Chiang Wan-an è il nuovo sindaco di Taipei. E il principale partito di opposizione ha vinto in 4 delle 6 città principali. Non si è votato sui rapporti con Pechino, ma il risultato avrà un impatto sull’avvicinamento alle presidenziali del 2024
Wayne Chang andava al liceo, quando una sera suo padre gli ha detto che aveva qualcosa di importante da dirgli. Quella sera, Wayne scoprì di essere il pronipote di Chiang Kai-shek. E che suo padre era il figlio illegittimo di Chiang Ching-kuo, primo erede della dinastia politica del grande sconfitto della guerra civile cinese. Un adolescente taiwanese che scopre di essere il figlio dell’uomo che ha governato per decenni Taiwan a capo del partito unico del Guomindang, imponendo una severa legge marziale. Soffocando qualsiasi tipo di opposizione.
OGGI WAYNE ha 43 anni e si chiama Chiang Wan-an. Ha da tempo cambiato il nome in onore del celebre antenato ed è il volto copertina della vittoria del suo partito alle elezioni locali di sabato 26 novembre (qui lo speciale di Taiwan Files dedicato alla tornata elettorale). Chiang è ora anche il sindaco di Taipei. Un ruolo tradizionalmente anticamera della presidenza. Tre dei 4 presidenti democraticamente eletti dal 1996 sono stati primi cittadini della capitale: Lee Teng-hui, Chen Shui-bian e Ma Ying-jeou. Solo l’attuale leader Tsai Ing-wen sfugge alla regola.
“Perché sono felice che abbia vinto? Perché è bravo, giovane e calmo”. Dice proprio così Chi-hui, 36enne elettrice di Chiang, mentre partecipa ai festeggiamenti davanti al quartier generale del nuovo sindaco di Taipei: “calmo”. Dopo l’esperienza tragicomica del populismo urlato di Han Kuo-yu, gli elettori del principale partito d’opposizione sentono di aver trovato un volto presentabile. Nonostante la pesante eredità genetica (mai provata da un test del dna) che fa storcere il naso a moltissimi taiwanesi. Chiang, un passato da avvocato corporate negli Stati Uniti, ha prevalso col 42% dei voti in una corsa a tre. Terza è arrivata Huang Shan-shan, appoggiata dal sindaco uscente Ko Wen-je, leader del terzo emergente partito Taiwan’s People Party (Tpp). Secondo Chen Shih-chung, ex ministro della Sanità del Partito progressista democratico (Dpp) e capo della gestione anti Covid. Ruolo che gli ha portato tanti elogi sul piano internazionale ma anche molte critiche più recenti per qualche stento nella campagna vaccinale.
Quattro delle sei municipalità speciali sono andate al Gmd, vittorioso come previsto anche a Taichung e Nuova Taipei, dove la netta riconferma rafforza le quotazioni dell’ex poliziotto Hou Yu-ih per la candidatura alle presidenziali del 2024. Conquistata anche Taoyuan, dove il Partito progressista democratico (Dpp) si è auto sabotato col cambio in corsa del candidato causa plagio accademico. Il Dpp totalizza il risultato più negativo dei suoi 36 anni di storia alle elezioni locali, con cinque affermazioni su 22. Ancora peggio delle sei del 2018, quando il voto fu considerato una débacle.
La presidente Tsai Ing-wen si è assunta “tutte le responsabilità” della sconfitta, rassegnando le dimissioni dalla presidenza del partito. Tsai aveva cercato di nazionalizzare il voto e si era spesa in prima persona sulla scelta dei candidati. I fattori decisivi del risultato sono prettamente interni e il successo del Gmd non significa che i taiwanesi abbiano bocciato la linea del governo sui rapporti con Pechino. Ma ci saranno effetti in vista delle presidenziali del 2024.
Il passo indietro di Tsai rimette in discussione il processo di nomina dei candidati, con la corrente più radicale del vicepresidente e probabile candidato in pectore William Lai che potrebbe avere maggiore influenza. Il Gmd, consapevole di poter far leva su un rivale percepito come meno affidabile di Tsai sia sul fronte sia su quello esterno (Usa compresi), è chiamato a non illudersi che l’esito del voto locale abbia rilevanza eccessiva in vista delle presidenziali.
Nel 2024 tornerà a pesare maggiormente il tema identitario, su cui il Dpp parte in vantaggio e il Gmd deve ancora ritrovare una posizione “potabile” per la maggioranza dell’elettorato. Bocciato il referendum per abbassare l’età del voto a 18 anni, ulteriore sconfitta per il Dpp, che gode tradizionalmente del favore degli elettori più giovani, che l’anno prossimo non potranno votare. “L’esito del voto dà a Pechino la possibilità di giustificare maggiore pazienza strategica”, dice Wen Ti-sung dell’Australian National University.
Così come le dimissioni di Tsai le consentono di presentarla come una leader che ha perso legittimità. In realtà, Tsai continua a piacere più del Dpp ai taiwanesi e il mancato dialogo di questi anni con la leader più moderata mai prodotta dal Dpp rischia di restare un’occasione persa.
Di Lorenzo Lamperti
Qui tutte le puntate di Taiwan Files
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.