Il nuovo rapporto sui mingong cinesi rivela una "popolazione fluttuante" che non fluttua solo territorialmente, ma anche sul piano dei bisogni e dei problemi inediti che sempre più solleva. La grande opera di ingegneria sociale che va sotto il nome di nuova urbanizzazione è messa alla prova da 245 milioni di umani, non più massa ma sempre più moltitudine. Alla fine del 2013, i mingong (migranti) cinesi avevano raggiunto i 245 milioni, cioè oltre un sesto della popolazione totale della nazione. Alla fine dell’anno precedente erano 236 milioni. Sono numeri ufficiali, diffusi da un documento della Commissione Nazionale per la Salute e la Pianificazione Nazionale. La “popolazione fluttuante” continua a spostarsi verso le grandi città, ma l’età media è aumentata – da 33,1 a 33,7 anni – in linea con l’invecchiamento di tutta la popolazione cinese.
Sono in gran parte ex contadini che si recano nelle metropoli per aprire piccole attività o fornire manodopera a basso costo, nella speranza di una paga più alta e di una vita migliore.
Emerge anche che oltre il 62 per cento dei figli delle coppie migranti – tra i 6 e i 15 anni – si sono trasferiti con i genitori, il che rappresenta un netto miglioramento, che rende meno drammatico il problema dei cosiddetti bambini “lasciati indietro”, educati dai nonni e privati delle cure dei genitori. Sono tuttavia ancora 61 milioni questi minori abbandonati, che rischiano di andare incontro a problemi come delinquenza giovanile e problemi psicologici di varia natura.
Anche a questo problema dovrebbe porre rimedio la nuova urbanizzazione sostenibile che ha in mente la leadership cinese e che dovrebbe portare la popolazione urbana cinese dall’attuale 53 per cento al 60 per cento entro il 2020. È la leva per costruire una società più moderna, perché è in città che si crea innovazione, lavori ad alto valore aggiunto, scambio. Ma per farlo, bisogna soprattutto dare un welfare e migliori condizioni di vita ai mingong, l’enorme esercito industriale di riserva che si è caricato sulle spalle, alla lettera, il boom economico cinese.
Lo stesso rapporto della Commissione sottolinea come i migranti fatichino a integrarsi nella società metropolitana, il che è un bel problema dato che nelle intenzioni della leadership cinese dovrebbero diventare ceto medio urbano, appagato, soddisfatto e quindi stabilizzante: l’ottanta per cento dei mingong è andato in città in cerca di posti di lavoro meglio retribuiti, ma è a tutt’oggi per loro molto più difficile accedere ai servizi pubblici essenziali, rispetto alla popolazione già residente.
Potrebbe risolvere il problema un più facile accesso all’hukou urbano (il permesso di residenza a cui sono vincolati i servizi essenziali), ma il processo è ancora in divenire e la nuova urbanizzazione cinese è comunque disegnata come un grande progetto di ingegneria sociale gestito dall’alto: è di pochi giorni fa la notizia della riorganizzazione amministrativa dei primi due livelli di città, le super-mega-city (sopra il 10 milioni di abitanti), e le mega-city (sopra i cinque), dove sarà più difficile migrare. Maggiori facilitazioni, invece, per le città di livello inferiore.
Questo significa che le autorità intendono distribuire meglio la popolazione cinese nel territorio e l’hukou urbano, l’accesso ai servizi sociali e al welfare, saranno gli incentivi utilizzati a questo scopo.
Nel frattempo, si escogitano misure per rendere più accettabile la vita ai mingong che sono già in città. Le autorità sanitarie hanno introdotto un programma nazionale “per dare ai migranti rurali nelle aree urbane accesso paritario alle risorse sanitarie e di pianificazione familiare di base”, dice Wang Qian, capo della sezione migranti della Commissione.
“Attualmente, possono accedere ai servizi nelle città in cui vivono, ottenere proprie cartelle cliniche e avere quindi vaccinazioni, assistenza al parto e contraccettivi gratuiti,” dice Wang. Nel 2012, il 59,2 per cento delle donne migranti ha partorito negli ospedali delle città dove si erano trasferite, un aumento del 7 per cento rispetto al 2011. Ma quasi il 40 per cento delle donne non ha fatto le cinque visite prenatali di solito prescritte.
C’è poi il problema difficilmente quantificabile del malessere psicologico e delle sue ricadute sociali. Il rapporto sottolinea che i migranti rurali lottano quotidianamente per ricrearsi un senso di appartenenza, di sicurezza e di dignità, nel nuovo contesto urbano dove sono finiti a vivere.
Con il miglioramento delle condizioni economiche, “sviluppano nuove esigenze come il bisogno di identità e di accettazione sociale e culturale in città", sottolinea Wang.
Un sondaggio condotto nel 2013 in otto città cinesi – tra cui Shanghai, Suzhou, Wuhan e Xi’an – ha rivelato che i migranti fanno fatica ad adattarsi soprattutto nelle città più “ricche”. La notizia è data dal China Daily, sembra quindi fatta apposta per avvalorare la tesi del governo secondo cui la nuova migrazione dovrà avvenire nelle città di piccola-media grandezza, escludendo le sei megalopoli che già superano i dieci milioni di abitanti. Insomma, “migranti, lasciate perdere Pechino, altrimenti rischiate di andare fuori di testa”.
In particolare modo, sarebbero i jiulinghou, i nati negli anni Novanta, i soggetti più a rischio, quelli più in difficoltà nel darsi un senso di appartenenza.
Sono di solito più istruiti e hanno avuto una maggiore esposizione al mondo esterno, soprattutto via Internet, così “puntano in alto, ma non hanno l’esperienza, le abilità professionali o la pazienza per realizzarsi”, sottolinea Wang.
Il rapporto dipinge una Cina sempre più complessa, sia nella composizione sociale oggettiva sia nella percezione di sé dei singoli. Con la nuova centralità data alla metropoli, la massa si fa sempre più moltitudine, le identità si compenetrano e si moltiplicano; nuovi problemi inediti sorgono e sempre più sorgeranno.