Nell’ultimo trimestre del 2019 la Cina è cresciuta «solo» del 6,2 per cento. Si tratta della crescita più bassa negli ultimi 30 anni, frutto della guerra dei dazi con gli Usa e di un generale rallentamento dell’economia globale e nazionale.
Come comunicato dall’ufficio di statistica cinese, «la crescita annuale del Pil per il primo trimestre è stata del 6,4 e del 6,2 per il secondo trimestre». Come spesso accade in Cina, i numeri sono in linea con le previsioni al ribasso del governo, che aveva posto per l’intero anno un obiettivo tra il 6 e il 6,5 per cento. Nel 2018 la crescita era stata del 6,6 per cento. Il rallentamento è dovuto a un contesto complesso: «Le condizioni economiche sono ancora complicate e difficili sia a livello interno che all’estero. La crescita economica globale sta rallentando, le instabilità e incertezze stanno aumentando, lo sviluppo interno sbilanciato e inadeguato è ancora acuto e l’economia è sotto una nuova pressione verso il basso».
Il rallentamento cinese è stato colto subito al balzo da Donald Trump, secondo il quale il segretario al Tesoro Usa, Steve Mnuchin, «ha avuto un’ottima conversazione con l’omologo cinese», suggerendo che i peggiori dati sulla produzione economica della Cina in quasi tre decenni potrebbero far avanzare i negoziati commerciali, per i quali è atteso un nuovo incontro.
A fornire un quadro generale sulla condizione economica e politica della Cina, è il rapporto appena pubblicato da parte della «Fondazione Italia-Cina», uno strumento indispensabile per comprendere quanto accade a Pechino in termini generali, tanto economici, quanto finanziari e politici. Per gli analisti della Fondazione il rallentamento economica farebbe parte «di una dinamica prevista e che si ripeterà nei prossimi anni, caratterizzati dal tentativo di ridefinire il modello di crescita cinese lungo alcune direttrici», dipendenti da un riequilibrio tra investimenti e stimoli, esigenze di tutela ambientale, rafforzamento dei consumi.
Il contesto di riferimento «continua a essere quello del New Normal» la nuova fase dell’economia cinese, caratterizzata da un tasso di crescita più lento ma propedeutico a portare il Paese in una nuova fase economica basata su servizi e innovazione.
La grande trasformazione cinese è di fronte a uno dei suoi momenti più complicati: da un lato deve proseguire sulla strada intrapresa per limitare il peso delle esportazioni e sostenere lo sforzo anche geopolitico attraverso servizi e innovazione tecnologica. Dall’altro deve resistere in una fase dove oltre al rallentamento globale, si fa sentire anche lo scontro commerciale con gli Usa. Senza dimenticare la necessità del «mantenimento della stabilità» che potrebbe risultare complicato con una bassa crescita. In questo senso vanno letti gli sforzi di ingegneria sociale, come il sistema dei crediti sociali.
«La ridefinizione delle relazioni commerciali e l’inquadramento degli spazi per la tecnologia cinese in questo ambito – prosegue il report della Fondazione – sono la principale novità di un quadro nel quale le sfide che il Governo dovrà affrontare sono sostanzialmente immutate. Tra queste si segnalano la sovracapacità in alcuni settori e un ambiente economico che deve bilanciare i costi nel breve periodo delle riforme messe in atto dal Governo, le quali mostreranno successi solo nel lungo periodo».
Nel rapporto sono poi evidenziati alcuni progetti che hanno trovato una loro accelerazione nel 2018. Uno di questi è senza dubbio quello della Greater Bay Area, «affiancato da tre progetti infrastrutturali chiave». Il primo è il ponte Hong Kong – Zhuhai – Macao inaugurato di recente, nel 2018, «che riduce in maniera significativa i tempi di percorrenza da Hong Kong a Zhuhai e Macao».
Il secondo è «il collegamento ferroviario ad alta velocità, anch’esso aperto nel 2018, che connette Hong Kong a Shenzhen e al Guangdong, quindi alla vasta rete ferroviaria ad alta velocità cinese». Un terzo progetto è il corridoio Shenzhen – Zhongshan, il cui completamento è previsto per il 2024. Sarà un’autostrada a 8 corsie e ridurrà i tempi di percorrenza tra Shenzhen e Zhongshan/Jiangmen di circa 30 minuti.
Si tratta di progetti infrastrutturali che fanno il paio con quelli sparsi per il mondo e inseriti all’interno della Nuova Via della seta, progetto che rimane la stella polare cinese in ambito internazionale ma che a causa delle difficoltà economiche e della mutata situazione internazionale potrebbe procedere in modo più discreto e con meno visibilità internazionale.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.