Nel corso della relazione all’Assemblea nazionale del popolo, l’organo legislativo riunito per la sessione plenaria annuale, il premier Li Keqiang ha fissato l’obiettivo di crescita per il 2017 al 6,5 per cento. Pechino decide quindi di rallentare rispetto al 6,7 dello scorso anno. Il governo ha ben presente che una ulteriore frenata comporterebbe rischi sistemici al momento «sotto controllo». Anche per questa ragione il primo ministro ha specificato che se possibile il ritmo di espansione della seconda economia al mondo dovrà essere più alto del target.
Il 2017 sarà quindi l’anno di prova della nuova normalità nella quale l’economia cinese si trova ormai da due tre anni, ossia da quando la Cina ha intrapreso il processo di trasformazione del proprio modello di sviluppo e intrapreso una transizione verso la crescita basata su consumi interni e servizi.
Fino a dicembre non mancheranno infatti appuntamenti che potrebbero essere d’ostacolo ai programmi della dirigenza, il cui scopo è arrivare tranquilla al congresso d’autunno che deciderà un parziale ricambio dei massimi organi di potere.
Nelle settimane che hanno preceduto l’apertura dell’Assemblea nazionale del popolo si è già assistito all’avvicendarsi al vertice di alcune tra le principali autorità di controllo e dei ministeri. Uno su tutti, il cambio alla guida della Commissione di vigilanza sul sistema bancario. Lo stesso premier Li nel suo discorso ha rimarcato la necessità di prestare attenzione alla mole di crediti deteriorati in pancia agli istituti; al rischio insolvenze (una recente analisi di Euler Hermes stima che i casi di bancarotta quest’anno aumenteranno del 10 per cento contro il +20 per cento del 2016); ai pericoli del sistema bancario ombra che fornisce credito al di fuori dei normali canali di vigilanza.
Occorrerà alzare un muro contro i rischi finanziari, ha chiarito ancora Li. D’altra parte nel 2016 le banche cinesi hanno fornito prestiti per 12600 miliardi di yuan, segno che la dipendenza dal debito del sistema è ancora sul livello di guardia.
Da monitorare sarà anche il mercato immobiliare, sempre a rischio di una nuova bolla. Tempo fa il magnate Wang Jianlin, patron di Wanda Dalian, uno dei colossi del settore, profetizzò una prossima crisi, rilevando l’incapacità di trovare soluzioni adeguate per bilanciare il mercato, soprattutto nelle principali città del Paese. «Le case devono essere costruite per abitarci, non per la speculazione», ha ammonito Li davanti ai circa 3.000 delegati dell’Assemblea, riuniti a Pechino.
Quanto alla crescita del 6,5 per cento, il ritmo è ritenuto l’ideale per non far precipitare l’occupazione. Il governo si è impegnato a riforme strutturali sul lato della domanda, il che vuol dire anche rivedere la capacità produttiva. Per il 2017 punta comunque a creare 11 milioni di nuovi posti di lavoro, 2,4 milioni in meno di quelli del 2016.
Il target d’inflazione è stato confermato al 3 per cento. Stessa percentuale per il deficit di bilancio. Guardando agli investimenti la Cina investirà quest’anno 800 miliardi di yuan nella rete ferroviaria, 1.800 miliardi di yuan nelle strade e nelle vie d’acqua.
Come già lo scorso anno, il governo non si è dato obiettivi sul fronte dell’export. Un po’ perché la transizione prevede di far leva sui consumi interni, un po’ per le incertezze internazionali: la Brexit, le elezioni in diversi Paesi europei e soprattutto l’atteggiamento dell’amministrazione statunitense di Donald Trump. Lo spettro che aleggia sulla Cina è quello dei dazi che Washington potrebbe imporre qualora il presidente dovesse tenere fede all’impegno di accusare formalmente Pechino di manipolare lo yuan.