In questa puntata speciale della rubrica sull’Asia Centrale Giulia Sciorati spiega quali sono i retroscena delle presidenziali nel paese centrasiatico, tra un panorama politico ancora autocratico e le ambiziose riforme del presidente Mirziyoyev, che domenica si aggiudica il secondo mandato
Alle elezioni presidenziali del 2021 in Uzbekistan stravince, per la seconda volta, Shavkat Mirziyoyev. Chi è, e in quale ambiente politico ha ottenuto questo risultato?
Mirziyoyev entra in carica nel 2016 dopo un momento particolarmente drammatico: la morte del leader storico Islam Karimov che governava il paese dal 1989. Il passaggio di leadership non è stato privo di scontri, ma Mirziyoyev ha cercato di sviluppare una narrazione politica che guardi al nuovo Uzbekistan. Un tentativo di voltare pagina non solo attraverso riforme sociali ed economiche, ma anche con una forte attenzione all’esterno.
Un elemento cruciale è proprio la sua scommessa di riuscire a portare il paese verso una nuova fase dal punto di vista internazionale: il processo di “democratizzazione” di queste elezioni ne è un esempio, che emerge nel risultato che ha ottenuto alle urne. L’80,1% di preferenze ottenute da Mirziyoyev, per noi una percentuale “assurda”, è inferiore rispetto all’89% guadagnato cinque anni fa. Non è tanto sintomo della creazione di un contesto politico effettivamente pluralistico, ma è un tentativo di proporre l’immagine di un Uzbekistan più plurale (e quindi accettabile) agli occhi degli osservatori internazionali. Questo è un elemento importante da considerare quando guardiamo alle elezioni uzbeke. Primo, perché denota una fortissima attenzione all’esterno. Secondo, perché nonostante questo tentativo di engagement emerge la voglia di tenersi saldi alla tradizione politica.
Shavkat Mirziyoyev è il presidente della “nuova fase”, dello sviluppo economico, delle riforme di welfare sociale. Il fatto di proiettare un’immagine internazionale teoricamente più democratica è anche un tentativo di catturare gli investitori.
Parliamo quindi di questa apparenza di pluralità. Qual è lo stato di salute attuale della politica interna uzbeka?
Alle elezioni presidenziali si sono presentati cinque partiti con cinque candidati. Oltre al Liberal Democratic Party of Uzbekistan (Ldpu), il partito del presidente, erano in gara altri gruppi rappresentativi dello scenario politico uzbeko. Importante l’unico nome femminile delle presidenziali, Maksuda Varisova del People’s Democratic Party of Uzbekistan (Pdpu): è stata lei a ottenere il maggior numero di voti dopo Mirziyoyev, un 6,6%. Gli altri tre candidati erano Alisher Kadirov del Democratic party of Uzbekistan (Dpu) con 5,5%, Narzullo Oblomurodov dello Ecological Party of Uzbekistan (Epu) con 4,1% e Bahrom Abduhalimov del Social Democratic Party of Uzbekistan (Sdpu) con 3,4%.
Kadirov era il politico più conosciuto, ma nessuno di questi candidati ha effettivamente portato una campagna presidenziale che andasse ad opporre o a sfidare le proposte del presidente Mirziyoyev. Al contrario, le campagne erano molto vicine a tutti gli obiettivi di sviluppo socioeconomico dell’establishment e nessuna tematica in particolare è emersa al centro del discorso politico di questi candidati. Un altro sintomo segnalato soprattutto dagli osservatori dell’Osce è che non c’è stato un vero engagement dei candidati, veri dibattiti o momenti in cui tutti i candidati si sono proposti al pubblico salvo alcuni rari casi molto calcolati. Difficile quindi parlare di ambiente plurale, favorevole alla creazione di opinioni divergenti nell’elettorato.
