Files, una versione stampata del nostro ebook mensile (qui per scoprire come ottenerlo) disponibili al bookshop del Teatro Nuovo. Dopo una diretta in collegamento dal FEFF24 con un approfondimento sulle parole della lingua cinese legate al cinema e la pillola quotidiana della #ReceOnesta, ecco la nostra top 5 dal Far East Film Festival.
1. I am What I am (Cina)
Il film diretto da Sun Haipeng è già considerato un capolavoro dell’animazione cinese e racconta con trasporto il contrasto tra sogni e realtà nella Cina dell’industrializzazione. Un racconto di formazione dove Juan e la sua insolita banda di emarginati sgangherati (che nelle fattezze ricordano volutamente i personaggi principali del romanzo Viaggio in Occidente con protagonista il re scimmia Sun Wu Kong) rincorrono il sogno di partecipare alla competizione della Danza del Leone più importante del Sud della Cina. Ma il ritmo cadenzato della danza dei leoni si scontra con il frastuono delle metropoli cinesi, dove i genitori di Juan, come moltissimi altri, si spezzano la schiena per due soldi senza mai vivere a pieno il sogno cinese. I Am What I Am è un film apparentemente leggero ma che racconta con dovizia di particolari le difficoltà dei migrant workers cinesi, lasciando però spazio alla speranza che i giovani protagonisti rappresentano. Nonostante anche in Cina sia stato molto apprezzato, lo scorso anno il film è stato oggetto di aspre critiche da parte degli utenti del web, che hanno trovato eccessivamente stereotipata la raffigurazione degli occhi a mandorla dei protagonisti. La polemica si è presto spenta, diventando l’ ennesimo caso di oltraggio alla Cina percepito dei cuori di vetro del web della Rpc.
(I Am What I Am)
2. Kingmaker (Corea del Sud)
Premiere europea per Kingmaker di Byun Sung-hyun, film sudcoreano che racconta le elezioni presidenziali del 1971, un momento decisivo per il processo di democratizzazione della Corea del Sud. La trama presenta personaggi con nomi fittizi per ripercorre la nomina a sorpresa e la successiva candidatura alle presidenziali del rappresentante del Nuovo Partito Democratico Kim Dae-jung (nel film, Kim Woon-bum), considerato l’unica vera minaccia alla leadership politica di Park Chung-hee. Dietro al successo di Kim, un abile stratega elettorale nel personaggio di Seo Chang-dae (interpretato da Lee Sun-kyun, già visto in Parasite), ispirato dalla figura realmente esistita di Eom Chang-rok. Un film che parla di quanto il potere logora chi non lo può avere e dove valori e ideali devono venire a patti con un unico quesito: per democratizzare la Corea del Sud, il fine giustifica i mezzi?
(Kingmaker)
3. Confession (Corea del Sud)
Il film di chiusura del FEFF24 è stata la ciliegina sulla torta di un festival avvincente. Un thriller alla David Fincher con toni freddi fatto di colpi di scena a volte prevedibili ma mai banali. Confession è un remake dell’acclamato film spagnolo Contratiempo (2016) diretto da Yoon Jong-seok, con un cast di punta direttamente dal meglio del cinema coreano che comprende il celebre So Ji-sub, Kim Yun-jin (che ricorderete nella versione coreana de La Casa di Carta), e la star del k-pop Nana. Una notte sola e una conversazione tra l’imprenditore Yoon Min-ho e l’avvocato difensore Yang Shin-ae, che dovrà decidere se difendere l’uomo, accusato di avere assassinato la sua ex amante. Flashback e narrazioni in continuo movimento raccontano i diversi punti di vista dei protagonisti, “ma il vero protagonista di questo film è uno solo: la verità”, dice a China Files il regista Yoon Jong-seok.
Anche la scelta del cast non è casuale. Come racconta Yoon: “So Ji-sub era la mia prima scelta. Siamo stati molto fortunati che abbia accettato subito di essere il protagonista di questo film. Ho voluto lui in particolare perché ha una faccia da buono”. Il film è stato proiettato in anteprima mondiale al Far East Film Festival di Udine e non è ancora disponibile nelle sale della Corea del Sud, che come altri paesi ha risentito della crisi pandemica. Ma il produttore del film, Won Dong-yeon rimane positivo. “Il cinema sudcoreano sta vivendo un ottimo momento a livello internazionale e i remake sono apprezzati molto. Ho molto fiuto per gli affari e sono sicuro che questo film sarà un grande successo, il fatto che sia un remake non toglie alla bravura del mio regista che ho seguito anche nella sua prima impresa. Se in futuro ci saranno altri progetti di film europei da riproporre con cast coreano non mancheremo di farlo”.
