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Elefanti a parte – Haryana, Kashmir, attivisti ambientali e “little dawgs”

In Asia Meridionale, Elefanti a parte by Matteo Miavaldi

Nell’ultima puntata di Elefanti a parte Matteo Miavaldi ci parla delle elezioni avvenute nello Stato dell’Haryana e nello “union territory” del Jammu e Kashmir, territorio che in poco più di dieci ha visto totalmente ridimensionato il suo status all’interno dell’assetto istituzionale indiano.

Nello Stato dell’Haryana e nello “union territory” del Jammu e Kashmir si è appena conclusa la prima tornata elettorale locale dopo le nazionali di quest’anno, dove il Bharatiya Janata Party (Bjp) di Narendra Modi aveva vinto ma non troppo. 

In Haryana, roccaforte del Bjp da dieci anni, la destra hindu si è aggiudicata uno storico terzo mandato consecutivo consolidando la propria supremazia nella cosiddetta “hindi belt”, la cintura di Stati del nord dove si parla soprattutto la lingua hindi e dove, negli ultimi anni, il Bjp è sempre stato il partito da battere.

Per qualche settimana le opposizioni guidate dall’Indian National Congress (Inc) di Rahul Gandhi hanno accarezzato la possibilità di vincere, tentando di capitalizzare su uno scandalo che nel 2023 aveva portato l’Haryana al centro del dibattito nazionale.

Nel gennaio del 2023 alcune wrestler nel giro della nazionale femminile, tutte nate e cresciute in Haryana, avevano denunciato le molestie sessuali e intimidazioni subite per quasi dieci anni per mano di Brij Bhushan, all’epoca presidente della federazione indiana di wrestling e parlamentare del Bjp vicinissimo agli ambienti dell’estremismo hindu.

Le donne, compresa una minorenne, hanno raccontato di palpeggiamenti e proposte indecenti di carattere sessuale, chiedendo le dimissioni in tronco di tutti i vertici federali. 

La protesta era guidata da Vinesh Phogat, atleta olimpica tra le più vincenti di sempre nel panorama indiano e squalificata alle finali di Parigi 2024 per aver superato i limiti di peso della sua categoria (di meno di un etto), e da Bajrang Punia, altra leggenda del wrestling maschile (terzo a Tokyo 2021).

Brij Bhushan, e assieme a lui il Bjp, inizialmente hanno respinto ogni accusa, dicendo che le atlete si erano inventate tutto per malignare Bhushan e, quindi, il suo partito.

Poi però si è dimesso dalla federazione ed è stato estromesso dal giro delle candidature del 2024, anno in cui si è aperto un procedimento penale a suo carico con l’accusa di molestie.

Contemporaneamente, Phogat e Punia hanno abbandonato la carriera sportiva e sono entrati nell’Inc. Phogat, tra l’altro, è stata candidata ed eletta in questa tornata locale.

Il calcolo dell’Inc di Rahul Gandhi era sfruttare la popolarità dei due atleti per colpire il Bjp sia sul tema dei diritti delle donne, sia su quello della lotta contadina, assegnando a Punia la presidenza del comitato del Congress dedicato alle questioni del settore agricolo. Cosa riuscita, in un certo senso, ma non abbastanza per arrivare alla maggioranza. 

Anche perché in Haryana l’Aam Aadmi Party di Arvind Kejriwal, alleato dell’Inc a livello nazionale, ha deciso di correre da solo, depotenziando il fronte delle opposizioni.

Insomma, il Bjp ha tenuto e vista la situazione Modi ha di che festeggiare.

Completamente diverso il discorso nel Jammu e Kashmir, un territorio che in poco più di dieci ha visto totalmente ridimensionato il suo status all’interno dell’assetto istituzionale indiano.

Per decenni lo Stato ha goduto di un’autonomia speciale a fronte delle storiche mobilitazioni indipendentiste che, sin dal 1948, hanno attraversato la valle del Kashmir, unico territorio a maggioranza musulmana della Repubblica indiana.

Senza dilungarci qui troppo, vi rimando a un mio post di Instagram di qualche tempo fa in cui avevo messo in fila il minimo indispensabile da sapere della questione kashmira. 

Ora qui ci interessa sintetizzare brevemente la progressione di un progetto politico che il Bjp è riuscito a realizzare a meraviglia.

Nel 2018 il Bjp governava lo Stato del Jammu e Kashmir in coalizione con il partito musulmano People’s Democratic Party, guidato da Mehbooba Mufti; a giugno il Bjp toglie la fiducia a Mufti e siccome governa anche a livello federale, da New Delhi decide che il Jammu e Kashmir sarà temporaneamente commissariato, affidando l’esecutivo locale a un governatore eletto direttamente da Narendra Modi.

