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Due sessioni: segnali sul futuro della Cina

In Economia, Politica e Società by Lorenzo Lamperti

Target di crescita del pil, stimoli ai consumi, autosufficienza tecnologica, budget militare e segnali su Taiwan: che cosa emerge dal rapporto annuale di lavoro del premier cinese Li Qiang

“Non è detto che con un tasso di crescita economica più elevato la situazione sia molto buona, né che una diminuzione del tasso di crescita la situazione sia molto cattiva”. Senza citare questa frase di Xi Jinping, contenuta in un articolo pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista teorica del Partito comunista Qiushi, è difficile comprendere le notizie in arrivo dalle “due sessioni” cinesi.

Oltre cinquemila delegati da ogni angolo del paese affollano per una settimana la grande sala del popolo per le riunioni della Conferenza consultiva del popolo (che riunisce grandi personalità del mondo politico, imprenditoriale, culturale, sociale e sportivo) e dell’Assemblea nazionale del popolo, quanto di più simile la Cina abbia a un parlamento. Come da tradizione, ieri si sono aperte le danze col rapporto di lavoro del premier. Per la prima volta a parlare è stato Li Qiang, fedelissimo di Xi promosso lo scorso anno.

Fissati gli obiettivi dei prossimi mesi: il target di crescita del pil è stato fissato a “circa il 5%”, in linea col 2023 e al di sotto del 2022 in cui era stato mancato il bersaglio a causa delle dure restrizioni anti Covid. Per alcuni un dato cauto, per altri ambizioso, vista la mancanza di fiducia che rallenta i consumi e la crisi immobiliare. Dopo l’ordine di liquidazione per Evergrande, proprio ieri il principale costruttore privato, Country Garden, ha registrato un crollo dell’85% delle vendite su febbraio.

Per sostenere i consumi, il governo ha annunciato un programma annuale chiamato “senza pensieri” per incoraggiare la spesa per alcuni prodotti, dagli elettronici ai veicoli elettrici, settore che le aziende cinesi come Byd mirano a dominare. Altri stimoli potrebbero arrivare dall’emissione di obbligazioni speciali, ma la sensazione è che dopo i 139 miliardi del 2023 il portafoglio non si spalancherà del tutto.

La mancanza di grandi riforme o di sostegni extra large si evince dall’obiettivo di riduzione del deficit di bilancio, che dovrebbe scendere dal 3,8% al 3%. Non semplice, considerando il grande problema del cosiddetto “debito nascosto” che affligge soprattutto le casse dei governi locali, prosciugate dall’esposizione verso fondi fiduciari e settore immobiliare, l’ex motore della crescita che deve ancora trovare un sostituto ufficiale.

Le parole di Xi su Qiushi sono in tal senso significative. Come già lasciato intendere dall’inizio del suo secondo mandato con le “linee rosse” sull’immobiliare e la doppia circolazione che privilegia il consumo interno, per il leader cinese la priorità è cambiare il modello di sviluppo rendendolo più sostenibile, meno esposto a rischi debitori. Anche a costo di perdere qualche decimale di pil. Un piano che però è entrato in collisione con la pandemia prima e la guerra in Ucraina poi, in uno scenario di instabilità globale che rischia di amplificare il contraccolpo previsto originariamente.

Proprio dalle turbolenze esterne, leggasi restrizioni occidentali, si rafforza la necessità di perseguire una parziale autosufficienza tecnologica. Il rapporto di Li ribadisce con enfasi questo obiettivo, citando nuovi piani multimilionari per l’intelligenza artificiale e l’informatica quantistica.

Il governo promette di creare oltre 12 milioni di nuovi posti di lavoro nelle grandi città, dove punta a una disoccupazione del 5,5%. L’obiettivo non è semplice, visto il recente aumento della disoccupazione giovanile che al termine della prima metà del 2023 era arrivata a sfiorare il 20% nei centri urbani. Promesse anche nuove forme di sostegno alle nascite, uno dei punti nevralgici del futuro della Cina dopo che nel 2022 è iniziato (in anticipo sulla tabella di marcia) lo storico calo demografico che nel 2023 ha consentito il sorpasso dell’India come Paese più popoloso al mondo.

Attenzione anche agli obiettivi di sicurezza alimentare e transizione energetica. Il premier ha chiesto una produzione interna di cereali di oltre 650 milioni di tonnellate per dipendere meno dalle importazioni, mentre si punta a una diminuzione di circa il 2,5% del consumo di energia per unità di PIL dopo che gli ambiziosi obiettivi di abbattimento delle emissioni hanno subito un rallentamento col rilancio delle centrali elettriche a carbone seguito alla crisi energetica del 2021 e alle preoccupazioni causate dalla guerra in Ucraina.

Così come in Europa e altrove, prosegue poi anche in Cina la tendenza al riarmo. Il budget militare aumenta del 7,2%, in linea con lo scorso anno e al di sopra delle previsioni di crescita del pil. In un decennio, le spese di difesa cinesi sono pressoché raddoppiate, anche se rappresentano ancora un terzo di quelle degli Stati uniti. In questo contesto non sorprende che la parola citata più volte (28) nel report di Li sia proprio “sicurezza”.

Segnali interessanti anche dal (breve) passaggio su Taiwan. Dopo la vittoria alle presidenziali di gennaio di Lai Ching-te, che Pechino considera un “secessionista”, nel report di Li (che inusualmente non terrà la conferenza stampa finale) si parla di “sviluppo pacifico” delle relazioni ma è sparita la definizione “riunificazione pacifica”, così come il riferimento al “legame di sangue” tra continentali e taiwanesi. Trova invece posto l’opposizione ad “attività separatiste” e a “interferenze straniere”.

Atteso domani il discorso “diplomatico” del ministro degli Esteri Wang Yi, mentre entro lunedì verranno approvate diverse leggi, a partire dalla riforma del Consiglio di stato.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]