Niente accordo coi creditori offshore: il colosso immobiliare cinese finisce in liquidazione. Un epilogo annunciato per una crisi ormai di lunga data
Liquidazione. I creditori esteri non si sono fidati di Evergrande, il colosso immobiliare un tempo simbolo della crescita impetuosa (e in parte sregolata) dell’economia cinese. Il tribunale di Hong Kong ha ordinato la liquidazione, bocciando la richiesta di ulteriore tempo per trovare un accordo sul piano di ristrutturazione del debito. Nell’ultima offerta, Evergrande ha proposto al gruppo di creditori di scambiare i debiti da 23 miliardi di dollari con tutte le azioni che la società detiene nelle sue due unità di Hong Kong, rispetto alle quote di circa il 30% offerto fino all’ultima udienza di dicembre. Non è bastato. Troppa la sfiducia nei confronti di un’azienda ormai schiacciata sotto il peso di oltre 300 miliardi di debiti, con guai giudiziari e diverse attività già congelate dalle autorità cinesi.
“È giunto il momento che il tribunale dica basta”, ha dichiarato pubblicamente la giudice Linda Chan, sottolineando una “evidente mancanza di progressi” nei negoziati e, dopo aver concesso alcuni rinvii negli scorsi mesi, ha deciso di chiudere il sipario. Nelle prossime settimane verranno nominati dei liquidatori che prenderanno il controllo delle unità aziendali: potranno poi presentare un nuovo piano di ristrutturazione o solo procedere alla vendita dei beni. Ci vorranno però parecchi mesi prima che il liquidatore entri in controllo delle filiali nella Cina continentale, dove vige un altro ordinamento giudiziario rispetto a quello di Hong Kong. Nell’immediato la sentenza dovrebbe dunque avere un effetto limitato sulla capacità di Evergrande di proseguire i lavori di costruzione delle case già vendute e mai consegnate. Elemento che verrà tutelato dal governo cinese, che vuole evitare che la crisi del colosso abbia ripercussioni sul fronte sociale e dell’ordine pubblico.
La fase di messa in liquidazione sarà anche un test per capire come verranno tutelati i diritti dei creditori offshore. Da una parte, è vero che per la Cina si tratta di un problema meno sensibile e immediato rispetto ai creditori o acquirenti onshore, ma dall’altra parte una vicenda gestita male potrebbe avere ripercussioni sulla fiducia internazionale nei confronti dell’economia cinese. Secondo Bloomberg, i creditori si aspettano comunque un tasso di recupero inferiore al 3%.
Evergrande ha protestato. “La decisione odierna del tribunale è contraria alle nostre intenzioni iniziali”, ha dichiarato Shawn Sui, direttore esecutivo di Evergrande, aggiungendo: “Possiamo solo dire che abbiamo fatto del nostro meglio. Tutto ciò è molto riprovevole”. Ma i media cinesi non sembrano sposare la tesi del colosso in caduta. Anzi, sul media finanziario 21st Century Business Herald si sostiene che la decisione del tribunale è “ragionevole e coerente con la realtà”, ricordando peraltro i sospetti di illegalità nella gestione dei fondi che ha causato tra le altre cose i domiciliari per il fondatore Xu Jiayin (ex uomo più ricco d’Asia), l’arresto per il vicepresidente della divisione di veicoli elettrici Liu Yongzhuo e la messa sotto indagine dell’unità onshore di punta Hengda Real Estate. Un modo per sottolineare che sulla caduta di Evergrande hanno inciso dinamiche particolari oltre che sistemiche.
D’altronde, l’azienda è in difficoltà da diverso tempo. Non solo dal 2021, cioè da quando ha iniziato ad andare in default per l’incapacità di ripagare le obbligazioni, ma già dal 2017. Cioè da quando il presidente Xi Jinping ha tracciato le “linee rosse” per l’immobiliare, volte a regolamentare un settore che è cresciuto anche grazie a un modello esposto a molti rischi. Alla ricerca della stabilità, la caduta di Evergrande è diventata un effetto collaterale, anche se Pechino sa che deve provare a contenere un effetto contagio iniziato già diverso tempo fa.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.