Un Marcos torna alla guida del paese. E con un successo elettorale che stupisce gli osservatori esterni. Una panoramica delle Filippine dopo il voto
Maggio 2022, le elezioni nelle Filippine rimettono un Marcos alla guida del paese. E con risultati inequivocabili: nella mattina di martedì 10 maggio (97% dei voti scrutati) aveva collezionato circa 31 milioni di voti, con uno stacco del 30% sulla rivale Leni Robredo. Con gli altri candidati, un distacco ancora più evidente. Ferdinand Marcos Jr. riapre un cerchio che si era chiuso 36 anni fa con la parabola del padre, che per oltre vent’anni ha spinto il paese verso l’autocrazia.
Si tratta del successo elettorale più ampio mai registrato da un presidente dal 1989, quando Corazon Aquino ottenne la carica con il merito di aver guidato le rivolte contro Marcos padre. La scelta di Sara Duterte, figlia del presidente uscente, come sua candidata alla vicepresidenza è stata funzionale: favoritissima dai sondaggi, aveva declinato la possibilità di candidarsi alla presidenza con lo stupore di una fetta importante dell’elettorato.
Il giorno del voto
Le elezioni si sono tenute nella giornata di lunedì 9 maggio, con i seggi che hanno aperto dal mattino e che molti avrebbero voluto non chiudere in serata. Infatti, l’hashtag #ExtendVotingHoursPH è stato utilizzato decine di migliaia di volte. A poche ore dall’apertura delle sedi elettorali sono emersi i primi problemi: macchine per il conteggio dei voti malfunzionanti (verso la chiusura se ne contavano oltre duecento), blackout e disorganizzazione. Come denuncia l’outlet filippino Rappler, non sono pochi i cittadini che hanno fatto la fila per ore solo per sentirsi dire che il loro nome non compariva sulla lista della circoscrizione elettorale.
Nei casi più estremi, si sono registrati episodi di violenza per le strade. Spari sono stati uditi nella regione meridionale di Maguindanao (sull’isola di Mindanao), dove si sono registrate almeno quattro vittime tra polizia e civili a partire dalle giornate precedenti al voto. Qualcosa che avviene ciclicamente nei “punti caldi” dell’arcipelago, e che riflette le difficoltà della politica di eradicare il fenomeno. A nord, in un’altra isola – Luzon, il feudo dei Marcos poteva celebrare la vittoria del neoeletto governatore di Ilocos Norte Matthew Marcos Manotoc. Nella capitale di provincia, Laoang, ha trionfato nuovamente Michael Marcos Keon – ma attenzione, perché lo stesso candidato per il secondo mandato aveva accusato la famiglia di averlo abbandonato a favore del concorrente.
Chi è Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr.
Classe 1957, Ferdinand Marcos Jr. è l’unico figlio maschio dell’ex dittatore filippino. Esiliato con la famiglia a Honolulu dopo il crollo del regime, è rientrato nelle Filippine nel 1991, due anni dopo la morte del padre. Bongbong (soprannome che proviene dal tagalog per “gerla di bambù” per l’abitudine ad aggrapparsi alla schiena del padre) ha quasi sempre vissuto nel lusso – nonché tra le stravaganze da milionaria della madre. Dal rientro in patria all’entrata in politica sono passati solo pochi mesi: prima deputato, poi governatore di Ilocos Norte, e infine membro del Congresso e senatore tra il 2010 e i 2016.
Candidatosi nel 2016 alla vicepresidenza, aveva perso contro la candidata Leni Robredo – nota successivamente per la sua opposizione alle politiche di Duterte. Negli ultimi anni è tornato alla ribalta e ha presto attirato il bacino elettorale di Duterte (nonostante alcuni screzi tra i due). Insieme agli elettori che chiedono una classe dirigente più onesta, Marcos Jr. ha fatto breccia nel cuore dei netizen prestandosi al meccanismo dei social media con i suoi tre figli.
I Marcos alla (ri)presa delle Filippine
La vittoria di Marcos Jr. era prevista dai sondaggi, che già ne anticipavano il successo ai seggi elettorali. Una fama che ha radici in uno storico sistema clientelare monopolizzato dai clan famigliari, ma che ha saputo rinnovarsi sui social network e sui mass media. Accusati di aver dilapidato le risorse delle Filippine durante gli anni della dittatura (tanto che il debito sovrano ne risentirebbe ancora oggi, dato che l’Onu parla di almeno 10 miliardi di dollari), almeno in patria il caso presso la Corte anticorruzione è stato chiuso: le prove sono insufficienti. L’ex presidente Rodrigo Duterte ha contribuito alla “redenzione” di Marcos padre facendone seppellire il corpo nel cimitero nazionale di Arlington. Secondo i dati raccolti da Amnesty International durante gli anni della legge marziale (1972-1981), almeno 50 mila persone sono state imprigionate, molti oppositori torturati e seviziati e almeno 3257 cittadini uccisi.