Nel 2019, dopo aver vinto le nazionali, con un colpo di mano al parlamento federale di New Delhi il Bjp riesce a far passare l’abrogazione dell’articolo 370 della Costituzione, che garantiva l’autonomia al Jammu e Kashmir. In un colpo solo il Jammu e Kashmir non solo non è più autonomo, ma non è nemmeno più uno Stato, bensì viene diviso in due «union territories» (Jammu e Kashmir; Ladakh) amministrati direttamente dal governo federale del Bjp.

Cinque anni dopo, il Jammu e Kashmir torna a votare i membri della propria assemblea parlamentare (l’ultima volta l’aveva fatto nel 2014) sapendo però che il margine decisionale riservato ai deputati e alle deputate locali, e al governo locale che si andrà a formare, sarà comunque estremamente limitato: per statuto, l’«union territory» del Jammu Kashmir deve delegare gli interni e la gestione dell’ordine pubblico al governatore, nominato direttamente dal governo centrale. Quindi da Narendra Modi.

Questione non da poco considerando che il Kashmir è il territorio più militarizzato del mondo, con più o meno trecentomila soldati dell’esercito indiano – senza contare le forze di polizia – di stanza in un territorio abitato da 12 milioni di persone, quasi tutte musulmane.

Quindi la tornata elettorale di quest’anno nel Jammu e Kashmir ha più che altro un valore simbolico e serve a misurare il polso della situazione in un’area praticamente divisa a metà lungo demarcazioni religiose: nel Jammu, a maggioranza hindu, ha stravinto il Bjp, aggiudicandosi 29 seggi; nella valle del Kashmir, a maggioranza musulmana, il Bjp in pratica non esiste, si sono spartiti tutto il Jammu e Kashmir National Congress di Omar Abdullah (partito storicamente considerato tra i meno indipendentisti del Kashmir) che ha vinto 42 seggi, e l’Inc di Rahul Gandhi, che ne ha vinti sei.

Il governo lo formeranno loro, probabilmente guidato da Omar Abdullah, cercando di dar seguito alla promessa elettorale più pressante per la popolazione kashmira: ridare al Jammu e Kashmir lo status di Stato, cioè riprendersi il diritto di governare liberi da molte delle ingerenze di New Delhi. Non da tutte, ma da molte. Finché il Bjp sarà a New Delhi non sarà semplice.

La rivoluzione istituzionale che ha interessato il Jammu e Kashmir nel 2019 ha anche scombussolato l’esistenza di poco meno di 250mila persone, a maggioranza buddhista, residenti nel nuovo «union territory» del Ladakh.

La regione, culturalmente ed etnicamente molto influenzata dal vicino Tibet, proprio per le uniche peculiarità religiose e ambientali del territorio era stata staccata dal resto del Jammu e Kashmir, ma allo stesso tempo ha perso ogni spazio di manovra politico interno: a differenza del Jammu e Kashmir, il Ladakh non può eleggere né un parlamento né un governo locale ed è interamente gestito da un governatore nominato da New Delhi.

All’inizio la società civile ladakhi aveva accolto bene la secessione dal Jammu e Kashmir, convinta che senza il fardello della «questione kashmira» le misure eccezionali di cui necessita un territorio delicatissimo dal punto di vista dell’ambiente e della biodiversità sarebbero state prese più velocemente.

Cosa che però non è successa, dando vita a un movimento di protesta ambientale nato dal basso e rappresentato da Sonam Wangchuk, 58 anni, attivista ambientale di lungo corso già ispiratore di un movimento locale soprannominato «il green party del Ladakh».

Da tempo Wangchuk chiede a New Delhi di estendere all’intero Ladakh le tutele ambientali previste costituzionalmente per i territori indiani a maggioranza tribale, salvaguardando il legame ancestrale – culturale, ma anche economico – tra chi da generazioni vive nel Ladakh e l’ambiente circostante.

Il governo centrale non ha mai risposto e allora, alla fine di settembre di quest’anno, Wangchuk assieme a mezza dozzina di attivisti di ogni età – compresi ultrasettantenni – si sono messi in marcia a piedi dalla capitale del Ladakh, Leh, a New Delhi: sono poco meno di mille chilometri.

L’obiettivo era organizzare un sit-in di protesta a Jantar Mantar, luogo simbolo delle manifestazioni della società civile indiana a New Delhi, per chiedere al governo sia le tutele di cui sopra, sia il ritorno allo status di Stato, per permettere ai ladakhi di autogovernarsi.

