La diatriba tra ottimisti e catastrofisti rende schizofrenica l’interpretazione della transizione cinese. Ora, il taglio degli interessi su prestiti e depositi getta nuova benzina sul fuoco: un aggiustamento funzionale alla trasformazione o una mossa disperata? Sicuramente, serve a puntellare il settore immobiliare, in quello che la autorità chiamano "allentamento selettivo". Strana vita, quella del corrispondente dalla Cina. Vai ad ascoltare una conferenza di Yukon Huang, già responsabile della Banca Mondiale in Estremo Oriente, e ti senti spiegare con dovizia di numeri e grafici che tutte le grida d’allarme sul futuro collasso dell’economia cinese sono paccottiglia spacciata dai soliti gufi. Una settimana dopo vai invece a una lectio di Tao Ran – che è direttore del Centro di Economia pubblica e Governance presso l’Università del Popolo di Pechino – e poi non riesci a prendere sonno perché lui ti ha annunciato che la catastrofe è lì, dietro l’angolo, anzi è già cominciata.
Prendiamo il problema del bilancio: secondo gli ottimisti, basterà dare ai governi locali la possibilità di emettere bond e il loro debito svanirà come neve al sole, senza il consueto ricorso alla politica della terra, cioè la vendita di lotti agricoli (debitamente espropriati) ai palazzinari che alimentano la bolla immobiliare; secondo i pessimisti, nessun risparmiatore cinese (e chi li frega, quelli) farà mai l’idiozia di acquistare il debito di amministrazioni superindebitate e meno trasparenti di un bicchiere di pece.
Da una parte si parla di transizione, difficile finché vuoi ma funzionale a dare nuovo impulso a un’economia che da qui a qualche decennio sarà la prima al mondo; dall’altra, è un “si salvi chi può”.
In questo scenario interpretativo schizofrenico, venerdì scorso la People’s Bank of China ha tagliato a sorpresa i tassi di interesse, sia sul prestito (di più), sia sul deposito (di meno). Misura in vigore da subito: meno 40 punti base per il benchmark sui tassi di prestito a un anno (che si attestano al 5,6 per cento); meno 25 punti base per quelli di deposito (2,75 per cento).
Che giudizio darne?
Sicuramente, è una mossa intesa a stimolare un’economia che da tempo sta rallentando. Da settembre, 769,5 miliardi di yuan (126 miliardi di dollari) sono stati pompati nei mercati, soprattutto attraverso l’iniezione di liquidi nei principali istituti di credito: andate e prestate.
Tuttavia, a ottobre, l’economia ha ulteriormente perso impeto: la produzione industriale è cresciuta del 7,7 per cento anno su anno, il ritmo più debole dal 2009; i prezzi al consumo sono aumentati dell’1,6 per cento, mentre quelli alla produzione sono crollati del 2,2 per cento; anche le vendite al dettaglio sono state inferiori alle previsioni. Ne esce l’immagine di una economia che soffre la contrazione della domanda esterna senza averla (ancora?) sostituita con quella interna. Hai voglia a prestare alle imprese, se non riescono a vendere nulla.
Ora, la banca centrale attua il taglio del benchmark per la prima volta dal luglio 2012. Ma la stessa People’s Bank ha escluso che ricorrerà a ulteriori misure di stimolo e continua a parlare di “allentamento selettivo” della stretta sul credito; sufficiente, secondo Pechino, a far ripartire il sistema.
La notevole riduzione del tasso sui prestiti lascia intuire che si punti ai mutui, cioè al mercato immobiliare, da tempo in frenata. Secondo dati ufficiali di questa settimana, i prezzi delle nuove case sono scesi in ottobre in 67 grandi città (su 70 esaminate) e le vendite sono crollate del 10 per cento nei primi 10 mesi dell’anno. I crediti inesigibili sono cresciuti del 10 per cento nell’ultimo trimestre, il tasso più alto dal 2005.
Quindi, le autorità monetarie scelgono di ridurre i costi di finanziamento e i rischi finanziari.
L’impressione è che si stia prendendo tempo e che, molto pragmaticamente, si navighi a vista. Se è vero che il rallentamento dell’economia è messo in programma dalla stessa leadership cinese – che prevede una crescita del 7,4 per cento quest’anno e che considera il “new normal” (il livello ridotto di crescita per gli anni a venire) come il prezzo da pagare alla grande transizione in corso verso un’economia più evoluta – è anche vero che va impedito a tutti i costi che la bolla immobiliare scoppi in maniera dirompente. Bisogna però farlo senza lasciare intendere che il mattone sia di nuovo il settore trainante, quello dove investire, quello dove mettere i propri risparmi, quello per cui chiedere prestiti alle banche. È necessario dare tempo di crescere ai consumi interni e alla produzione industriale (incrociando le dita), puntellando nel frattempo le fondamenta di casa (alla lettera); ma gli investimenti veri, cospicui, qualitativi, non devono più finire lì. Ecco dunque il nostro “allentamento selettivo”.
Siamo di fronte a una tappa di quella graduale e pianificata trasformazione complessiva dell’economia cinese in direzione del mercato; o a un disperato tentativo di tenere in piedi imprese immobiliari indebitate e puntellare le banche dopo che si è verificato il più “grande balzo in avanti” dei crediti inesigibili degli ultimi nove anni? Su questo, ognuno dirà la sua. Le diverse interpretazioni sul fatto che sia solo questione di prendere tempo (e poi, quanto?) o che sia invece un problema irrisolvibile, generano le due scuole di pensiero: ottimisti e catastrofisti.