I numeri, o meglio le frazioni, contano. Due terzi: era questa la soglia necessaria al Partito liberal democratico di Shinzo Abe per avere la certezza matematica di approvare in parlamento le modifiche costituzionali tese a «normalizzare» il Giappone dal punto di vista strategico-diplomatico, eliminando i limiti nell’uso della forza militare imposti dal testo dalla carta del 1947, e indire un referendum popolare per il definitivo via libera agli emendamenti. Oggi, nella prima mattina giapponese, è arrivata la conferma che quella frazione c’è o è facilmente ottenibile. La maggioranza ottenuta in Camera alta «bissa» il successo ottenuto nell’altra camera a fine 2014, quando Abe convocò elezioni referendum sulla Abenomics ottenendo una vittoria schiacciante — seppur con il tasso più basso di affluenza dal dopoguerra.
Nonostante i numeri parlino di una vittoria «a valanga» dei liberal democratici, e le borse gli abbiano dato ragione, ad un’analisi attenta, la situazione sembra più complessa.
Lo schema della Camera alta in base alle posizioni sulla riforma costituzionale (via the Mainichi)
Continua la disaffezione
Innanzitutto, l’affluenza al voto. Secondo le stime del quotidiano Yomiuri, ha votato il 54 per cento degli aventi diritto. Il dato è in linea con la disaffezione rispetto alle urne registrata fin dal voto del 2012 che ha riportato Abe al governo.
Il partito di Abe perde a Nordest, Okinawa e pareggia a Tokyo
Secondo: il voto locale ha dimostrato che a nord e a sud di Tokyo, il governo fa fatica a raccogliere consensi. Pur rimanendo il partito più votato su scala nazionale — anche tra i più giovani —, soprattutto in alcune province in cui si eleggeva un solo rappresentante, il Partito liberal democratico è stato sconfitto dalle forze d’opposizione.
In Hokkaido, nell’estremo nord, i liberal democratici hanno ottenuto un solo seggio contro due per i democratici. Ad Aomori, Yamagata, Iwate, Miyagi, nel Nordest che fatica a riprendersi dopo il triplo disastro del 2011, e a Nagano e Niigata, nel Nordovest, hanno vinto i democratici e alcuni indipendenti provenienti dalla società civile. I candidati di Yamagata e Iwate, Yasue Funayama e Eiji Kidoguchi hanno vinto dopo aver espresso in campagna elettorale contrarietà alle politiche «sconsiderate» dell’amministrazione Abe, dalla riattivazione delle centrali nucleari all’accordo per il libero scambio tra i paesi del Pacifico (Tpp) firmato dal Giappone nel 2015, di cui si temono i contraccolpi sull’agricoltura locale.
I risultati nelle province (via: Asahi)
自 (bianco sfondo rosso): Partito liberal democratico
民 (bianco sfondo blu): Partito democratico
無 (blu sfondo grigio): Indipendenti
公 (bianco sfondo arancio): Komeito
お (bianco sfondo viola): Iniziative per Osaka
Esemplare è la sconfitta patita dai liberaldemocratici a Fukushima e Okinawa, dove gli attuali ministri della giustizia e affari di Okinawa, Mitsuhide Iwaki e Aiko Shimajiri, perdono il seggio a favore di candidati dell’opposizione. E ora potrebbero uscire anche dal governo.
Anche a Tokyo, dove si tornerà a votare tra poche settimane per nominare il nuovo governatore, la parlamentare più votata è stata Renho, presidentessa esecutiva del Partito democratico, di origine taiwanese, che ha staccato di 4 punti percentuali l’avversario dello schieramento di maggioranza.
Il risultato nella capitale — dove si eleggevano il maggior numero di parlamentari, sei — è stato di sostanziale parità tra blocco di maggioranza e opposizione.
Abe deve affidarsi agli alleati
Terzo: sui 121 seggi sottoposti al voto — per la legge elettorale giapponese la Camera alta, composta di 242 seggi, si rinnova per metà ogni tre anni — i liberaldemocratici ne hanno ottenuti 56, uno in meno di quelli necessari per ottenere una maggioranza monocolore dopo 27 anni.
Abe & co. dovranno quindi fare affidamento sul primo partner di coalizione, il Komeito — che ha ottenuto 14 seggi — e convincere il partito delle Iniziative di Osaka a votare i loro emendamenti. Il primo ministro giapponese, parlando alla tv nella mattinata di oggi ha affermato di puntare a convincere anche alcuni parlamentari dell’opposizione «personalmente favorevoli» alla riforma della costituzione.
Non sarà una sfida facile, anche perché all’interno dello stesso Komeito, che vive del sostegno elettorale dei buddhisti della Soka Gakkai, ci sono divisioni sulla proposta di emendare la costituzione pacifista del Giappone.
Vittoria in dubbio all’eventuale referendum costituzionale
E poi ci sarà da indire un referendum popolare sul tema, il primo nella storia postbellica del Giappone.
E anche qui le cose potrebbero non andare come previsto da Abe. Secondo exit poll della tv pubblica Nhk, tra chi ha votato ieri quasi il 40 per cento «non sa esprimere un’opinione» sulla possibilità di riforma dell’articolo 9 — che sancisce la rinuncia del Giappone alla guerra.
Un altro sondaggio del quotidiano Asahi, dice che il 49 per cento degli elettori è a favore della revisione della costituzione, mentre il 44 per cento è contrario. In caso si votasse oggi per il referendum, quindi difficilmente ci sarebbe la maggioranza del 51 per cento.
Come voterebbero i giapponesi al referendum sulla riforma della costituzione (via Twitter)
Riforma della costituzione – exit poll Nhk
Queste elezioni: Necessaria: 33 per cento (bianco sfondo rosso); Non necessaria 32 per cento (bianco sfondo verde); Non so: 36 per cento (bianco sfondo giallo).
Una Camera alta più «rosa»
Un segnale positivo arriva infine dal numero delle donne elette in Camera alta a questa tornata: 28, record storico per il paese, scrive la Nhk.