Eppure, oggi, per molti, gli anni della dittatura di Marcos sono “l’epoca d’oro” delle Filippine. Non che manchino i testimoni, anche se oggi l’età media nel paese è di 25 anni. Ma la disillusione nei confronti della classe politica ha contribuito in buona parte al fenomeno. Lo stesso Rodrigo Duterte ha avuto successo grazie alla leadership dal “pugno di ferro” che dalla sua Davao lo ha spinto ai vertici del governo. Anche se questo è costato una denuncia presso la Corte internazionale per le morti causate dalla “guerra alla droga”. La stessa speranza di riforma viene ora riposta in Marcos Jr. Per i sostenitori di Bongbong, per esempio, la corruzione non era “così intensa” durante gli anni della dittatura. O che i clan famigliari non fossero “così potenti” come oggi.
Il ruolo dell’informazione e dei social media
La macchina della disinformazione ha giocato un ruolo cruciale nel ripulire l’immagine della famiglia Marcos e nel sostenere la candidatura di un presidente che potrebbe rivelarsi popolare in casa, ma in difficoltà in politica estera. Interrogato su questo punto nelle interviste prima del voto, Marcos aveva preso le distanze: “Si tratta di account individuali. E molti sono troll localizzati, per esempio, negli Stati Uniti.”
Le Filippine sono considerate uno dei paesi più “social” in Asia, con ben 80 milioni di utenti registrati. I filippini spendono una media di quattro ore al giorno utilizzandoli. A trionfare, come accade anche in altri paesi del Sudest asiatico, è Facebook: il 93% della quota di mercato nazionale delle piattaforme social finisce nel portafoglio della società di Mark Zuckerberg. Secondo un’indagine di Rappler, il punto di svolta di questo trend è stato il 2016, quando l’elezione di Duterte ha ricordato a molti il populismo dello statunitense Donald Trump. Almeno 1 milione di persone sono state esposte a notizie false o fuorvianti solo grazie alla diffusione di contenuti virali. Le Filippine hanno approvato una legge contro le fake news nel 2017 ma, come afferma lo stesso Marcos Jr., “È molto difficile per i governi gestire queste dinamiche”.
L’orizzonte nazionale e internazionale
Come commenta Ares Arugay dello Iseas – Yusof Ishak Institute, però, “L’infrastruttura della disinformazione esiste da molto tempo. Non è come se fosse appena germogliato durante questa campagna. Il piano dei Marcos per raggiungere la presidenza è in atto da decenni”. Figura sullo sfondo, ma onnipresente, quella della madre, l’oggi 92enne Imelda Marcos: secondo gli analisti rimane lei la mente ambiziosa dietro alla rinascita del clan. Mentre sembra chiara l’intenzione di riprendere il potere in un paese storicamente debole nelle sue istituzioni, rimane invece incerto il futuro del paese nelle mani dei Marcos.
Secondo gli osservatori, una presidenza guidata da Ferdinand Marcos Jr. potrebbe offrire poco dal punto di vista delle riforme. A Ilocos Norte alcuni lo ricordano come un governatore assente: si era iscritto a Oxford ed era spesso negli States (ciononostante non concluse mai la carriera accademica). Complessa anche la situazione fiscale dei Marcos (che si aggiunge alla cleptocrazia degli anni della dittatura), che rischia di costituire un precedente per gli oligarchi più vicini alla famiglia. Nelle intenzioni, comunque, il neoeletto presidente dice di volere un paese più giusto e unificato (data la violenza ancora radicata a livello locale).
La politica estera, infine, è un tassello che ha giocato poco sulla bilancia dell’elettorato filippino. Un dettaglio, però, tutt’altro che indifferente. Quello che sappiamo oggi è che Bongbong promette una politica estera “pro-Filippine”: una definizione che gli permette di portare la bandiera dell’interesse nazionale senza rivelare troppo di cosa potrebbe accadere nei prossimi mesi. Le Filippine di Duterte avevano iniziato a recidere la storica alleanza con gli Usa a favore di un atteggiamento più aperto nei confronti della Cina. L’arrivo di Ferdinand Marcos Jr. alla presidenza non favorisce il riallacciamento delle relazioni con Washington: un tribunale delle Hawaii nel 2011 ha condannato i Marcos a pagare una multa da 353,6 milioni di dollari per non aver dichiarato il proprio patrimonio. La somma non è stata mai pagata, e per questo motivo Marcos è teoricamente un ricercato che potrebbe andare incontro a una causa penale qualora mettesse piede negli Usa.
Dal punto di vista dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean) un governo filippino potenzialmente debole è un altro duro colpo all’influenza del gruppo sullo scacchiere regionale. La questione dei territori contesi nel Mar cinese meridionale non è ancora risolta, e il Codice di condotta promesso per gestire l’assertività cinese ancora irrealizzato. Se con Duterte la decisione di allontanarsi dagli Stati Uniti aveva l’apparenza di una strategia, con Marcos Jr. potrebbe trattarsi di una scelta obbligata dagli eventi. Ciò dipenderà da quanto Bongbong si saprà “aggrappare” alla sua carica e dirigere il paese verso quelli che, forse, sarà uno dei decenni più sfidanti per l’Asia.
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.