La Cina fa un altro passo avanti nell’adeguare la metodologia di calcolo del proprio Pil agli standard internazionali. Il nuovo metodo farà pesare l’impatto degli investimenti in ricerca e sviluppo e dell’innovazione. Ma restano i dubbi sull’attendibilità delle statistiche ufficiali. Cambia ancora la metodologia di calcolo del prodotto interno lordo cinese. In attesa di conoscere i dati sulla crescita nel secondo trimestre dell’anno attesi per il 15 luglio, l’Ufficio nazionale di statistica ha presentato il nuovo sistema, che si ripropone di «riflettere meglio il contributo dell’innovazione alla crescita economica», catalogati come capitale fisso e non più come consumi intermedi.
La nuova metodologia dovrebbe avvicinare Pechino agli standard internazionali fissati dalle Nazioni Unite e da altri organismi multilaterali. L’attendibilità delle statistiche ufficiali d’altra parte è stata a più riprese messa in dubbio dagli osservatori e anche tra i funzionari e i commentatori cinesi non sono mancati sospetti per le discrepanze tra i dati nazionali e quelli a livello provinciale.
Con il nuovo sistema Pechino aggiunge 130 miliardi di dollari al risultato del 2015. Il tasso di crescita per l’anno passato, che al 6,9% comunque resta il più basso dell’ultimo quarto di secolo, risulta in questo modo più alto dello 0,04%. Nel complesso il ricalcolo con il nuovo metodo è stato effettuato tornando indietro fino al 1952 e in media le stime sono state più alte dell’1,06 per cento (dell’1,3 per cento per il 2015).
Già lo scorso settembre l’Istat cinese aveva provveduto ad aggiustamenti nel sistema. Da un calcolo basato su cifre cumulative più che sull’attività economica di uno specifico trimestre si era passati a basarsi principalmente su quest’ultima. E intanto sono allo studio piani per includere nel computo anche la sharing economy. La modifica risponde alle pressioni esercitate da organismi internazionali come l’Fmi affinché Pechino migliori la qualità dei dati. Il cambio di paradigma non è da poco.
Per anni si è seguito un’approccio soltanto quantitativo. La necessità anche politica di raggiungere gli obiettivi prefissati non fa escludere qualche ritocco alle cifre, soprattutto a livello locale, dove la carriera dei funzionari e dei quadri era ed è legata al raggiungimento di determinati risultati. La transizione in atto nel Paese fa riferimento anche a considerazioni qualitative e di sostenibilità dell’espansione economica, che da tre o quattro anni procede in frenata.
Secondo quanto stabilito dall’ultimo piano quinquennale, la crescita al 2020 dovrebbe procedere a una media del +6,5 per cento. «Sono in atto aggiustamenti strutturali, i servizi superano il 50 per cento del Pil e registrano una crescita annua dei oltre l’8 per cento, spiega Philippe Uzan di Edmond de Rothschild Asset Management. Il riequilibrio emerge dall’ultima rilevazione Caixin sull’indice Pmi servizi salito dai 51,2 punti di maggio ai 52,7 di giugno, sui massimi da 11 mesi, interrompendo una striscia negativa di due ribassi consecutivi
[Scritto per MF – Milano Finanza].