Dopo mesi di speculazioni, i numeri sembrano confermare l’efficacia delle sanzioni imposte dalla comunità internazionali contro il regime nordcoreano. Secondo stime della Banca centrale sudcoreana, nel 2017 l’economia nordcoreana è cresciuta al ritmo più lento da vent’anni a questa parte. Il Pil del Regno eremita ha riportato una contrazione del 3,5% su base annua, il calo più netto dopo il crollo del 6,5% registrato nel 1996, anno della grave carestia costata la vita a circa 1 milione di persone.
La produzione industriale, che rappresenta un terzo del prodotto interno lordo, è diminuita dell’8,5%, il calo più marcato dal 1997 imputabile alle restrizioni sull’acquisto di petrolio e altre risorse energetiche. Contestualmente, il commercio estero si è assottigliato del 15%, scendendo a quota 5,6 miliardi di dollari, mentre le esportazioni sono diminuite complessivamente del 37,2%.
“Il volume del commercio estero è diminuito in modo significativo con il divieto sulle esportazioni di carbone, acciaio, prodotti ittici e tessili. È difficile calcolare i numeri esatti, ma (il divieto) ha bloccato la produzione industriale,” spiega Shin Seung-cheol, direttore del National Accounts Coordination Team presso la Bank of Korea.
Le statistiche — desunte, in mancanza di dati ufficiali, dalle informazioni ottenute dal governo sudcoreano attraverso i disertori e il monitoraggio diretto di parametri come l’intensità del traffico e l’estensione delle risaie nelle aree di confine — sembrerebbero confermare — come sostenuto da Washington ma negato dal regime del Nord — la funzionalità delle sanzioni nella sospensione dei test nucleari e missilistici annunciata dal leader Kim Jong-un lo scorso aprile. Complice la peggiore siccità degli ultimi 16 anni riportata lo scorso anno dagli osservatori internazionali.
“Finché le esportazioni di minerali — di gran lunga l’elemento più redditizio dell’export nordcoreano — sono incluse nelle sanzioni, Pyongyang non avrà altra scelta che continuare i suoi attuali negoziati con gli Stati Uniti”, commenta ai microfoni della Reuters Kim Byeong-yeon, professore di economia presso la Seoul National University. Soprattutto considerando che l’incremento delle sanzioni durante il 2017 fa presagire un ulteriore deterioramento dei dati economici per l’anno in corso.
Gli scambi con la Cina, primo partner commerciale di Pyongyang, sono crollati di quasi il 60% nei primi sei mesi dell’anno. Nel 2017, Pechino ha sospeso le importazioni di carbone, fiore all’occhiello dell’export nordcoreano, così come la vendita di prodotti petroliferi, causando una temporanea impennata dei prezzi di gasolio e benzina. Secondo l’esperto, se a risentirne sarà innanzitutto l’establishment politico, abituato a standard di vita sopra la media, il colpo di coda non risparmierà nemmeno i jangmadang,i mercati informali che — stando all’Institute for Korean Integration of Society — contano ormai per il 60% dell’economia locale.
Ciononostante, le valutazioni dell’impatto sui consumi internirimangono in balia della discrezionalità con cui la Cina si attiene al regime sanzionatorio. Solo alcuni giorni fa il ministero degli Esteri cinese si è difeso contro le accuse intentate dalle Nazioni Unite riguardo alla presunta violazione del bando sulle importazioni di carbone nordcoreano. Da alcuni mesi le attività commerciali sul lato cinese del fiume Yalu — la frontiera naturale che separa i due vecchi alleati comunisti — evidenziano un fermento che non è passato inosservato nemmeno all’amministrazione Trump, sempre più occhiuta nei confronti del riavvicinamento tra la leadership del Nord e Pechino. Sospetta è la regolarità mantenuta dai prezzi dei beni di prima necessità come riso e mais, sebbene recenti sopralluoghi delle Nazioni Unite abbiano evidenziato la “chiara necessità di aiuti umanitari.”
I morsi delle sanzioni internazionali cominciano a farsi sentire proprio ora che Kim Jong-un punta a spostare il focus della propria agenda politica dal nucleare allo sviluppo economico. Negli ultimi giorni il giovane leader è stato visto perlustrare siti industriali e zone economiche speciali al confine con il gigante della porta accanto. Non sono mancati rimbrotti per la lentezza con cui procedono i lavori di costruzione e l’ammodernamento degli impianti di produzione.
Aiuti economici in cambio della rinuncia all’atomica è quanto propongono Washington e Seul. Il compromesso non sembra dispiacere a Pyongyang, purché preveda una graduale rimozione delle sanzioni in corso d’opera. Un punto su cui finora la Casa Bianca si è dimostrata irremovibile.
Appena un paio di giorni fa il Rodong Sinmun, quotidiano ufficiale del partito dei Lavoratori, ha invitato la popolazione a “tirare la cinghia” e proseguire lungo “la strada del socialismo”.
[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.