Momo, è l’applicazione per smartphone che ti fa fare sesso "una botta e via" in Cina. E’ in odore di censura, ma Alibaba ci ha già investito e si parla di una prossima quotazione in borsa. Sullo sfondo, la grande lotta tra i giganti dell’IT per procacciarsi fette sempre più ampie di mercato mobile attraverso l’acquisizione di start-up di successo. Da 10 milioni (2012) a 100 milioni (2014) di user. È Momo, l’applicazione per fare sesso in Cina.
Prodotta dall’omonima start-up di Pechino, si scarica gratuitamente ed è apparentemente un normalissimo social network dove si può chattare sia individualmente sia collettivamente. Grazie alla geolocalizzazione, ognuno sa a quanta distanza si trova l’altro.
Non sembra diversa dai prodotti che servono a farsi degli amici, ma si è creata rapidamente una reputazione per le storie di sesso “una notte e via”.
Così, se è stata colpita con altri social network e servizi di messaggistica istantanea dal giro di vite ordinato dalla censura cinese a fine maggio, è però l’unica app di questo genere a essere finita nel mirino dell’Ufficio Nazionale contro la Pornografia e la Pubblicazioni Illegali in quanto “trasuda ormoni” (Xinhua) ed è accusata di essere utilizzata dai professionisti del sesso per attirare clienti.
Di sicuro, è uno strumento che rivela la cesura generazionale tra la vecchia Cina e i venti-trentenni di oggi. Un tempo, esibire la propria sessualità era improponibile. Ora, perfino nel perimetro della Città Proibita le coppiette si appartano per scambiarsi effusioni.
Senza voler generalizzare troppo, quando in Cina un comportamento viene sdoganato, tende spesso a divenire di massa. Un esempio sono in Sexy Shop, che fino a qualche anno fa vendevano “prodotti per la salute” e oggi inalberano scritte luminose e spesso tengono le porte aperte, senza che gli avventori all’interno sembrino vergognarsene troppo.
Il britannico Guardian intervista due degli utenti di Momo, un uomo e una donna: il primo dice tranquillamente che il suo scopo è quello di portarsi a letto più ragazze possibili e, per farlo, si mostra Bmw-dotato nel proprio profilo dell’applicazione; la seconda, rivela che il suo intento è quello di chattare con un uomo per circa un mese e poi, chissà, ci si può sposare. Due approcci diversi, ma pragmatismo comune. Il punto è che internet aiuta i giovani cinesi ad abbattere le barriere di una cultura tanto antica quanto vincolante.
Con 700 milioni di utenti mobile, la Cina è sempre più telefonino-dipendente e le applicazioni proliferano. Se cerchi un taxi, c’è didi dache che ti geolocalizza e ti permette di chiamare la più vicina auto disponibile e su una sempre più accurata integrazione tra mappe e servizi punta Baidu, il Google cinese, che ha anche aperto un laboratorio di intelligenza artificiale nella Silicon Valley per rendere gli smartphone più interattivi e capaci di “prevedere” i nostri bisogni. Che problema c’è se il bisogno è quello di un corpo?
Oggi, anche in vista di un possibile sbarco a Wall Street di cui si vocifera da un po’ di tempo, Momo cerca di darsi una ripulita d’immagine. Si presenta come un social network che mette in contatto persone con interessi affini e, alla lettera, è pure vero. Circa un anno e mezzo fa – riporta il Wall Street Journal – il valore di mercato della società era stimato sui 500 milioni di dollari. Di recente, ha raccolto 2 miliardi di dollari da investitori privati e si dice che tra questi ci sia anche Alibaba, il gigante dell’e-commerce cinese e mondiale che ha appena siglato un accordo anche con il nostro governo per distribuire i prodotti del made in Italy in Cina. Chiamatela diversificazione.