Ancora una volta, il premier giapponese Shinzo Abe si è dimostrato il primo della classe. Almeno in senso cronologico.
Mentre gli altri leader del «Primo mondo» sono impegnati in affari domestici — l’addio alla Casa Bianca degli Obama, la burocrazia della Brexit, le elezioni alle porte in Francia e Germania — e Xi Jinping, leader cinese, vola, questo weekend, in Svizzera, il leader conservatore giapponese ha fatto tappa a Manila e Davao nell’ambito del tour diplomatico che lo ha portato anche in Australia e Indonesia e Vietnam.
Nel paese-arcipelago del Pacifico meridionale, Abe ha portato con sé un atteggiamento costruttivo nei confronti della sua controparte, l’irriverente Rodrigo Duterte, e l’impegno del suo paese a sostenere il commercio bilaterale e lo sviluppo infrastrutturale filippino con aiuti e investimenti. Il gesto gli è valso un invito, da primo leader al mondo, nell’umile bungalow verde dei Duterte a Davao, 1500 km a sud di Manila. Abe ha poi ricevuto l’onore di ribattezzare l’aquila delle scimmie, una specie di aquila originaria delle Filippine e animale simbolo della nazione, «sakura», fiore ciliegio. «Il Giappone è un amico più stretto di un fratello», ha detto Duterte alla stampa.
Da tempo la diplomazia giapponese punta su una diplomazia «dal volto umano» e sulla costruzione di «rapporti di fiducia» tra leader. A novembre dello scorso anno, lo stesso Abe, durante una sosta tecnica a New York sulla via per un summit internazionale in Peru, aveva incontrato Donald Trump, fresco di vittoria elettorale, portandogli in dono una mazza da golf dorata, 100 per cento «made in Japan». A dicembre, poi, aveva invitato il leader russo Vladimir Putin a trascorrere una giornata in un centro termale nella rurale prefettura di Yamaguchi, Giappone sud-occidentale.
Dal punto di vista di Tokyo regali, concessioni monetarie e gesti simbolici sono tutti potenziali «lubrificanti» per la realizzazione degli obiettivi strategici del paese (in particolare assicurare nuovi mercati per le aziende esportatrici del paese, forniture di materie prime, voti a favore in sedi Onu e, in casi come la Russia, risolvere questioni territoriali in sospeso dalla fine della Seconda guerra mondiale). Con le Filippine, come spesso capita per i paesi in via di sviluppo, il biglietto da visita l’hanno fornito gli aiuti economici di Tokyo.
Il Giappone fornirà circa 8 miliardi di euro in aiuti alle Filippine per lo sviluppo delle infrastrutture locali e il trasferimento di tecnologia e know-how. In particolare gli aiuti si concentreranno nella capitale Manila, dove gli aiuti giapponesi si concentreranno nel miglioramento della metropolitana cittadina.
Inoltre, Duterte, che a novembre 2016 aveva annunciato una «rottura» diplomatica con gli Stati Uniti, avrebbe riconosciuto la necessità di un impegno di Washington per garantire la stabilità degli assetti regionali e avrebbe infine confermato la propria disponibilità a continuare la cooperazione militare con gli Usa. Un ripensamento che va letto anche in ottica dell’insediamento di Donald Trump alla Casa bianca, previsto per il 20 gennaio prossimo. Non a caso c’è chi, come l’analista Richard Javad Heydarian raggiunto da Bloomberg, interpreta la visita di Abe come tentativo di riavvicinare Manila a Washington.
E non a caso nel promettere aiuti di stato a Duterte, Abe non ha fatto menzione della famigerata guerra alla droga che Duterte sta conducendo da quando è arrivato al potere a luglio 2016. Era stata infatti l’amministrazione Obama ad accusare l’ex sindaco di Davao di abusi sui diritti umani e, a dicembre, a ordinare lo stop a un pacchetto di aiuti stimabile in 400 milioni di dollari. Secondo alcune stime oltre 6mila persone — in particolare spacciatori e tossicodipendenti — sarebbero state giustiziate senza processo da polizia e squadre di vigilantes.
[Scritto per Eastonline]