“L’autosufficienza tecnologica? Costosa ma non impossibile”. Intervista a Yao Yang, direttore del China Center for Economic Research presso la Peking University.
Alla fine di settembre, messo da parte il tipico approccio prudente, Pechino ha annunciato le misure economiche più risolute dalla fine della pandemia. Come valuta queste misure? Quale pensa siano le questioni più urgenti da affrontare?
Fino a pochi giorni fa, il governo era stato completamente impegnato a risolvere problemi importanti a lungo termine, come la gestione dei debiti delle amministrazioni locali e della bolla immobiliare ma nel breve periodo contenere queste criticità può causare degli intoppi. Le recenti mosse del governo servono quindi a bilanciare gli obiettivi a lungo termine con la crescita a breve termine. Ovvero a centrare l’obiettivo di crescita del 5% fissato per quest’anno.
La risposta delle borse cinesi è stata travolgente: nel giro di una settimana l’indice Csi 300 delle società quotate a Shanghai e Shenzhen è salito del 15,7%, registrando la migliore performance dal novembre 2008. Pensa sia un trend sostenibile o si tratta di un fenomeno temporaneo? C’è chi teme l’epilogo del 2015.
La mossa recente ha riguardato il fronte monetario. Ha aumentato la fiducia della gente nel mercato azionario, ma è necessario uno stimolo fiscale perché la ripresa sia sostenibile. Questo perché i colli di bottiglia non sono dal lato dei consumatori, ma piuttosto dal lato del governo: le amministrazioni locali stanno tagliando la spesa a causa del bilancio ristretto.
Da tempo il governo cinese dice di voler rendere la domanda interna la forza trainante della crescita economica. Pensa che le recenti misure (taglio dei tassi sui mutui, sussidi all’acquisto, sostegno alle coppie con figli…) siano sufficienti?
Le politiche monetarie sono un buon inizio. Ma come ho detto nella domanda precedente, dobbiamo aspettare un solido e ampio stimolo fiscale per far crescere la domanda. Oltre alla spesa pubblica, è importante anche stabilizzare il mercato immobiliare dal lato dell’offerta. Perché le aziende potrebbero non essere in grado di completare i loro progetti e i prezzi stanno ancora scendendo. Il governo ha annunciato che incoraggia i governi locali ad acquistare appartamenti in eccesso e terreni inutilizzati. Questo è un passo nella giusta direzione.
Nonostante tutto, la leadership cinese sembra piuttosto ottimista riguardo al futuro. Tuttavia, i giovani cinesi lo sono molto meno. La disoccupazione continua a salire e, forse, il dato più allarmante riguarda ila percezione del graduale declino della mobilità sociale. Come può intervenire il governo?
L’occupazione non può essere separata dalla crescita economica. La ripresa e la creazione di posti di lavoro sono solo due facce della stessa medaglia. Quindi il governo è sulla strada giusta per ripristinare l’occupazione stimolando l’economia. Per quanto riguarda la mobilità sociale, i dati del nostro sondaggio biennale CFPS (China Family Panel Studies) mostrano che la mobilità educativa tra le generazioni è aumentata per i giovani nati dopo la metà degli anni ’80, probabilmente grazie all’aumento delle ammissioni universitarie dalla fine del decennio successivo. Ma, naturalmente, il recente calo dell’occupazione giovanile probabilmente ha colpito maggiormente i giovani provenienti da famiglie a basso reddito.
La Cina ha promesso di sviluppare le cosiddette “nuove forze produttive” per aiutare a rilanciare la sua economia in rallentamento. Tuttavia, molti esperti pensano che la tecnologia legata alle rinnovabili probabilmente non saranno sufficienti a sostituire le “vecchie forze”, in particolare il settore immobiliare. Qual è la sua opinione a riguardo?
Ci vorrà molto tempo prima che le nuove tecnologie e industrie sostituiscano il settore immobiliare. Ma in realtà questo sta già accadendo, perché nonostante il declino dell’immobiliare l’economia cinese è comunque continuata a crescere.
Sarà così anche in futuro? Pechino respinge le affermazioni sull’eccesso di capacità come una falsa narrazione, sostenendo che si tratta di un altro esempio di come gli Stati Uniti stanno tentando di sopprimere i piani di sviluppo cinesi. Ma non sono solo gli Stati Uniti ad essere preoccupati. Anche alcuni paesi del Sud Globale hanno iniziato a minacciare tariffe…
All’interno della Cina c’è una questione di eccesso di capacità. Il Giappone ha avuto lo stesso problema alla fine degli anni ’70, quando ha dovuto rimodulare il suo modello di crescita dall’export verso i consumi interni. Ma la capacità della Cina nei pannelli solari e nei veicoli elettrici non è solo solo per la Cina: è per il mondo intero. Non è importante solo oggi, ma lo sarà anche nei prossimi decenni. Le tecnologie cinesi in questi campi sono le migliori. Se il mondo prende davvero sul serio la lotta contro il cambiamento climatico, le tecnologie cinesi arrivano proprio al momento giusto. Altri paesi europei e gli Stati Uniti dovrebbero seguire l’esempio dell’Italia, aprendo i loro mercati agli investimenti cinesi. Si tratta di una situazione vantaggiosa per tutti.
I paesi occidentali (e non solo) contestano però l’utilizzo diffuso di sussidi statali che, rendendo i prodotti cinesi a basso costo, compromettono la sopravvivenza delle industrie nei mercati di sbocco.
Il tasso di risparmio della Cina è molto alto – circa il 45% del Pil – il che si traduce naturalmente in sovrainvestimenti all’interno del paese. Oggigiorno, non c’è un paese importante che non sovvenzioni la sua industria. Se parliamo di interruzione nelle catene del valore globali, in realtà sono i controlli sulle esportazioni degli Stati Uniti il fattore più destabilizzante. Capisco perfettamente le mosse dell’UE e di altri paesi per proteggere i loro mercati – il settore manifatturiero cinese è semplicemente troppo grande e la sua tecnologia sta ora superando quella di molti paesi. Ma usare i sussidi governativi per imporre tariffe sulle esportazioni della Cina è una cattiva idea perché l’UE dovrà comunque sovvenzionare la sua industria dei veicoli elettrici. Alcuni paesi hanno già cominciato a farlo.
Ha citato le restrizioni americane. Secondo vari rapporti, le aziende cinesi stanno sviluppando chip in grado di sostituire i prodotti del colosso statunitense Nvidia. Crede che la Cina riuscirà davvero a raggiungere l'”autosufficienza” tecnologica?
Fino a poco fa la Cina faceva affidamento sui mercati internazionali per la produzione di microprocessori. Ma il controllo delle esportazioni americane ha cambiato la situazione e la Cina ora deve contare su sé stessa per produrre chip ad alta precisione. Fino ad ora, la Cina ha avuto successo in alcune aree, ma c’è ancora molta strada da fare per raggiungere l’autosufficienza. Da economista, credo che le limitazioni sulle esportazioni americane non faccia bene a nessuno, inclusi gli Stati Uniti. Per la Cina è stata una sveglia, anche se raggiungere l’autosufficienza implica costi molto alti. Allo stesso tempo però gli Stati Uniti non hanno guadagnato nulla — in realtà hanno solo perso. Le loro aziende hanno dovuto cedere quote di mercato in Cina. In futuro la Cina potrebbe davvero raggiungere l’autosufficienza. Non seguendo però il percorso attuale dei semiconduttori elettronici, bensì attraverso altre alternative, come i chip fotonici — e dovrà farlo, così gli Stati Uniti non otterranno davvero nulla.
Di Alessandra Colarizi
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.