A due partiti invece è stato negato l’accesso alle presidenziali: il Truth and Progress Social Democratic Party, e il Progress, and the Peoples’ Interests. I due rappresentanti si oppongono all’establishment e la scusa sarebbe che non avrebbero prodotto abbastanza firme per proporre un candidato presidenziale. Se la televisione statale ha dimostrato di voler seguire le indicazioni OSCE dando a tutti i candidati la stessa copertura mediatica, non si può dire lo stesso delle emittenti private, che invece hanno celebrato la figura di Mirziyoyev. Anzi, la sua figura è risaltata grazie ai risultati dell’operato di questi anni.
Un altro punto interessante è che nessun candidato era rappresentativo delle minoranze, che sono all’incirca il 16% della popolazione, o ha coperto la tematica della discriminazione etnica. Questo testimonia che l’appartenenza a un’identità uzbeka rimane ancora molto forte, cosa che accade anche negli altri paesi della regione dove le minoranze sono poco o niente rappresentate nelle posizioni apicali. Lo stesso vale per la questione femminile: l’Uzbekistan ha fatto passi avanti con la presenza delle donne in politica, ma rimangono sempre cariche meno importanti. L’eccezione è stata con Varisova candidata alle presidenziali.
Parlando di proiezione verso l’esterno, qual è il rapporto con la Cina?
L’Uzbekistan è una delle repubbliche centrasiatiche su cui la Cina fa affidamento, anche perché è l’unico paese (escluso il caso-limite del Turkmenistan) che non si è ancora affiliato all’Eurasian Economic Union russa. Questo perché l’Uzbekistan lavora a mantenere la propria autonomia e rende più semplice consolidare la partnership con la Cina.
Mirziyoyev ha incontrato più volte con successo sia il Presidente Xi sia il Ministro degli esteri Wang Yi, e le elezioni per come vengono vissute in Uzbekistan non rappresentano un problema per Pechino, ma bisognerà vedere cosa accadrà quando scadrà l’ultimo mandato del presidente.
E con la Russia?
L’Uzbekistan – ma anche le altre repubbliche centrasiatiche – ha da tempo tentato di scollarsi l’etichetta di Russia’s backyard, cercando strade alternative per ottenere piena autonomia economica e politica. La Russia rimane comunque un attore importante per la regione, per tanti motivi. In primis, è una questione di status, di grande potenza internazionale con la propria sfera d’influenza. Rispetto ad altre aree dell’ex Unione Sovietica, inoltre, dopo la dissoluzione dell’URSS, Mosca ha mantenuto una certa ingerenza nelle repubbliche centrasiatiche. Una dimostrazione chiara di questo peso politico è avvenuta durante la formazione dello Shanghai-5, l’organizzazione che ha dato le fondamenta all’attuale Shanghai cooperation organization (Sco) in cui la Russia per i primi anni ha agito come portavoce di Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. Oggi le relazioni sono distese, c’è l’intenzione di rimanere autonomi, ma è importante ricordare il peso che hanno le rimesse dei lavoratori migranti uzbeki in Russia sull’economia del paese di provenienza.
Per concludere, uno dei temi più urgenti oggi è la crisi afghana. Quale impatto ha quello che sta accadendo a Kabul sull’Uzbekistan?
La questione afghana è da sempre un tema importante per il vicinato. Ed è evidente che le repubbliche centroasiatiche sarebbero propense a una mediazione più forte da parte cinese, sempre in un’ottica di coordinamento regionale. Ma sappiamo bene che Pechino non è propensa ad assumersi questo ruolo, e la situazione attuale dimostra come ancora sia forte l’aspetto bilaterale nel dialogo con Kabul. Certo, non mancano i tentativi anche attraverso le organizzazioni per la sicurezza regionale, ad esempio attraverso la Regional anti-terrorist structure (agenzia Sco). Per ora il momento più importante si è tenuto durante l’incontro annuale della Sco. Il multilateralismo rimane, in generale, un punto focale per tutte le repubbliche centrasiatiche.
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.