La reazione dell’esecutivo Modi non è stata delle migliori: Wangchuk e gli altri sono stati prima arrestati, poi rilasciati dopo cinque giorni e infine obbligati a manifestare non a Jantar Mantar, bensì davanti al palazzo di rappresentanza del Ladakh a New Delhi.

Nel frattempo la protesta è diventata uno sciopero della fame permanente, pratica che come si sa in India vanta precedenti illustri.

Mentre scrivo, il governo Modi non ha ancora fatto sapere quando, e se, incontrerà la delegazione di manifestanti ladakhi.

Chiudiamo con un nuovo consiglio di ascolto, ma prima è d’obbligo una mini postilla WTF che coinvolge il rapper di origini keralesi HanuMankind, di cui avevo scritto un mese fa. Sì, quello di Big Dawgs.

La fama internazionale lo ha messo al centro del mirino della propaganda indiana e poche settimane fa, durante la visita ufficiale di Narendra Modi a New York (di cui non abbiamo parlato perché, francamente, impalpabile), HanuMankind si è esibito in un evento ufficiale organizzato dall’entourage del primo ministro indiano chiamato “Modi & U.S.”. Pare che Modi, prima di abbracciarlo, lo abbia salutato con “Jai Hanuman”, cioè viva il dio Hanuman.

Alcuni fan indiani non l’hanno presa bene.

Il consiglio del mese lo devo a Gurbaaz Singh, dj e conduttore radiofonico di origini indiane residente nel nord Italia, tra i migliori spacciatori di chicche dal subcontinente.

Grazie a lui ho scoperto gli Excise Dept., collettivo artistico basato a Mumbai che fa molte cose tra cui ottima musica. Il loro primo album si chiama “Sab Kuch Mil Gaya Mujhe, Vol. 1” e vi consiglio di partire dal singolo “Toxic”, di cui riporto qui il testo tradotto gentilmente da Gurbaaz.

 

Toxic

 

Avevo lasciato il mondo, era tossico

La gente su Twitter era andata in ipossia

Metà acqua metà rum

Metà opera delle lacrime, questa è la vita 

A volte felici a volte tristi (reference al film Kabhi Khushi Kabhi Gam)

(x2)

 

Vieni fratello, guarda come si festeggia Diwali

Nel 2021 

In prima fila 

È seduto un grasso re 

che applaude da solo

L’eco dei piatti rotti 

Troviamo il Janpath vuoto

Persino i ciechi dicono guarda quanto è nera questa notte

quanto è nera (x5)

 

Ovunque io guardi vedo cadaveri

Ovunque io guardi vedo cadaveri

In metà respiro il governo è stato smascherato

Il tiranno ha giocato d’azzardo con le nostre vite

Io e te cercavamo Dio ma

Il cielo era vuoto (x5)

 

Le mie risposte ti pungeranno come aghi

L’acqua è amara ed è sporco il lago 

Rubi il cibo ai contadini, nababbo diabolico

Poi ci inviti al banchetto

Quando ridi sembri un cane che mangia kebab 

 

Ovunque io guardi vedo cadaveri

Ovunque io guardi vedo cadaveri

In metà respiro il governo è stato smascherato

Il tiranno ha giocato d’azzardo con le nostre vite

Io e te cercavamo Dio ma

Il cielo era vuoto (x5)

 

Ho scavato una fossa

È questo il mio posto

Dove altro dovrei andare?

Guarda, la morte ha le braccia aperte

Qua non c’era mai hope

Come Obama che butta le bombe dal drone 

Come la “Aunty” bianca che sull’aereo mi fissava

I suoi occhi mi dicevano “tu sei Osama”

Quanti Lama bruciano per la libertà in Ngaba 

Meanwhile all the white boys all be saying it’s a white boy summer

William Dalrymple pensa di essere Vasco Da Gama 

Intrappolati nelle vetrine dei musei 

I miei resti 

Questi serpenti bianchi mi dichiareranno

Un incantatore dei serpenti

Guarda, guarda fratello, guarda il panorama 

La mia voce è piccola 

La mia voce è pulita

La mia voce è falsa

Questa voce è discorso

La voce è un’alluvione 

La voce è gioventù

La voce è risposta 

Avevo lasciato il mondo, era tossico

La gente su Twitter era andata in ipossia

Metà acqua, metà rum

Metà opera delle lacrime, questa è la vita

A cura di Matteo Miavaldi