(Confession)
4. Mama Boy (Taiwan)
Madre assillante perde il controllo della vita del figlio ventinovenne. Lui, dopo due ore di film, finalmente sbrocca. Uno spaccato gentile della pressione dei giovani taiwanesi nella gestione della propria vita, a partire dalle relazioni romantiche. Sarà una relazione fuori dagli schemi con una donna molto più grande il pretesto per raggiungere l’agognata emancipazione e per ritrovare un po’ di interesse nella vita di tutti i giorni. Mama Boy tocca così un tema che potrà trovare risonanza anche nel contesto italiano, dove l’affetto materno può a volte diventare un pressante ostacolo.
(Mama Boy)
5. The Italian Recipe (Cina-Italia)
Lei, sino-italiana con l’amore per la cucina. Lui, idol di seconda categoria in cerca di fama. Sullo sfondo, Roma. Lo hanno paragonato a “Vacanze Romane” ma questo film per i millennial è senza ombra di dubbio un “Lizzie Mc Guire da liceale a popstar” con caratteristiche cinesi che scorre con un umorismo studiato, senza andare in profondità ma senza cadere in stereotipi dolorosi e sorpassati sui cinesi in Italia. Il film opera prima della regista Hou Zuxin è una co-produzione tra Cina, Italia e Germania, che sembra avere in mente un pubblico più cinese che italiano, rendendosi in alcuni punti una vera e propria vetrina per il romantico lifestyle all’italiana che in epoca pre-pandemica attirava migliaia di turisti cinesi.
Per il pubblico italiano invece, non passa inosservato il volto familiare dell’attore Shi Yang Shi, unico vero rappresentante della duplice natura sino-italiana di questa pellicola. “Mi è piaciuto molto lo sguardo femminile che Hou Zuxin ha portato in questo film”, racconta a China Files l’attore originario di Jinan, “The Italian Recipe è riuscito a trovare un equilibrio e prendere il meglio delle due culture scegliendo una storia d’amore che è riconoscibile e che poggia su un terreno sociale che esiste, preparando così una ricetta per il film che possa piacere sia in Cina che in Italia”. Attore di teatro, personaggio televisivo e autore, nel film Yang interpreta il ricco produttore cinese Jia, un personaggio per il quale ha dovuto “tirare fuori la parte prepotente, ubriaca e irrazionale” di sé per riuscire a creare il personaggio dell’odioso produttore, esuberante nei gesti così come nella mimica facciale minutamente eseguita. Si tratta per Yang della prima parte in un film pensato per un pubblico prevalentemente cinese (dopo la partecipazione a un episodio della serie per CCTV Wenzhou yi jia ren,温州一家人, 2014), che potrà trovare in The Italian Recipe un rimedio alla nostalgia da vacanze italiane cui la pandemia ha posto un blocco inaspettato. Dal punto di vista dell’interculturalità poi, il film “presenta con uno humor ben impostato alcune dinamiche che sono azzeccatissime”, come per esempio la traduzione dell’interprete cinese dall’italiano, molto più concisa nella lingua di arrivo rispetto al testo originario.
(The Italian Recipe)
Se il film di apertura del FEFF24 prova a strizzare l’occhio al pubblico italiano a colpi di spritz, dal punto di vista della rappresentazione della realtà cinese in Italia si poteva forse spingere più in profondità. Ma “la rappresentazione dell’alterità nel mainstream italiano è negli anni molto migliorata” dice Yang, e per favorire lo sviluppo consapevole di questa tendenza in positivo servirebbe avere dei “progetti privati o istituzionalizzati di accompagnamento alla scrittura cinematografica della realtà sino-italiana”, che di spunti narrativi non manca e che anzi da anni porta esempi per il territorio italiano di riflettere sull’interculturalità e su tematiche relative a migrazione e integrazione. Per il momento, oltre al debutto di The Italian Recipe al FEFF24, dovremo accontentarci di godere della sino-italianità nei progetti di attori come Yang (tra i suoi ultimi lavori i film “Vecchie Canaglie” “Tiger’s Nest”, la serie “Lupo Bianco”, ma anche il doppiaggio nel film Disney Pixar “Red”), in attesa che l’Italia accolga “nuovi incubatori di realtà asiatiche” di cui il Far East Film Festival è un esempio tra i più noti.
Menzione speciale infine nella ventiquattresima edizione del Far East Film Festival vanno a Noise di Hiroki Ryuichi (Giappone), What to Do with the Dead Kaiju? di Satoshi Miki (Giappone) e Leonor Will Never Die di Martika Ramirez Escobar (Filippine). Il FEFF25 si terrà dal 21 al 29 aprile 2023.
Giornalista praticante, laureata in Chinese Studies alla Leiden University. Scrive per il FattoQuotidiano.it, Fanpage e Il Manifesto. Si occupa di nazionalismo popolare e cyber governance si interessa anche di cinema e identità culturale. Nel 2017 è stata assistente alla ricerca per il progetto “Chinamen: un secolo di cinesi a Milano”. Dopo aver trascorso gli ultimi tre anni tra Repubblica Popolare Cinese e Paesi Bassi, ora scrive di Cina e cura per China Files la rubrica “Weibo Leaks: storie dal web cinese”.