«Il vero scopo della strategia degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico è di creare una Nato asiatica». È da questa prospettiva, esplicitata dal ministro degli Esteri Wang Yi durante la lianghui (le «due sessioni» in corso a Pechino), che deriva l’impossibilità della Cina di condannare esplicitamente l’invasione russa dell’Ucraina. Ed è dall’invasione russa dell’Ucraina che potrebbe derivare un’ulteriore spinta alla corsa alle armi già in atto in tutta l’Asia-Pacifico.
IL PARTITO COMUNISTA cinese ha bisogno della retorica anti Nato. La «benzina sul fuoco» gettata dall’espansione verso l’est Europa evocata a più riprese è funzionale alla narrativa secondo cui questa e possibili future guerre siano responsabilità americana. Come la Russia si sente accerchiata in Europa, la Cina percepisce tentativi di accerchiamento in Asia. Se il Quad era stato descritto da Wang come «schiuma marina», in riferimento alle (ex) titubanze dell’Australia e al non allineamento dell’India, qualcosa è poi cambiato. Prima con Aukus, alternativa (più) armata al Quad. E ora con le possibili conseguenze di quanto accade a Kiev.
Non solo la Nato sembra compattarsi sul fronte europeo, ma i partner militari degli Usa stanno diventando più vocali in Asia, preoccupati dalle possibili azioni cinesi. Timori basati anche (ma non solo) sulla disarmonica simmetria creatasi tra le figure di Xi Jinping e Putin. IN TAL SENSO, LA FACCIATA d’alleanza innestata su fondamenta da partnership in occasione dell’ultimo incontro tra i due leader, potrebbe rivelarsi un boomerang strategico. Magnificare il rapporto sinorusso in una fase di giochi posturali poteva essere utile, farlo proprio malgrado dopo lo scoppio di una guerra molto meno, perché rende più complicato ottenere il risultato tradizionalmente anelato dal Pcc: vincere senza combattere. I vicini regionali, già preoccupati in precedenza, ora lo sono ancora di più.
CERCANO LE RASSICURAZIONI Usa, approfondiscono i legami tra loro e aprono i portafogli. Taiwan ha da poco approvato un bilancio extra per la difesa da 8,55 miliardi di dollari finalizzato all’acquisto di navi e missili, la cui produzione annua passerà da 207 a 497 unità.
Il Giappone avrà per l’ottavo anno consecutivo il budget militare più alto della sua storia: 47,2 miliardi, con l’obiettivo di un profondo ammodernamento tecnologico dell’esercito. E l’ex premier Shinzo Abe ha chiesto agli Usa di abbandonare l’ambiguità strategica sulla difesa di Taiwan. La Corea del Sud, governata in questi anni dai democratici di Moon Jae-in, ha aumentato le spese militari ma con una tendenza al rallentamento della crescita.
SE ALLE ELEZIONI presidenziali di oggi dovesse vincere il conservatore Yoon Seok-youl, però, le cose potrebbero cambiare vista la sua linea meno dialogante nei confronti di Pyongyang e il possibile ribilanciamento della posizione di Seul tra Pechino e Washington con un avvicinamento a quest’ultima. L’India ha aumentato le spese militari del 5%, ma il suo budget di 51,5 miliardi è meno di un quarto di quello cinese. Si arma con più convinzione l’Australia, che arriverà a spendere il 2,5% del pil. Attenzione anche al Sud-Est asiatico, la regione con la crescita di spese militari più rapida del decennio 2009-2018 (+33%). Il budget del Vietnam è aumentato di quasi il 700% in quel lasso di tempo. Tendenza che non si frena ma che anzi può accentuarsi dopo le recenti schermaglie con Pechino, che negli ultimi giorni ha condotto esercitazioni navali al largo delle coste di Hanoi. Le Filippine, dopo il flirt cinese di Rodrigo Duterte, sono tornate a volgere lo sguardo verso l’ex colonizzatore prorogando tutti gli accordi difensivi. E prevedendo il record storico di spese militari per il 2022, con un aumento del 7,87% rispetto al 2021.
La Cina, che ripete sempre di auspicare l’abbandono della mentalità da «guerra fredda» ma allo stesso modo ha appena annunciato un aumento delle spese militari del 7,1% (per un totale di circa 230 miliardi), si muoverà in terre, acque e cieli sempre più militarizzati. E la schiuma marina rischia di diventare blindata.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il manifesto]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.