È su un palchetto, ad arringare la folla e ravvivare una stagione elettorale poco entusiasmante. Due forti spari e l’ex premier giapponese Shinzo Abe si accascia a terra. La sua camicia bianca si macchia di sangue, mentre l’esiguo corpo di sicurezza ferma l’attentatore: Yamagami Tetsuya, un 41enne con un passato nelle Forze di autodifesa marittime per circa tre anni presso la base di Kure, nella prefettura di Hiroshima. Poi la corsa con l’elisoccorso al Nara Medical University Hospital nella città di Kashihara, dove l’ex premier è morto all’età di 67 anni, sei ore dopo l’attentato.
L’ATTACCO è avvenuto ieri mattina a Nara, città vicino Kyoto, dove Abe stava tenendo un comizio in previsione delle elezioni della Camera alta del 10 luglio. L’attentatore ha esploso due colpi da una pistola rudimentale, costruita seguendo istruzioni di assemblaggio recuperate su internet.
Sulle ragioni del gesto e soprattutto su chi sia Yamagami pendono tanti interrogativi, ancora senza risposta. Una delle poche certezze è che l’attentatore ha voluto uccidere Shinzo Abe, il politico più longevo e influente del Giappone, mirando al suo petto. E lo ha fatto superando gli ostacoli legislativi sulla detenzione e l’uso delle armi da fuoco.
IL GIAPPONE ha una tolleranza quasi zero nei confronti del possesso di armi e ha uno dei tassi di violenza armata più bassi al mondo: nel 2021 ci sono state solo dieci sparatorie che hanno causato un morto e quattro feriti. Per acquistare un’arma da fuoco bisogna seguire un iter piuttosto lungo. In base a una legge introdotta nel 1958, un cittadino deve superare 12 passaggi prima di poter avere una pistola: si inizia con un breve corso di una giornata sulla sicurezza delle armi, poi un esame scritto e orale. Seguono una serie di esami psicologici e sul consumo di sostanze stupefacenti, prima di passare al controllo dei precedenti penali e ai colloqui con familiari e vicini del candidato. L’attenzione delle forze di polizia è alta e si concentra in particolar modo sul motivo per cui un cittadino desidera un’arma da fuoco.
L’OMICIDIO dell’ex premier Shinzo Abe, dimessosi nell’agosto del 2020 per un problema di salute, accende però i riflettori sulla violenza politica che non è senza precedenti in Giappone. Nel 2007, il sindaco di Nagasaki Itō Icchō è stato ucciso a colpi di arma da fuoco da un membro della Yakuza, per un risarcimento per danni alla sua auto. Un anno prima, la casa dell’esponente del Partito Liberal Democratico Kato Koichi è stata data alle fiamme da membri di un gruppo di estrema destra, irritati per le critiche di Kato sulla visita dell’allora premier Koizumi Junichiro al santuario di Yasukuni, emblema del militarismo giapponese della Seconda guerra mondiale. L’evento più violento c’è però stato nel 1960, anno tumultuoso nella storia giapponese del dopoguerra a causa della revisione del trattato di sicurezza Usa-Giappone. Il leader del Partito socialista giapponese Asanuma Inejiro fu accoltellato a morte all’addome con una katana da uno studente ultranazionalista radicale durante un comizio politico.
TUTTAVIA, il lungo silenzio degli ultimi anni ha regalato ai giapponesi l’idea che l’estrema violenza politica fosse ormai un lontano ricordo. L’assissinio di Abe ha fatto cadere il paese in uno stato di shock. Il Giappone sa di aver perso un leader che, seppur divisivo, ha rappresentato lo spirito di rinnovamento economico e politico del paese. Erede di un’influente élite politica e un falco nella politica estera, Abe è stato l’autore della più aggressiva politica economica che da lui prende il nome di «Abenomics». È entrato in politica nel 1993, eletto per la prima volta in parlamento due anni dopo la morte del padre Shintaro, ex ministro degli esteri. Nell’arco di un decennio, Abe ha scalato le posizioni nel Partito Liberaldemocratico fino a diventarne leader nel 2006 e assumere il timone del governo per poi riprenderlo ininterrottamente dal 2012 al 2020. Un percorso simile a quello compiuto da suo nonno, Nobusuke Kishi, ex primo ministro dal 1957 al 1960.
Le sue dimissioni nel 2020 non sono state una vera uscita di scena dalla politica giapponese: Abe ha continuato a esercitare un’influenza nel Partito Liberaldemocratico e in politica estera. Voleva assicurare una vittoria al partito che l’aveva accolto tanti anni fa e per questo era presente al comizio.
OLTRE AL DOLORE, monta però anche la rabbia. Si poteva evitare la sparatoria? L’Agenzia nazionale di polizia farà luce su possibili falle di sicurezza personale di Abe. Probabilmente il Giappone credeva di essere «il paese più sicuro al mondo». Ma oggi si è svegliato con un’altra consapevolezza.
Di Serena Console
[Pubblicato su Il Manifesto]Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.