Taiwan si armi e segua l’esempio di Israele. È l’auspicio di Kelly Craft, ex rappresentante permanente alle Nazioni unite degli Stati uniti, espresso in apertura dell’Asia-Pacific Security Dialogue organizzato in formato virtuale dal ministero degli Esteri di Taipei. Craft è una diplomatica di espressione repubblicana, ha lavorato con George W. Bush e Donald Trump. Lo scorso gennaio il suo previsto viaggio a Taiwan è stato cancellato all’ultimo momento, poco prima dell’insediamento di Joe Biden.
NEL SUO DISCORSO, durato circa 30 minuti, non ha risparmiato qualche critica sul ritiro dall’Afghanistan: «Quanto accade a Kabul ha implicazioni anche in Asia, dove i nostri partner sono preoccupati». Ma allo stesso tempo ha provato a rassicurare i taiwanesi: «Sono qui per dirvi che la propaganda cinese ha torto: sono orgogliosa della linea pro Taipei dell’amministrazione Trump e sono orgogliosa di vedere che la stessa linea è seguita anche da Biden. Se perdiamo Taiwan, perdono anche gli Stati uniti».
Secondo Craft, che ritiene che l’Oms abbia agito da «portavoce» della Cina e che l’Onu sia un’organizzazione che ha tradito le sue origini, Taipei deve proseguire sulla strada dell’acquisto di armi e collaborare sui semiconduttori portando parte della produzione di Tsmc negli Stati uniti.
L’esempio da seguire sarebbe dunque quello di Israele, che può contare sull’appoggio di Washington ma ha costruito una capacità (e una volontà) militare elevata in grado di scoraggiare i suoi nemici ad attaccare. «Gli Stati uniti sono impegnati alla difesa di Taiwan, ma anche i taiwanesi devono impegnarsi a difendersi», ha detto Craft. Una parafrasi di quanto aveva dichiarato nei giorni scorsi la presidente Tsai Ing-wen, sulla necessità di non affidarsi esclusivamente «alla protezione altrui».
ALL’EVENTO HANNO PRESO parte diplomatici, ricercatori e militari, provenienti soprattutto dai paesi del Quad (Usa, Giappone, Australia e India), ma anche da Corea del Sud, Vietnam e Filippine. I vari interventi hanno mostrato diverse sfumature, da una decisa assertività australiana a una maggiore cautela indiana. Oltre all’aspetto militare, si è parlato dell’inclusione di Formosa in una nuova catena di approvvigionamento regionale e globale che limiti la dipendenza da Pechino. Significativa la presenza di Karen Makishima, membro della Camera dei rappresentanti giapponese e del Partito liberaldemocratico, la quale ha ribadito che un’eventuale invasione di Taiwan rappresenterebbe una «minaccia esistenziale» per Tokyo.
A poche settimane dalle elezioni generali, il governo giapponese ha in parte abbandonato la tradizionale cautela sul dossier cinese. Per la prima volta Taiwan è stata citata nel report annuale sulla Difesa, il cui ministero ha formalmente richiesto un bilancio da oltre 49 miliardi di dollari per il 2022. Una cifra record per il Giappone, che mira a blindare le isole contese Senkaku/Diaoyu e contrastare la flotta cinese nel mar Cinese orientale.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il manifesto]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.