Questa settimana il Presidente delle Filippine Rodrigo Duterte è arrivato in visita di Stato a Tokyo. Gli osservatori locali hanno provato a spiegare che personaggio sia Rodrigo Duterte: «contraddittorio», «situazionale» o opportunista? Da luglio, quando è diventato è stato eletto, il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte è al centro dell’attenzione degli osservatori di politica internazionale. Nei mesi, per le sue parole si è guadagnato qualche articolo di stampa e titoli a caratteri cubitali. Non da ultimo la scorsa settimana. Poco prima del suo arrivo in Giappone, in visita a Pechino, l’ex sindaco di Davao aveva infatti promesso la rottura con Washigton e fatto intendere l’interesse della sua amministrazione a riavvicinarsi alla Cina, paese che prima dell’arrivo di Duterte al potere, era considerata il nemico numero uno di Manila per la contesa su un pugno di isole nel Mar cinese meridionale.
Preceduto dalla sua fama di «re dell’incoscienza» (bōgen-ō), Duterte era, almeno sulla carta, un ospite potenzialmente «scomodo» in un paese che nel 2015 ha rafforzato il suo legame di diplomatico e militare con gli Stati Uniti. Peraltro su giornali e rotocalchi è addirittura partito un dibattito sulla possibilità che Duterte potesse masticare un chewing gum di fronte a sua maestà l’Imperatore.
Tutto per fortuna è andato per il meglio, con sorrisi e strette di mano tra Duterte e il Primo Ministro Shinzo Abe e con una cena faccia a faccia con il Ministro degli Esteri giapponese Fumio Kishida, definita «eccezionale» dall’ex «sceriffo» di Mindanao. Oltre alla cena, soddisfacenti sono stati anche gli accordi di cooperazione firmati dalle due parti. Duterte porta a casa oltre 21 miliardi di yen (circa 200 milioni di euro) in crediti d’aiuto e due fregate per la guardia costiera filippina. A Yokohama poi, dove il presidente filippino ha visitato una base navale delle forze di autodifesa giapponesi, Duterte ha detto di non avere, in linea generale, nulla in contrario ad esercitazioni congiunte con la marina giapponese. «È con gli Stati Uniti che le interromperemo presto».
Nessun imbarazzo infine davanti all’Imperatore: l’incontro al palazzo imperiale è saltato per la scomparsa a 100 anni del Principe Mikasa, reduce della guerra in Asia e zio dell’attuale Imperatore Akihito.
Gli analisti giapponesi sono divisi sulla visita di Duterte. C’è chi fa notare le evidenti contraddizioni — nell’arco di pochi giorni, Duterte ha infatti chiesto alle truppe Usa di ritirarsi dalla Filippine entro i prossimi due anni, per poi firmare una dichiarazione congiunta con il Giappone in cui viene riconosciuto il ruolo degli Usa nel mantenimento della sicurezza nell’Asia-Pacifico — e le imputa alla scarsa esperienza in ambiti internazionali. Questo potrebbe rivelarsi controproduttivo sul lungo termine ma, per il momento, porta voti e consensi al Presidente, che anche a Tokyo è stato salutato da centinaia di concittadini residenti in Giappone. Qualcuno l’ha definito come un «padre» della nazione che va con benevolenza a trovare i suoi figli all’estero.
C’è chi poi suggerisce che la visita di Duterte in Giappone rilanci Tokyo come ago della bilancia della geopolitica della regione Asia-Pacifico. Come spiega Yukihiro Hasegawa su Gendai Business, Duterte ha affermato che in caso di peggioramento della crisi sul Mar cinese meridionale, il suo paese prenderà le parti del Giappone e non quelle della Cina. Duterte insomma vede già nel Giappone, e non negli Stati Uniti che per lui non fanno che «mettere guinzagli» ai Paesi alleati, l’anti-Cina. «Nello spettacolo diplomatico che sta andando in scena in Asia orientale — spiega Hasegawa — il Giappone ha appena assunto un ruolo di protagonista».
E c’è chi infine dice, che Duterte invece sia un «situazionale» della diplomazia che dove va dice ciò che i politici e la gente del posto vuole sentirsi dire. A Pechino e a Tokyo questo sistema sembra aver funzionato: nei prossimi anni dalle due maggiori economie asiatiche arriveranno investimenti e aiuti.
Durante la visita di Duterte però ha prevalso come spesso capita in questo tipo di incontri diplomatici, il pragmatismo. Molto cautamente, infatti si sono schivati argomenti più stringenti del rapporto Manila-Washington, come già era successo in Cina. Non si è parlato dei programmi di «eliminazione» di spacciatori di droga e tossicodipendenti avviati da Duterte nei primi giorni di mandato e che hanno già attirato critiche sul governo di Manila dalle principali organizzazioni internazionali per difesa dei diritti umani. D’altra parte, a Tokyo, Duterte si è ben guardato dal citare il caso del praticante filippino Joey Tocnang, 27 anni, impiegato come operaio edile in Giappone, morto per superlavoro nel 2014. Pochi giorni fa, Tocnang è diventato il primo straniero a ricevere l’indennizzo riconosciuto alle famiglie degli scomparsi dal 2011.
Forse poi così sventato e impreparato, l’ex sindaco-sceriffo di Davao, non lo è.
[Scritto per Eastonline]