Le sue politiche di austerity «Troika-oriented» possono piacere o no, ma la cancelliera conosce il proprio interlocutore e ci parla da pari a pari. Quindi, è apprezzata dagli stessi cinesi. Frau Merkel compie il suo nono viaggio oltre Muraglia a capo di una missione di alto livello e dicendo cose non scontate. È la nona volta che Merkel viene in Cina in dieci anni di leadership. Per fare un impietoso paragone, Renzi ci è venuto solo una volta e frettolosamente. Questo ci dà una chiara idea delle rotte su cui viaggiano le relazioni internazionali che contano. Ma forse, per pareggiare, il presidente del consiglio italiano conta di governare trent’anni.
L’attenzione e il rispetto con cui la cancelliera guarda a Pechino le permette anche di dire cose che gli altri europei non osano o non si sognano manco di dire.
Così, giunta ieri a Pechino per un summit tra il governo tedesco e quello cinese accompagnata da una ventina tra i massimi capitani d’impresa germanici, Merkel ha parlato alla locale Accademia delle Scienze, chiarendo immediatamente un concetto: l’Unione Europea non vuole guerre commerciali, ma che esiste un problema sulla sovrapproduzione di acciaio sussidiato cinese, che invade i mercati e manda in crisi le nostre imprese del settore.
Ha poi aggiunto che le compagnie tedesche si aspettano uno Stato di diritto compiuto che renda i loro investimenti oltre Muraglia meno soggetti ad arbitrio.
Chiede reciprocità, la Merkel, pressata dalla propria opinione pubblica che non vede di buon occhio l’offerta da 4,6 miliardi di euro con cui una società cinese – Midea Group Co – sta cercando di acquisire l’impresa di robotica Kuka AG. A Berlino ci sono state riunioni fiume in cui il governo ha cercato di convincere la proprietà di Kuka a valutare anche altre offerte, mentre Siemens è stata incoraggiata a fare un «passo avanti» in nome dell’orgoglio patrio e, naturalmente, del business.
Cina e Germania sono due Paesi manifatturieri. Il trasferimento di tecnologia implicato nell’acquisizione di un’impresa d’avanguardia da parte dei cinesi spaventa i tedeschi, che finora hanno goduto del vantaggio competitivo dato dall’innovazione. È la globalizzazione, bellezza, concetto che ha ribadito anche Frau Merkel appena sbarcata a Pechino, ricordando però che le regole devono valere per tutti.
Sul filone dello Stato di diritto, la cancelliera ha poi ricordato ai cinesi che il ruolo di superpotenza impone maggiori responsabilità e che quindi la Cina deve rafforzare la propria cultura legale sia nelle faccende internazionali – chiaro il riferimento alle dispute nel Mar Cinese Meridionale – sia in quelle domestiche. A questo proposito, nei giorni scorsi Merkel aveva ricevuto un appello dalla famiglia della giornalista Gao Yu, 71 anni, detenuta dal 2015 con l’accusa di avere divulgato segreti di Stato.
Che Merkel conosca il proprio interlocutore lo rivela il fatto che abbia declinato la questione «Stato di diritto» in termini di stabilità sociale. In termini pragmatici, dunque, molto ammiccanti per i cinesi, che non accettano lezioncine morali ma al tempo stesso temono l’instabilità come la peste.
«Stato di diritto» significa dunque una magistratura che «decide secondo le leggi e la regole del Paese in modo indipendente della politica, e tutti sono uguali davanti alla legge. Il che vuol dire che le procedure giudiziarie e le sentenze devono essere trasparenti», ha detto. «Se interpretato in questo modo – ha aggiunto Merkel – lo Stato di diritto rafforza la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nelle loro decisioni. E in tal modo rafforza anche la stabilità sociale di un Paese». Bingo.
Va ricordato che i tribunali cinesi sono controllati dal Partito comunista, anche se il presidente Xi Jinping sta cercando di renderli più giusti e affidabili togliendoli dalle grinfie dei funzionari locali. È una difficile strettoia: il potere del Partito deve restare inattaccabile – secondo Xi – ma le corti locali devono tutelare di più la gente comune contro i soprusi dei potenti. È la strategia identificata per impedire che i cinesi, sfiduciati, scendano sempre più in piazza o compiano gesti estremi per richiamare l’attenzione sulle proprie rimostranze e casi umani. Non si tende quindi a perseguire un Stato di diritto che i cittadini possano impugnare per attaccare anche il quartier generale, questo no, ma a rendere il giudiziario sufficientemente «autonomo» (virgolette plurime) da renderlo autorevole.
Ecco dove Merkel ha puntato il dito, segno che conosce il proprio interlocutore e lo tratta da pari a pari. Ma con rispetto. Certo, probabilmente non sposterà mezza virgola, ma il messaggio è arrivato. Dal canto loro, i media cinesi hanno sottolineato che il summit sino-tedesco rafforzerà senz’altro le relazioni bilaterali tra i due Paesi, ricordando la cooperazione a livello di G20 e nel grande progetto di moderna Via della Seta.