Prosegue la visita della delegazione degli europarlamentari a Taiwan, che ha in programma incontri anche con il primo ministro e con la presidente di Taipei, Tsai Ing-wen. Tra gli eurodeputati che fanno parte della missione c’è anche l’italiano Marco Dreosto della Lega, che racconta in un’intervista le ragioni della visita e l’evoluzione dei rapporti di Unione europea con Pechino e Taipei.
Marco Dreosto, com’è nata questa visita a Taiwan?
Da circa un anno è nata questa commissione europea che si occupa di ingerenze, interferenze straniere e disinformazione nei confronti di Unione europea e stati membri. Stiamo lavorando in modo importante da diversi mesi con tantissimi incontri e abbiamo redatto diversi documenti. L’obiettivo è quello di comprendere le dinamiche che stanno creando disinformazione e ingerenze a livello politico all’interno dell’Unione. Nei nostri dossier avevamo diversa documentazione su Taiwan e sulle best practices di Taipei nel contrasto alle politiche di disinformazione portate avanti a loro danno, soprattutto da parte della Cina. La prima motivazione del viaggio qui a Taipei è dunque tecnica: cercare di venire e capire gli strumenti tecnologici utili a contrastare questo tipo di attacchi, visto che qui la parte tecnologica è molto sviluppata. Da qui nasce l’obiettivo di questa missione, che è comunque contingentata con pochi europarlamentari anche per motivi sanitari. Allo stesso tempo abbiamo però in programma incontri importanti.
Il viaggio arriva subito dopo una visita del ministro degli Esteri taiwanese in Europa, tra Repubblica Ceca, Slovacchia, Lituania e Bruxelles (seppur quest’ultima tappa non in veste ufficiale). Ci sono anche ragioni politiche alla base di questo viaggio?
Certamente c’è anche un aspetto politico non indifferente. Siamo anche qui anche per comprendere quello che sta succedendo a Taiwan, un polo della democrazia asiatica importante che va salvaguardato. Come europei e occidentali ci sentiamo in qualche parte responsabili della tutela della democrazia, ma comunque va sottolineata anche l’importanza di Taiwan anche dal punto di vista strategico per chi come noi difende le posizioni occidentali e atlantiste. Ho riscontrato grande attenzione da parte degli organi governativi taiwanesi, che ci hanno accolto in maniera straordinaria facendoci capire quanto sia apprezzata e considerata questa missione da parte loro.
Nei vostri incontri parlerete anche di semiconduttori?
L’Europa è il primo partner commerciale di Taiwan per questo tipo di tecnologia e sicuramente è nostro interesse salvaguardare questo tipo di rapporti. L’indipendenza e l’autonomia di Taiwan vanno salvaguardate non solo per motivi ideologici ma anche per i nostri interessi. Qui viene fatto un eccellente lavoro sotto il profilo tecnologico. Immaginiamoci ingerenze o addirittura una governance cinese sull’industria dei semiconduttori: sarebbe un problema che andrebbe a colpire anche l’Italia e l’Europa.
Tra i membri della delegazione ci sono esponenti di diversi gruppi parlamentari europei. Segnale che l’interesse verso Taiwan è bipartisan?
La nostra commissione include posizioni politiche molto diverse ma quando si tratta di parlare di democrazia c’è unità di metodi e intenti. Stiamo perseguendo tutti insieme un lavoro su un documento che verrà votato dal parlamento europeo e rappresenterà uno strumento utile a disposizione della commissione per contrastare ingerenze esterne, un tema di alta sensibilità. La tutela della democrazia non ha colore politico.
E’ però indubbio che soprattutto i gruppi di destra e centrodestra abbiano sviluppato negli ultimi anni una tendenza, per così dire, “anti cinese”.
Noi come gruppo Identità e democrazia da sempre chiediamo di mantenere alta l’attenzione sul fenomeno cinese, che si è già prodotto in ingerenze in Europa e in Italia, come evidenziato da dossier e documenti dello stesso Copasir soprattutto durante il periodo della pandemia. Ora finalmente anche l’Europa ha aperto un po’ gli occhi e riconosce che esiste un problema cinese. Un tempo la Cina era vista solo come un’opportunità per andare a recuperare manifattura a basso costo o ottenere vantaggi commerciali. Nel periodo della pandemia ci si è accorti che non si è autonomi e indipendenti ci sono gravi difficoltà. Credo che questo abbia aperto gli occhi anche ai gruppi e ai partiti che strizzavano l’occhio alla Cina.
Alcuni suoi colleghi hanno anche chiesto un riconoscimento di Taiwan. Secondo lei è un passo che avverrà o che dovrebbe avvenire?
Mi sembra un aspetto prematuro. Noi siamo qui per capire la loro esperienza e per dare un segnale a tutela della loro vita democratica. Ho parlato con diverse persone e alcuni sono preoccupati che possa cambiare qualcosa e che le attuali tensioni possano trasformarsi in qualcosa di più pericoloso. Il nostro primo interesse è garantire il mantenimento dello status quo. Poi noi comunque siamo una commissione con dei compiti ben precisi, gli aspetti geopolitici li lasciamo decidere a qualcun altro.
In Italia è cambiato qualcosa nei rapporti con Cina e Taiwan col governo Draghi?
Anche qui mi sembra che ci si sia resi conti che esiste un problema. Il governo Draghi ha dato un forte impulso al nostro tradizionale posizionamento atlantista filoamericano. L’Italia ha assunto una posizione molto chiara e anche chi è nel Movimento Cinque Stelle ha capito che la musica è un po’ diversa ora e che ci sono problematiche legate ai nostri asset strategici, che bisogna a tutti i costi tutelare. Taiwan è un dossier che stiamo seguendo con attenzione, noi come Lega da tanto tempo: ricordo che nel 2019 l’ultima delegazione italiana venuta qui è stata tutta della Lega con la guida di Gian Marco Centinaio. Ora anche le altre forze politiche si sono accorte che la vicenda taiwanese è importante ed è uno specchietto di qualcosa che può diventare più grande.
Nel 2019 però c’era anche la Lega al governo quando è stata firmata l’adesione alla Belt and Road. Si trattò di un errore?
Si trattò di una decisione che teneva conto di alcuni fattori contingenti ed era una sorta di pre accordo non definitivo. Era stata fatta una valutazione sul fatto che un accordo di quel tipo avrebbe potuto portare vantaggi commerciali sia all’Italia sia alla Cina, ma poi è stato corretto fermarsi e valutare con attenzione tutti i dossier. Faccio l’esempio del porto di Trieste, che Pechino aveva messo nel mirino e noi alla fine abbiamo invece fatto un accordo con Amburgo, fondamentale per aprirci all’est Europa. E’ una lezione che non abbiamo bisogno della Cina per ottenere risultati importanti.
Sembra però complicato poter fare a meno di intrattenere un qualche tipo di rapporto con Pechino. Che tipologia di relazioni vi immaginate?
Di certo esistono degli aspetti economici che non vanno sminuiti o sottovalutati, però la relazione va portata avanti accompagnandola con la rivendicazione dei diritti umani e tenendo fermi alcuni paletti. Come esistono rivendicazioni nei confronti degli stati membri come la Polonia, non possiamo fare finta di niente su quanto accade in Cina o a Taiwan quando ci si rapporta con Pechino.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su Affaritaliani]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.